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mercoledì 10 febbraio 2010

Un problema irrisolto:il traffico


Alto Adige — 09 febbraio 2010 pagina 17 sezione: CRONACA

BOLZANO. Il nostro viaggio nel quartiere prosegue lungo l’asse viale Europa-via Palermo. Anche qui i commenti non si discostano da quelli raccolti in altre strade del rione. Il fotografo Franco Ferrari denuncia «piccoli atti di microcriminalità: mi hanno rubato la bicicletta più volte». La coppia Rodolfo Demanega ed Erna Kasslatter lamenta «un traffico che nelle ore di punta è davvero sostenuto. Il rapporto tra i gruppi linguistici, invece, in questo quartiere è davvero esemplare». Una risposta a chi vuole vedere divisione a tutti i costi. Traffico problematico anche secondo un altro residente, Giorgio Fontana: «Visto che in via Palermo tanti parcheggiano in doppia fila e molti sono i camion che riforniscono i negozi». Ezio Albertini migliorerebbe i parcheggi e Mario Di Fidio, da poco trasferito a Firmian, compara le due realtà: «A livello di offerta di servizi siamo lontani anni luce». Stefano Ravaro, infine, chiude con una bella notizia: «Difficoltà possono essercene - commenta per il nostro taccuino - ma il dato più bello arriva dalla biblioteca dove lavoro e indica che i residenti leggono sempre di più e i prestiti, negli ultimi anni, sono cresciuti sensibilmente». I libri più letti? «La narrativa è più “popolare” rispetto ad altri filoni lettarari». Dolce ossessione. (a.c.)

martedì 9 febbraio 2010

Svendite, meno affari in periferia


Alto Adige — 08 febbraio 2010 pagina 10 sezione: CRONACA

BOLZANO. Sono diversi i negozianti bolzanini che lamentano un fatturato delle vendite minore rispetto ai saldi dello scorso anno e qualcuno punta il dito contro la partenza ritardata al 9 gennaio, quando a Trento e Verona già tintinnavano le casse da qualche giorno. Non mancano, ad onor del vero, i commercianti che vorrebbero spostare i saldi verso la fine di gennaio, così come ci sono i negozi che registrano un piccolo aumento degli incassi. «La prima settimana è stata un autentico assalto - racconta Cinzia Scarperi, responsabile di “Tezenis” - con la gente che si affollava come al mercato. Hanno acquistato di tutto, ma la maggior parte ha prestato attenzione a spendere con giudizio. La partenza al 9, comunque, ha creato problemi a noi, ma anche ai clienti che non volevano andare fuori città». Peter Oberschartner, responsabile di “Sportler” è più drastico: «Lievemente peggio rispetto allo scorso inverno, nonostante un primo giorno davvero positivo. Il fatturato ha fortemente risentito dello slittamento della data di partenza dei saldi perché, così facendo, abbiamo vanificato almeno quattro giorni buoni per intercettare chi ancora era in vacanza. L’attrezzatura e l’abbigliamento invernale, comunque, sono sempre una garanzia». Concorda anche Walter Bassani del vicino “Northland”: «Noi siamo andati meglio dell’anno scorso, ma semplicemente perché nel 2009 eravamo appena arrivati. Qualche cliente è arrivato anche da fuori città, certo che se avessimo potuto iniziare un paio di giorni prima». Marc Buhrow di “Porticus P8” rincara la dose: «Non sa quanti mi hanno detto che erano già stati a Trento. Purtroppo è andata così, ma non possiamo lamentarci più di tanto visto che giacche e jeans, complici le rigide temperature, si sono venduti bene». Kristin Waldthaler è la proverbiale eccezione che conferma la regola: «Le svendite? Quasi meglio della stagione passata. Molto bene l’intimo, ma anche il settore delle giacche. Un fenomeno classico del periodo dei saldi è il netto cambiamento della clientela che è totalmente differente da quella attuale: i bolzanini sono veramente attenti al portafoglio e si muovono con acume. Numerosi i turisti: dai classici germanici ai russi in cerca delle grandi firme italiane. Personalmente non capisco tutto questo affannarsi per partire prima: fosse per me inizierei le svendite il 20 di gennaio». Della stessa opinione Priska Lunger dalla cassa di “Malika”: «Abbiamo cominciato appena finite le feste, cosa si pretende di più? Il risultato, oltretutto, è stato più o meno lo stesso degli altri anni». Si è sorriso un poco meno nelle zone più popolari e periferiche, dove la clientela è quella del quartiere e contare sul turismo è un azzardo. «Per noi il bacino bolzanino è fondamentale e se lo si costringe ad andare in altre città andiamo in difficoltà», sintetizza chiaramente Sabina Leonetti di “Santa Fè” in via Torino. «Maglieria e pantaloni, comunque, sono andati bene, ma certamente non raggiungiamo i livelli del Centro». Olivera Ivanov di “Centovetrine”, infine, non si sbilancia: «Praticamente uguale al 2009, nonostante il boom della giacche. Qualche turista l’abbiamo visto anche qui, ma certamente meno che sotto i Portici. La partenza ritardata ha creato confusione nei clienti e messo in difficoltà i commercianti». - Alan Conti

mercoledì 3 febbraio 2010

Don Bosco non è un quartiere per vecchi


Don Bosco non è un quartiere per vecchi. O forse sì. L’inchiesta sul gruppo italiano che il sociologo Luca Fazzi ha presentato al nostro giornale anima le discussioni nelle strade e nei bar delle zone più popolari della città. Sono Europa-Novacella e Don Bosco i quartieri che Fazzi indica come roccaforte italiana di tutta la Provincia e, per la verità, piuttosto attempata visto l’autentico esilio di una generazione di bolzanini verso altri lidi. Siamo andati a parlare con chi queste strade le vive tutti i giorni, partendo proprio dal cuore pulsante di Don Bosco: via Resia. Dalle parole dei residenti, dunque, esce un quartiere che, atavico difetto italiano, difficilmente è omogeneo nello descrivere le problematiche, ma che appare a tutti come spaccato a metà: la vecchia parte dell’ex rione Dux popolato da anziani e la ventata di entusiasmo giovanile che spira dai nuovi Firmian e Casanova.
"Da poco mi sono trasferita qui dal Centro – comincia Luciana Eccher – e devo dire che non è la stessa cosa. Si vive bene, certo, ma il rapporto con gli stranieri non è sempre facile". Fulvio Paissan è il primo ad avventurarsi nel confronto con il passato: "I giovani? Non ci sono più, qui invecchia tutto. Anni fa era prassi vedere i bambini giocare in cortile, oggi questo non succede. Non solo, i ragazzi scappano non appena ne hanno la possibilità e questo non è un bel segnale. Manca, infine, un poco di solidarietà". Parlando di giovani è bene sentire anche la loro opinione: Anna Patruno si fa portavoce. "Certo che andiamo via: le prospettive di lavoro, divertimento e crescita professionale sono poco più che nulle a Bolzano. Quante commesse ci sono con la laurea? Il quartiere anche offre poco ed è necessario andare verso il Centro". A pochi passi interviene Anna Zavodovska: "Arrivando dall’Ucraina io a Bolzano ho trovato un piccolo paradiso e gli italiani ci trattano bene". Gloriano Cartari, invece, rispolvera un evergreen: "Il traffico è drammatico. Bisogna fare un’arteria parallela. Un aspetto positivo? C’è tanto sole e d’estate, con la vicinanza del fiume, siamo tra i più ventilati della città". Lucia Fiorini, invece, stringe sulla cronaca d’attualità: "A parte qualche furtarello dalle cantine non ho mai trovato nulla da ridire sul nostro quartiere. Le zone d’emergenza sono da altre parti". Josef Pala è uno dei pochi tedeschi residenti lungo via Resia "ma non ha mai avuto nessun problema con il mondo italiano che mi ha sempre trattato bene. I giovani ci sono, soprattutto nei nuovi rioni". Tatiana Pivovbar lo contraddice: "Tantissimi se ne vanno perché Bolzano è la città per anziani e bambini. Gli stranieri li stanno sostituendo". Straniera è Nisma Lamin, originaria del Marocco: "Si vive bene a Don Bosco. Un voto alla convivenza? Sufficienza stiracchiata". Gino De Boni, invece, è uomo di poche parole: "Qui è tutto vecchio, ma non capisco cosa pensano di trovare di straordinario i ragazzi nella altre città". Nello Campaner la butta sul filosofico: "Non è questione di età anagrafica, ma di testa e molto dipende dalle scelte che farà la politica sociale per aiutare i ragazzi". Rinaldo Larcher abita a Casanova e respinge le accuse. "Tantissime le giovani coppie da noi, peccato manchino i servizi. Per onestà, però, ci era stato detto che entro il 2012 nulla sarebbe stato finito quindi sapevamo di dover pazientare. Vedendo quello che è successo a Firmian, comunque, abbiamo un poco di timore per quando arriveranno gli inquilini Ipes". Laura Stancher è nostalgica: "Che belle che erano le Semirurali, ma oggi non manca nulla" mentre Giovanni Altieri parla di "invecchiamento naturale del quartiere". Felice Savoi vuole vedere il bicchiere mezzo pieno di "una Don Bosco amichevole, ben servita dalle linee della Sasa e accogliente. Se proprio ci si deve lamentare, allora diciamo che la notte nessuno rispetta i limiti di velocità". Concetti ripresi da Nicola Commisso e Maria Eteresa: "I ragazzi vanno via, ma in queste strade ci conosciamo tutti e un sorriso non si nega a nessuno". Sonia Ceccon è più drastica: "A Firmian manca tutto, solo le promesse non scarseggiano. Ci vuole un asilo e una scuola al più presto". Giancarlo Travaglini non ama i fantasmi del passato: "Non è cambiato molto, lo spirito di Don Bosco è sempre uguale". Piero Sani fa il nonno vigile: un occhio privilegiato sui bambini "che sono vispi, allegri e fanno ben sperare. Peccato che gli adolescenti siano più sbruffoni, ma avranno tempo per migliorare. Il traffico, però, deve essere controllato di più". Angela Storari, in chiusura, ci regala una bella metafora: "I giovani? Si accentrano. Vanno tendenzialmente verso il Centro Città o il centro dei divertimenti". Un giro di opinioni che è un caleidoscopio di idee, ma solo una è la domanda a cui nessuno ha risposto in modo negativo, la prima delle nostre interviste che recitava così: "Mi scusi, ma come si vive a Don Bosco?".

IL FUTURO DI DON BOSCO
La palla di cristallo non esiste, indovinare il futuro con certezza non è possibile, men che meno se si tratta della sorte di una città o di un quartiere, ma immaginare non costa niente. Abbiamo fatto un giochino e chiesto ai residenti come vedono la Don Bosco del 2030 spalancando così le porte di desideri e paure e dipingendo, al contempo, un quadro interessante sul futuro di questa porzione di città.
"Temo che le strade saranno sempre più deserte e solcate dal passo lento dei vecchi" si preoccupa Fulvio Paissan "ma nei giovani e nei bambini bisogna sempre credere". Anna Patruno vive di speranze: "L’università, l’ampliamento del tessuto urbano, l’arrivo di nuove persone: spero che il quartiere e la città tornino ad essere attrattive anche per chi non è bambino o pensionato. Eventi, punti di ritrovo, possibilità di avere un lavoro e una casa: noi giovani non chiediamo l’impossibile". Gloriano Cartari è realista: "Negli anni ’80 Firmian era un castello e Casanova uno sciupafemmine veneziano. Come si fa a prevedere, allora, il 2030?" mentre Barbara Turelli ci indica un bambino "Bisognerebbe chiedere a loro. Noi stiamo lasciando un quartiere in espansione, le strutture, ma anche i problemi di gestione di tutto questo e non sarà semplice risolverli". Lucia Fiorini ci fa sorridere: "Forse nel 2030 avranno finalmente cambiato la moquette della chiesa che ormai avrà trent’anni ed è orrenda", ma anche questa è vita di quartiere. Josef Pala, intanto, spera "in una convivenza felice" mentre Tatiana Pivovbar vede come inevitabile "il sovrannumero di stranieri che avranno sempre più potere decisionale". Gino De Boni si immagina "tutto più vecchio" mentre la ventata di entusiasmo arriva da Nicola Commisso: "Don Bosco diventerà il centro operativo della nuova Bolzano. Scacciato via il concetto immaginario di periferia, abbiamo giovani famiglie nei nuovi rioni e presto nuovi servizi, nuovi negozi e iniziative all’avanguardia". Dello stesso avviso Giancarlo Travaglini: "Basta guardare i numeri di abitanti per dire che sicuramente saremo ancora protagonisti come lo siamo sempre stati".

lunedì 1 febbraio 2010

Area nomadi, un camping a cinque stelle


Alto Adige — 31 gennaio 2010 pagina 14 sezione: CRONACA

BOLZANO. Non sarà una microarea definitiva, tuttavia si avvicina agli standard di un campeggio di buona qualità. Ora che il polverone si è abbassato, l’area cani di viale Trento consegnata dal Comune alla famiglia sinta dei Gabrielli ha raggiunto una sua configurazione, temporanea a detta dell’amministrazione. Chi s’immagina una dimensione come quella dei derelitti campi rom delle metropoli è fuori strada: l’area Gabrielli assomiglia, per ordine e organizzazione, ad una struttura turistica. L’occasione per scoprire da vicino la nuova realtà della famiglia è data dalla conferenza stampa indetta dall’associazione Nevo Drom in ricordo dei 500mila zingari eliminati dalla furia nazista o utilizzati come cavie da laboratorio. Radames Gabrielli, dopo aver ricordato alcuni orrori dell’olocausto, racconta la nuova vita: «All’inizio tutti erano piuttosto diffidenti con noi, poi anche i negozianti e i baristi hanno capito che non siamo pericolosi. Alcuni, oggi, sono anche amici». L’area, dunque, comincia a diventare familiare ai residenti come era quella di Firmian? «Guardi, la verità è che noi non abbiamo mai avuto problemi con le singole persone, ma solo con qualche frangia o partito organizzato che cerca consensi sfruttando la nostra vicenda. Le cronache testimoniano che non facciamo male a nessuno e ricordo che siamo stati i primi a prendere le distanze dalla rissa di via Milano». La famiglia Gabrielli conta una trentina di componenti, divisi in otto nuclei familiari che occupano nove roulotte e un camper. Quello che stupisce, però, sono i servizi che già sono stati messi a disposizione: si va, infatti, dai due blocchi di bagni chimici agli allacciamenti per la corrente elettrica, passando per l’ampliamento della recinzione. Non solo, che l’insediamento sia pienamente in funzione lo dimostra pure l’installazione di una parabola satellitare attaccata a un lampione e la bella veranda di legno, con tanto di piante e ombrellone, che incornicia una delle roulotte. L’ubicazione, comunque, è un vero triangolo delle Bermuda: a pochi metri corrono i binari della ferrovia e l’arginale mentre il cielo è solcato dall’autostrada. «Questo - spiega Radames - è effettivamente un problema. Per il nostro popolo il sole è la vita e qui non ne arriva mai neppure un raggio. Rimaniamo in attesa di una sistemazione definitiva». Non mancano le prese di posizione dei politici intervenuti alla conferenza stampa. Primo Schönsberg, assessore comunale alla cultura, ha ricordato alla popolazione «la necessità di venire incontro alla diversità per rendere quotidianamente onore alla Memoria». Guido Margheri, invece, azzarda una tempistica: «Esiste un emendamento per la realizzazione della microarea e penso che nel giro di un anno si possa concretizzare». (a.c.)

domenica 31 gennaio 2010

Parte la petizione degli inquilini Ipes contro il trasferimento degi anziani


Alto Adige — 30 gennaio 2010 pagina 13 sezione: CRONACA

BOLZANO. «Partiamo con una petizione». L’annuncio lo dà Gianfranco Ponte, presidente del Comitato inquilini Ipes, al termine della riunione promossa da Elena Artioli, consigliera provinciale leghista. «Vogliamo bloccare - spiega Ponte - la nuova norma che estende agli over 65 il trasloco. Questa possibilità era già stata esclusa due anni fa e non si può reinserirla adesso». Intanto Enrico Lillo, presidente del consiglio di circoscrizione Don Bosco, si sta muovendo con il consigliere provinciale del Pdl Maurizio Vezzali: «Vorremmo presentare un nuovo testo di legge che abroghi quello che sta togliendo il sonno a molti anziani. C’è chi si aspetta un trasloco da un momento all’altro e per questo sta già ripulendo gli armadi. Queste, purtroppo, sono le conseguenze devastanti dell’annuncio dato dall’Ipes». Molto critico anche Mario Tagnin (Pdl): «Trasferire un anziano dal suo mondo può avere effetti pesanti. È già successo a suo tempo con quanti abitavano alle Semirurali. Non mi sembra il caso di ripetere gli errori». La verità è che trovare la quadratura del cerchio non è facile tra anziani inviperiti dal paventato trasloco forzato e giovani famiglie che chiedono spazio. La possibilità che l’Ipes chieda il trasferimento alle persone che occupano alloggi sociali sovradimensionati spacca in due anche gli abitanti dei condomini popolari di Europa-Novacella. Da una parte c’è chi non vuol sentire parlare di trasferimenti e aumenti del canone, dall’altra chi chiede più spazio. «Chiedere a un anziano di spostarsi e cambiare le proprie abitudini non è proprio una barzelletta - commenta Tiziana Soglia - ma d’altra parte è vero che i giovani hanno bisogno di uscire dalle case dei genitori. Credo che uno spostamento nelle immediate vicinanze possa essere accettabile». «La ratio profonda di questa scelta dell’Ipes - le fa eco Ermano Ferro - è corretta, anche se 5.300 inquilini coinvolti mi sembrano davvero tanti. Chiaro, però, che non possiamo dimenticare come trent’anni fa i giovani, che eravamo noi, abbiano avuto la possibilità di crearsi una famiglia in uno spazio adeguato». Una via di mezzo, insomma, sembra possa essere tollerata. Giuseppe Rausa, invece, è più drastico: «Arrivare e pretendere di buttare fuori tutte queste persone, per altro anziane, non mi sembra corretto. In cinquant’anni nella zona di via Torino non abbiamo mai avuto problemi e adesso vogliono capovolgere tutto. Suona paradossale, anche in considerazione del fatto che, solo nella mia scala, ci sono ben due appartamenti vuoti da anni». La conferma dell’abbandono dei due alloggi arriva da Armando Franchini, anche lui residente nella scala: «Sembra incredibile, eppure non c’è nessuno e si tratta di appartamenti di 70 metri. Tra l’altro è tutto completamente rinnovato perché l’Ipes sistema a dovere gli alloggi una volta che vengono lasciati». Sugli anziani, invece, Franchini prova a sollevare un quesito importante: «Nessuno ha pensato che ci possano essere persone che adesso stanno bene, ma che tra qualche anno potrebbero aver bisogno dell’aiuto di una badante o di un figlio? Se li spostano c’è il rischio che non possano ospitare più nessuno in casa costringendoli a rivolgersi alle strutture di assistenza esterna». Un commento, però, spetta anche ai giovani, come Loris Graziano, ragazzo-padre: «Ho faticato tantissimo per avere un alloggio Ipes. Non è stato facile, davvero. Credo che, in questa faccenda, non esista una parte che ha ragione e una che ha solo torto. I giovani devono poter avere degli sbocchi abitativi, ma chiedere di farlo ai danni di un pensionato può creare delle tensioni sociali. Io penserei, piuttosto, alla miriade di abitazioni desolatamente vuote». Gino Buongiorno, invece, testimonia l’allarme scatenato dalla notizia: «Non sapevo nulla», esclama preoccupato. «Spero di essere a posto, altrimenti sarebbe davvero difficile cambiare casa. L’Ipes non può forzare così tanto la mano perché il trasloco diventerebbe obbligato visto che le pensioni non basterebbero a coprire i costi delle eccedenze a canone provinciale invece che sociale. I giovani? Certo, hanno ragione, ma una volta si cresceva anche in sette dentro abitazioni molto piccole». (a.c.)

mercoledì 27 gennaio 2010

Gries nella morsa delle auto


Alto Adige — 26 gennaio 2010 pagina 17 sezione: CRONACA

BOLZANO. Da via Resia a Gries un filo rosso unisce i due estremi della città: il traffico. Se alla mattina presto transitare per l’arteria principale di Don Bosco significa armarsi di tanta buona pazienza, lo stesso accade tutt’attorno alla zona di piazza Gries. I genitori che si ammassano in auto all’entrata ed all’uscita dalle scuole vanno a sommarsi, infatti, alla congestione di via Vittorio Veneto causata dal passaggio di mezzi di tutti i tipi da e per l’ospedale e dai troppi pendolari che arrivano dal Meranese o dalla Bassa Atesina mentre lungo Corso Libertà la spada di Damocle è sempre la stessa: una pista ciclabile davvero pericolosa. Capita, così, che ad alzare la voce siano anche i residenti di una delle più belle zone residenziali della città. I primi a lanciare l’allarme sono i nonni vigili, costantemente impegnati ad aiutare bimbi e anziani ad attraversare, che vivono in prima linea il caos dell’ora di punta. «È un mix di maleducazione, scarsa educazione stradale e frenesia irrefrenabile - spiega Olivio Berardo. Alla mattina e a mezzogiorno tutti hanno fretta di andare e gli automobilisti pochissima voglia di fermarsi: una volta un’auto mi è passata sulla scarpa. I bambini, logicamente, sono meno attenti e noi siamo costretti ad avere mille occhi. Che fare? Un bel corso di sicurezza al volante per tutti quelli che compiono infrazioni». Il collega Marco che se ne sta a vigilare sulla rotonda principale della piazza, rincara la dose: «La fretta gioca dei brutti scherzi e le auto sono sempre più “invadenti” e impazienti». Ferruccio Dalceggio piantona quotidianamente via Penegal: «Qui è un terno al lotto. Non si sa mai quale giorno sarà tranquillo e quale, invece, presenterà code lunghissime e nervosismo. La pioggia, certamente, è un fattore, ma non sempre è l’unico e noi dobbiamo essere sempre pronti». Lungo Corso Libertà c’è Franco Maraldo: «Il grosso problema qui è rappresentato sempre dalla pista ciclabile. Adulti e ragazzini sfrecciano perché non possono arrivare tardi al lavoro o a scuola e i bambini (o gli anziani) che attraversano sono in pericolo. Ogni tanto, infatti, vengono toccati dalle bici. Le auto, invece, sono più disciplinate». Critica anche la voce di chi intorno a piazza Gries vive o lavora, come per esempio Tania Carti. «All’uscita delle scuole è un disastro perché nessuno rispetta i cartelli o i segnali. Io, oltretutto, abito in via Amalfi che regolarmente viene presa in contromano. Soluzioni? La solita: maggiore presenza e controllo della polizia municipale». Dragan Ludmilla arriva dall’ospedale: «Bisogna prestare attenzione, ma la situazione, per fortuna, non è sempre tragica». Joachim Pichler che dalla cabina del pullman “Silbernagl” guida gli studenti in direzione Ponte Adige e San Maurizio non si allarma: «Non vedo la stessa emergenza che c’è in altre zone della città. Certo, ci vuole attenzione, ma non definirei la situazione allarmante». Della stessa opinione Evi Keiser: «Tutto questo traffico non mi sembra di vederlo. Certo che qualche parcheggio in più non guasterebbe affatto». Silvia ed Emma Brida, invece, ripropongono il problema «soprattutto alla mattina quando contemporaneamente aprono le scuole e smonta il turno notturno dell’ospedale. Via Vittorio Veneto diventa un tappo incredibile. Si potrebbe, comunque, pensare di mettere delle strisce pedonali in piazza Gries all’altezza della fermata del bus: tanto attraversano tutti lo stesso ed almeno si eviterebbero equivoci spiacevoli». Carmina e Silvano Demarchi, infine, puntano di nuovo il dito verso via Vittorio Veneto «quella è la strada che crea disordine e code che, a volte, arrivano anche fino a via Fago. In questo quartiere, però, c’è un altro grosso problema e sono i decibel delle campane che suonano troppe volte e troppo spesso ed il cui risuonare in certi casi è davvero insopportabile». Insomma spaccano i timpani. - Alan Conti

martedì 26 gennaio 2010

Via Resia, i residenti contro il traffico


Alto Adige — 24 gennaio 2010 pagina 15 sezione: CRONACA

BOLZANO. Via Resia, sette e mezzo del mattino, la più classica delle ore di punta è il momento in cui ogni semaforo si trasforma in una via crucis. La fretta, di raggiungere la scuola o il lavoro, si sa, è cattiva consigliera e gli animi non di rado si innervosiscono. E’ stato così per anni ma adesso, sostengono i residenti, con Firmian e Casanova la situazione si è fatta insostenibile. Siamo andati a verificare sul campo la situazione e a raccogliere le voci di chi questa strada la percorre ogni mattina e la conferma è sotto gli occhi. Claudio Corradi , nonno vigile che tutte le mattine accompagna i bambini di Casanova e del quartiere fino alla scuola primaria M.L.King: «Ci sono giornate in cui la situazione è insostenibile e anche i pedoni devono stare attenti. La verità è che i bolzanini devono convincersi a usare di più i mezzi pubblici altrimenti da questo problema non se ne esce». Adamo Girolamo abita a Casanova e al semaforo all’incrocio tra via Ortles e via Resia ci racconta: «E’ un autentico disastro e noi nuovi residenti siamo vittime come gli altri - ci racconta - non è colpa nostra se non costruiscono altri sbocchi. Non solo, il passaggio che dal nuovo rione corre lungo la ciclabile viene usato pochissimo perché stretto e si intasa facilmente». Nadia Taraschielli quantifica il disagio: «Per fare meno della metà di via Resia ci si mette, se va bene, un quarto d’ora». La relativa tranquillità degli automobilisti testimonia la buona stella di ieri mattina: il più innervosito, infatti, è un autista che guida un mezzo pubblico della Sasa. L’autista strombazza non appena scatta il semaforo verde. Tutti hanno i loro orari da rispettare. «Da qui a viale Druso - spiega Domenico Lia - ci si impiega una mezz’ora buona. Io, per lavoro, devo fare la spola tra Oltrisarco e Don Bosco e a quest’ora l’asse via Resia-viale Druso diventa improponibile. In confronto via Roma è una passeggiata». Chi ha tagliato la testa al toro è Marta Nicotera che, nonostante la temperatura rigidissima di queste giornate invernali, ha optato per le due ruote: «La bicicletta è l’unico sistema per dribblare il traffico ed evitare ritardi sul lavoro - spiega - c’è poco da fare e se piove meglio incrociare le dita. Firmian e Casanova? Certamente non hanno aiutato». Il fattore meteo è determinante anche per Giancarlo Covi : «Moltissimo dipende dal tempo. Se c’è il sole, anche se freddo, molti decidono di usare la bicicletta e il traffico è più snello, ma con la pioggia o, peggio ancora, la neve, qui tra le sette e le otto diventa un vero inferno». Erica Caliari sposta il problema: «Ad essere sinceri più che la mattina la vera tragedia è alle sei di sera quando si torna a casa e ci si può impiegare tranquillamente mezz’ora per percorrere la via». Hedwig Langschner lavora al bar «Resia» e da decenni osserva il passaggio delle macchine: «Non credo, in tutta sincerità - spiega la donna - che la situazione sia così peggiorata. Forse non ci ricordiamo che prima della realizzazione Mebo i camion erano tantissimi e facevano sobbalzare. Tutto sommato sono spariti i tir e sono arrivati i nuovi residenti, ma la situazione è rimasta simile. Ciò non significa che non si possa intervenire», conclude. Non solo via Resia, comunque, visto che alcuni passanti spostano l’obiettivo su altre strade: «Via Cagliari, per esempio, è una giungla e chi va verso ponte Palermo non si fa problemi ad invadere l’altra corsia, mentre l’incrocio via Milano-via Palermo è costantemente intasato e pericoloso: ci vorrebbe una bella rotonda. Alcuni automobilisti, oltretutto, pretendono di avere la corsia preferenziale per proseguire dritto lungo via Milano pur non essendoci alcuna indicazione sull’asfalto. I vigili, però - conclude con un classico - non si vedono mai». - Alan Conti

giovedì 21 gennaio 2010

Firmian chiede più negozi


Alto Adige — 20 gennaio 2010 pagina 17 sezione: CRONACA

BOLZANO. Stranieri con cui non ci si rapporta, negozi che non si trovano nemmeno a cercarli con il lanternino, microcriminalità diffusa e scuole che latitano, il tutto condito da servizi promessi e ancora lontani dalla realizzazione. Firmian cresce e con il quartiere crescono anche i residenti che, se da una parte si mostrano stufi di passare per il rione cittadino di serie B, dall’altra non mancano di sollevare le più svariate proteste. «Stiamo abbastanza bene - raccontano in coro Laura Massalongo e Maria Ploner - ma è chiaro che sarebbe bello avere una farmacia più vicina di quella in via Sassari, così come un traffico meno disastroso e un asilo nido per i nostri piccoli. La polizia, infine, è bene che controlli spesso questa zona perché, come dimostra il piromane, la microcriminalità è sempre in agguato». A rompere il ghiaccio sull’integrazione degli stranieri, invece, ci pensa Dominga Gabrielli che ci propone un punto di vista “rovesciato”: «Alcune famiglie altoatesine sono razziste, inutile girarci intorno. Non ce ne fanno passare una: se i bambini giocano alle 14.30 anziché alle 15 oppure se piangono perché hanno fatto un incubo la notte scatta immediata la protesta. Non mancano, per altro, piccoli dispetti come i graffi alle nostre macchine. Una proposta per il Comune, infine, potrebbe essere quella di creare un bus navetta per i bimbi costretti ad andare a scuola lontano». Rincara la dose Benhour Gabrielli: «Io non posso nemmeno avvicinarmi alla casa di mia moglie perché i vicini hanno firmato un documento che mi impedisce di entrare in casa e l’Ipes non ha mancato di avvertirmi che in caso contrario avrebbe sfrattato la famiglia». Spostandosi al nuovo parco, incontriamo Maila, bimbo in culla e cane al guinzaglio. «Un’area verde ben fatta, salvo due vistose pecche: una zona cani pietosa e i ragazzi che vanno a giocare sulla superficie ghiacciata del laghetto, sarebbero da alzare le protezioni». Luise Rabanser, invece, è una delle poche signore di madrelingua tedesca del rione: «Non mi trovo molto bene perché le mie origini sono rurali e il rapporto con gli stranieri è difficile. Gli italiani, invece, sono più amichevoli e non mancano le occasioni di svago per gli anziani». Teo e Rosa Izzo, al contrario, non ne fanno una questione di etnia: «Chi dà fastidio sono i maleducati, indipendentemente dalla lingua o dalla cultura». Giuliano Franzoso, poco più in là, tesse le lodi del nuovo polmoncino verde: «Perfetto per passeggiare e davvero molto bello. Per incontrarsi con gli amici, invece, bisogna tornare verso via Resia». Manuela Cantone e Sara Ottaviani spostano il problema: «Non è così grave avere la farmacia a cinque minuti di distanza e non sotto casa. Sarebbe opportuno, invece, che il parco di Firmian fosse considerato come il parco Europa: utile per organizzare eventi e feste». Giusto, però, sentire anche la voce dei più piccoli, come quella di Ivan, 4 anni, che aiutato dal papà dice: «Il prato è davvero molto bello e le ciclabili sono comode perché lontane dal traffico. Cosa mi piacerebbe? Un gazebo che ripari dal sole e una vera pista per le biciclette come quella del Talvera». Chiude il giro di opinioni Elisa Ansaloni: «La mia casa, comprata in cooperativa, è davvero bella, ma è chiaro che per il quartiere c’è molto da fare. Dov’è l’asilo promesso? Dove sono i negozi? La scuola elementare? La distribuzione ragionata degli stranieri?». Qualcuno dovrà dare una risposta alle centinaia di famiglie che negli ultimi anni si sono trasferite a Firmian. In Comune si sta lavorando, ma ci vorrà tempo prima che Firmian diventi un vero quartiere, dove accanto agli alloggi ci sono negozi, scuole, strutture. Un primo passo, per dare un’anima al quartiere, lo si è compiuto con l’apertura del nuovo liceo Pascoli. Ogni giorno a Firmian arrivano 600 studenti. - Alan Conti

martedì 19 gennaio 2010

In centinaia in coda per il medico delle orchidee


Alto Adige- 19 gennaio 2010
Bolzano - Tutti in fila per curare la creatura di casa. Pediatra? Medico? Veterinario? No, molto semplicemente il dottore delle orchidee. E’ un vero successo l’iniziativa che la giardineria Schullian dedica alle orchidee, autentica passione bolzanina. Quattro espositori di grande impatto abbelliscono il vivaio di via Merano e fanno da cornice al banchetto più affollato della manifestazione: il pronto soccorso per le piante.
Giovanni Zambaldi risponde pazientemente a tutte le domande che, senza soluzione di continuità, gli vengono poste. Quanto si annaffia? Quanta luce? E il concime? Riusciamo a sottrarlo per qualche minuto dal fuoco di fila: "Non c’è un attimo – sorride – tutto il giorno c’è un capannello fisso di persone che chiedono il mio aiuto. E’ anche un buon segno perché significa che c’è amore per questa pianta". Ci uniamo al gruppo e, taccuino alla mano, ripetiamo gli stessi quesiti dei clienti. "L’orchidea è molto semplice, l’importante è bagnarla solo quando è realmente secca, diciamo ogni 14 giorni, altrimenti si rischia di far marcire i serbatoi naturali delle radici. Luce è necessaria, ma niente sole diretto che brucia le foglie e la concimatura deve essere rarissima". Tutti i “pazienti”, bene o male, presentano patologie legata alla mancata osservazione di queste semplici regole.
Accodata per un consulto incontriamo Rita Fava, armata di libretto portafoto. Ci mostra subito gli scatti dei suoi gioielli quando di solito, in borsa, si tengono le foto dei nipoti. "Eh lo so – ride – ma per le orchidee ho una passione vera e a casa ne ho parecchie. Consiglio a tutti l’argilla espansa, ma oggi sono qui per chiarirmi le idee sui germogli di uno dei miei esemplari". Gianni Faranna, invece, è venuto per conto della suocera: "Aveva quest'orchidea ancora viva, ma palesemente in sofferenza. Aveva bisogno di cure e di qualche chiarimento su come farla vivere al meglio: adesso tornerà bella come prima e non c’è dubbio che la signora sarà contentissima". Sciaves Marsoner, invece, ha accompagnato il marito "autentico appassionato di piante e orchidee. Anche a me piacciono, ma lui ha un attaccamento viscerale: ogni tanto ci parla anche". Chi condivide la tendenza alla conversazione con le proprie creature verdi è Marisa Marini: "A casa ho quattro orchidee e capita di farci due chiacchiere. Insomma, fior di esperti dicono che faccia bene perché non dovrei? Oggi sono venuta a sentire quello che consiglia il “medico”: per me una vera e propria lezione da ascoltare. Non sapevo, per esempio, che a Bolzano la luce non è ottimale per le orchidee che, originarie del Madagascar, qualcosa patiscono e vanno quindi aiutate". E’ raggiante, infine, la padrona di casa Martina Schullian: "Da 15 anni questa iniziativa legata all’orchidea riscuote un successo grandissimo. Posso dire che i bolzanini, senz’altro, sono davvero affezionati a questa pianta".
Per entrare completamente nel mondo delle orchidee è bene farsi guidare dalle parole dell’espositore varesino Giancarlo Pozzi e del suo collaboratore vicentino Francesco Revere. Le orchidee, anzitutto, sono tantissime: "Pensare solo a un tipo – spiega Giancarlo – è sbagliato perché ce n’è di ogni dimensione e colore. Ce ne sono di profumate, ma anche che puzzano così come di un centimetro o di trenta metri. Pensate che ogni singola tipologia ha un singolo insetto che la impollina e se si estingue l’insetto sparisce anche l’orchidea. Come spiegare la mia passione? Un grande personaggio una volta disse “Le orchidee non sono parassite, ma sono estremamente contagiose". Chiediamo a Giancarlo di mostrarci un esemplare unico: "Questa è l’orchidea di Darwin che ha un serbatoio del polline lungo 30 centimetri. Lo studioso affermò che doveva esistere un insetto con un aspiratore della stessa lunghezza e tutti lo presero in giro. Trent’anni dopo la sua morte, però, scoprirono una falena con un’aspirotromba proprio di 30 centimetri che la impollinava". Francesco, infine, ci svela un’altra chicca: "Sapete, per esempio, che anche la vaniglia non è altro che un’orchidea che usavano pure gli aztechi per dare gusto al cacao?".

venerdì 15 gennaio 2010

Cercano moglie con le agenzie ma trovano debiti

Alto Adige — 14 gennaio 2010 pagina 17 sezione: CRONACA

BOLZANO. Cercano l’anima gemella e trovano la compagnia dei debiti. Sono almeno 50 l’anno gli altoatesini che si rivolgono alle agenzie matrimoniali e poi si ritrovano con un pugno di mosche e le tasche alleggerite di due o tremila euro. I dati sono quelli forniti dalle associazioni dei consumatori del Ctcu e del Centro Europeo Consumatori. A rimetterci maggiormente sono gli agricoltori di lingua tedesca, oggetto di un modus operandi di alcune agenzie che, pur sul filo della legalità, ha tutto l’aspetto di una “trappola” ben riuscita. Monika Nardo, consulente giuridica del Cec, raccont: «Alcune agenzie hanno sede a Vienna e sfruttano il nostro territorio e il target rurale. Sulle testate dei giornali tedeschi pubblicano annunci calibrati per questo tipo di clientela». Per dirla in breve: fioccano le aspiranti mogli avvenenti, di ogni età, tutte rigorosamente amanti della vita contadina, del lavoro nella natura, della vita paesana e della cultura tradizionale altoatesina. Si trovano addirittura figlie di veterinari o di proprietari di masi delle più svariate vallate. Tutto, logicamente, infiocchettato da un numero di cellulare. Chiamando, però, non risponde la fanciulla desiderata «ma un agente della compagnia che propone immediatamente un incontro e promette l’offerta di svariate proposte. Qui scatta la trappola: l’appuntamento è fissato in luoghi come bar w ristoranti, persino caselli autostradali dove l’obiettivo è ottenre subito la firma di un contratto da 2.000 euro per dieci proposte o 3.500 per venti». L’accordo, però, deve essere “incoraggiato”. «Facendo leva su uno stato psicologico imbarazzato, sull’età che avanza, sulla solitudine ottengono una firma senza lettura delle clausole da parte del cliente». Qui, anche per imprudenza del cliente, iniziano i dolori. «Si compila una lista di desideri e dopo pochi giorni, con raccomandata, arriva a casa un catalogo di proposte, buona parte delle quali totalmente diversa dai desiderata. Non solo, provando a chiamare le papabili compagne ci si imbatte in indisponibilità, donne non più iscritte e cellulari muti. Passano rapidamente dieci giorni». Intervallo chiave perché sui contratti fuori sede, chiamati “porta a porta”, esiste un diritto di recesso, così la contestazione scritta delle proposte esercitabili entro dieci giorni. «Difficile ottenere anche solo una delle due: il recesso del contratto è contestato perché l’agenzia rivendica il grande lavoro dei primi giorni e pretende il pagamento delle proposte inviate. La contestazione del “catalogo”, invece, è difficile deciderla entro dieci giorni a fronte di rinvii e telefoni che non rispondono». A quel punto, non resta che accettare la sconfitta o richiedere altre proposte, con conseguente lievitazione del prezzo. Il contratto, intanto, è un lenzuolo fitto di clausole e gli agenti si guardano bene dal permetterne una lettura serena. Il consiglio del Centro Consumatori è di farsi consegnare una copia in bianco per valutarla: «Un’azienda seria, e ci sono, non avrà problemi a fornirvela». Gli agenti in questione, interpellati telefonicamente fingendoci clienti, respingono bruscamente la richiesta: «Il contratto va firmato subito, non li consegniamo per letture private». (a.c.)