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venerdì 25 luglio 2014

Scuola di San Giacomo, nuove aule e palestra


LAIVES. Una scuola a metà che ha bisogno di essere completata. A metà tra italiani e tedeschi, a metà tra Bolzano e Laives. L'Istituto di San Giacomo da diversi anni lamenta un sovraffollamento preoccupante: gli ultimi dati disponibili parlano di 197 alunni e 32 insegnanti da gestire in spazi adatti ad ospitarne molti meno. Non a caso una classe è ospitata da anni in un container. La vicinanza con Maso della Pieve, infatti, porta molti bolzanini a guardare un passo oltre il confine, così come fanno alcuni laivesotti. Risultato? San Giacomo conta 3.583 residenti ma la sua scuola è appetita da un bacino più ampio. Nasce così la necessità di effettuare un ampliamento studiato a fondo dallo studio dell'architetto Peter Paul Amplatz e rimasto nel cassetto fino a pochi giorni fa quando il Comune di Bolzano ha deciso di metterci del suo, assieme a quello di Laives in un'apposita convenzione.
Il sì di Bolzano. «Faremo la nostra parte», la conferma telegrafica dell’assessore comunale di Bolzano Judith Kofler Peintner. Troppo complicato pensare di spostare tutti gli alunni del capoluogo nelle strutture di Oltrisarco: meglio provare a mettere sul piatto un intervento che può variare tra i 5 milioni e i 5,4 milioni.
Il progetto. Amplatz, infatti, ha redatto un approfondito studio di fattibilità che propone due opzioni. «La base di partenza è un ampliamento autonomo nella zona tra l'edificio attuale e la strada collocata a est, lungo via Maso Hilber, compartecipata al 50% dai due Comuni. Si potrebbe, però, realizzare l'ingresso principale a est oppure rivolto a nord. La prima soluzione costa circa 400 mila euro».
Scartata l'idea di un rialzamento della struttura principale. «Non si può. La fondazione a trave rovescia crea problemi statici troppo rilevanti». L'ampliamento, chiaramente, dovrebbe servire la parte più didattica, mentre il blocco principale sarebbe interessato dalla realizzazione di una mensa nuova di zecca al piano terra, al posto della vecchia palestra, e al piano superiore una microstruttura per l'infanzia. Da creare ex novo, a quel punto, anche una nuova palestra. Chiari i riferimenti quantitativi delle aule. «Per la scuola italiana calcoliamo la necessità di 16 aule, 10 per la didattica e 6 per il sostegno. La parte tedesca, invece, necessita di 5 aule di insegnamento e 3 per il sostegno. Un totale complessivo di 24». Sufficienti per far fronte a un potenziale afflusso in aumento sottolineato pure dallo studio di fattibilità commissionato dalle amministrazioni.
I tempi. Due, comunque, i punti forti di una simile riorganizzazione: bassissimo impatto ambientale e la possibilità di effettuare i lavori durante il periodo scolastico. Certo, non proprio la situazione ideale per docenti e bambini, ma i tempi non saranno biblici. "Solo di cantieristica - continua Amplatz - potremmo ipotizzare massimo un anno e mezzo di lavoro. Dal punto di vista delle procedure, invece, la questione è assai più delicata perché dopo l'accordo per il finanziamento Laives dovrà preparare un bando. I tempi, in questo caso, si fanno più incerti". Intanto crescono gli iscritti. 
Alan Conti (www.altoadige.it)

giovedì 24 luglio 2014

San Paolo, le settimane del gusto


Il giro del palato altoatesino in due settimane. Tornano a San Paolo le Settimane Enoculturali organizzate dall'Associazione Turistica di Appiano arrivate, ormai, alla 16esima edizione consecutiva. Un appuntamento atteso in Bassa Atesina, dove ancora una volta si celebra Sua Maestà il vino, ma anche nel resto della Provincia e tra i tanti turisti. Dal 24 luglio al 5 agosto, dunque, occhi puntati sul grazioso paesino per un succedersi di appuntamenti decisamente interessanti. Approdo naturale per enologi, gourmet o semplici amanti della forchetta. Partenza fissata per giovedì sera dalle ore 20 con la Passeggiata del Vino a cura dei viticoltori di Appiano che metteranno in bella mostra vini e distillati affiancati agli assaggi nostrani. La cantina ospite per le vie di San Paolo quest'anno sarà la Tiefenbrunnen di Cortaccia pronta a un ruolo da protagonista. L'occasione, ovviamente, è quella di una degustazione all'aria aperta che permette un contatto diretto con produttori ed operatori. Della parte gastronomica, comunque, si occuperanno Paulser Hof, il bar Mondschein e il bar enoteca Schreckenstein. Il formaggio sarà griffato dalla Mila, la carne dalla macelleria Ebner e altre bottiglie saranno stappate dall'enoteca Vis a Vis.Venerdì si replica ed è la volta delle “Dolcezze della cucina contadina e della cantina”. In primo piano, naturalmente, gli zuccheri con roulade di grano saraceno, canederli di albicocche, Krapfen di Predonico e ciambelle di mele.
Tutto annaffiato da vino da dessert o spumante altoatesino. Il programma, decisamente fitto, vivrà il 29 luglio il clou più noto: la tavolata cumulativa per le strade del paese. La cena sarà affidata allo chef stellato Herbert Hintner quindi la garanzia di qualità è assoluta. Resta il conto che rischia di essere piuttosto “salato” per le tasche popolari: 130 euro a persona. Ma la qualità è garantita. (Informazioni all 0471 662206 21). «Si tratta di un’atmosfera unica – spiega il direttore dell’Azienda Turistica di Appiano Thomas Rauch – che ogni anni ci sforziamo di rendere appetibile e appagante. Siamo molto soddisfatti della collaborazione che siamo riusciti a creare tra turismo e agricoltura lungo tutta l’iniziativa. Si tratta di un volano prezioso per il nostro territorio». Sempre il 29 luglio da segnare un interessante seminario sul vino, mentre il 31 il paese di San Paolo sarà al centro dell’interesse di un’apposita visita guidata. Spazio ai giovani, invece, il primo di agosto con l’evento specifico Big Bottle Party, mentre è curiosa la chiusura fissata al 5 agosto sotto i tigli vicino alla chiesa del paese. Nacque tutto lì sedici anni fa: giusto chiudere il cerchio. 
Alan Conti (www.altoadige.it)

mercoledì 23 luglio 2014

Il missionario bolzanino che aiuta i mussulmani


BOLZANO. «Difendiamo la gente musulmana dai ribelli cristiani». Basta una frase per comprendere la caratura di quello che sta vivendo padre Stefano Molon, missionario bolzanino impegnato da anni nella Repubblica Centrafricana.
Un Paese con un’estensione doppia rispetto all’Italia, cuore dell’Africa, che il religioso non esista a definire “sderenato” da anni di battaglie cruentissime che sono prima di potere e poi di religione. Islamici e cristiani si confrontano senza pietà con le forze internazionali sullo sfondo, specie la Francia, a mani legate. «È una storia di conflitti storici, ma nell’ultimo anno la situazione è precipitata» ci racconta con calma e accuratezza. «Nel dicembre 2003 i ribelli musulmani di Seleka, tutti stranieri, hanno preso con la forza il potere imponendo Michel Djotodia come Capo di Stato. Il Centrafrica, originariamente, non era uno Stato con presenza islamica: sono tutti arrivati per iniziativa della colonia francese andando ad occupare posti amministrativi ed economici di rilievo. Da lì il passo al potere non è lungo. L’anno scorso il tracollo».
La maggioranza della popolazione, però, è cristiana e ben presto si è organizzata per una controrivoluzione guidata da gruppi chiamati Antibalaka. «Un movimento spietato in grado di ammazzare a sangue freddo tutti i mussulmani e che ha letteralmente spaccato il Paese innescando un’autentica caccia all’uomo. Il nostro vecchio centro missionario Carmel oggi è rifugio per 10.000 disperati mentre dove sono ora, a Bouar, per due settimane ne abbiamo avuti 2.500. Scappano tutti e noi abbiamo il dovere di provare a proteggerli». La controffensiva, però, si configura come cristiana: appare quasi un paradosso sincopato.
«Quelle persone non hanno nulla di cristiano, né nello spirito né nei comportamenti: trucidano le famiglie, radono al suolo le moschee e i paesi. Tra loro, poi, si mischia molto banditismo. Si ricoprono di amuleti e di certo non sono avvicinabili da un punto di vista religioso. A noi hanno rubato di tutto, anche se di norma tendono, come minimo, a rispettarci».
Le forze internazionali nicchiano? «I francesi si limitano a guardare, tra due o tre mesi dovrebbe esserci un intervento dei caschi blu con più operatività. Intanto nel nostro centro abbiamo alcuni militari camerunesi che piantonano: dubito possano fare molto, ma almeno servono da deterrente. Vivere laggiù è pericoloso e siamo molto preoccupati».
Molon in questi giorni è a Bolzano, ma martedì tornerà in quella che ora è casa sua. «Girare per le città non è pericoloso solo se si percorrono le arterie principali, ma nei quartieri residenziali la gente gira armata e non si esita ad uccidere. La scuola non esiste più e la giustizia si fa da soli».
C’è poi un’unica strada cruciale e vitale. «È il manto asfaltato che porta i viveri nel Paese dal Camerun. È l’unica via d’accesso e i tir viaggiano solo con convogli scortati dai militari per paura che i camionisti siano uccisi. Il compito principale dei francesi è tenere questa lingua di transito libera perché se viene bloccata si blocca tutto il Centrafrica. Intanto i prodotti cominciano a scarseggiare e i prezzi schizzano verso l’alto». Un inferno per cuori forti col crocifisso al collo.
Alan Conti (www.altoadige.it)

venerdì 18 luglio 2014

Il riccio, un bolzanino particolare


BOLZANO. Di lui dicevano rubasse il latte alle mucche e trasportasse scorte alimentari sugli aculei. Leggende di un tempo sul riccio europeo che, in realtà, è uno degli animali più innocui della città. Già, pur essendo selvatico molti di loro sono bolzanini a tutti gli effetti con le tane a un tiro di schioppo dai condomini. Basta gironzolare di notte nei posti giusti per conoscerli un poco più da vicino. Peraltro il rischio più grosso per la loro esistenza è proprio l’essere umano.
Andando con ordine, comunque, si può partire dalla punta: gli aculei. Ogni singolo riccio ne ha tra i 6 e gli 8 mila, una bella schiera ingarbugliata, quindi attenzione se facesse capolino la poco appropriata idea di accarezzarli per curiosità. Il fatto che sia semplice incontrarlo dipende dalla sua predilezione per i centri abitati e dalla sua abitudine di gironzolare sotto le stelle a caccia di insetti arrivando a percorrere anche 3 chilometri per notte. Il riccio che verso fa? Bella domanda perché non emette spesso suoni, ma durante la caccia soffia e starnutisce mentre durante l’accoppiamento sembra decisamente una persona che russa. Va capito dato che la prassi prevede un inseguimento della femmina che si nega per ore. Come vuole il buon senso è assolutamente da evitare l’offerta di cibo “umano” ai ricci che non ne hanno bisogno, anche se lo prendono senza troppi complimenti. Meglio si cibino degli insetti. Apprezzabile, invece, mettere a disposizione una ciotola d’acqua. No, invece, al latte: lo bevono, ovvio, ma non è sano. In inverno impossibile trovarne perché si ritirano in letargo rallentando il metabolismo e arrivando addirittura a respirare solo 5 volte in un minuto. In agosto, invece, arriva il mese dei cuccioli e non è raro scorgerne qualcuno. Faine, volpi, cinghiali, tassi e gufi sono i predatori naturali del riccio, ma i più pericolosi sono il cane e l’uomo. Il primo, chi è padrone lo sa, ha innato l’istinto di cacciarlo mentre il secondo, al solito, ha una vasta gamma di opzioni per metterlo in pericolo. Sono un milione, per esempio, i ricci che ogni anno vengono investiti dalle auto in transito in Germania. I lavori di giardinaggio, invece, spesso comportano pericolosi veleni e in spazi più aperti letali possono essere le reti utilizzate per pascoli e viti, comprese quelle elettrificate. Qualcuno, inoltre, finisce a picco nelle piscine morendo affogato. Per evitare ogni tentazione, comunque, va ricordato che i ricci trovatelli non possono mai diventare animali domestici. Dopo 5 giorni di custodia vanno segnalati alle autorità e in caso di necessità è bene contattare immediatamente il Servizio Veterinario.
Alan Conti (www.altoadige.it)

Metrobus, ecco le nuove pensiline


Il metrobus avrà delle pensiline “sorelle”: tutte con una fisionomia simile eppure tutte caratterizzate da alcune peculiarità. E’ il risultato della scelta che la giuria qualificata ha fatto nelle scorse settimane tra ben nove diversi progetti concettuali sulle fermate del bus express tra Caldaro e Bolzano. Ieri, all’interno della vecchia stazione di Appiano a San Michele, la presentazione di tutti i lavori arrivati alla commissione con l’indicazione del vincitore.
 L’architetto Markus Scherer, aiutato da Barbara Breda, Miriam Lopez Romero e Christa Kerschbaumer, ha ideato un profilo modulabile di colore verde che presenta una struttura standard, ma può essere composto in varie tipologie d’uso. L’imprinting è quello del Lego: pezzi simili, ma con dettagli e finalità differenti. Si tratta, poi, dell’aspetto che più ha colpito i giurati. “Ci sono 3 varianti di prefabbricati di calcestruzzo che permettono una molteplicità di soluzioni in ogni singolo luogo – spiega la coordinatrice del concorso Gertrud Kofler – senza perdere coerenza compositiva. L’approdo naturale di questa impostazione è la possibilità di modellare una sensibile relazione con l’esistente lasciando spazio all’identificabilità dei posti. Gli elementi, inoltre, sono tutti di facile manutenzione”. Ci sono, inoltre, altri aspetti da rilevare. Sul tetto conformato per far defluire al meglio l’acqua piovana, per esempio, sarà presente pure un impianto fotovoltaico per ogni evenienza mentre stuzzica l’uso del verde. Lungo l’asfalto, infatti, dovrebbe correre una striscia di colore che riprenda quello previsto per il logo del metrobus: una pavimentazione innovativa. “La commissione ha suggerito di ponderarne bene l’intensità” la preoccupazione di Kofler di fronte a un entusiasta assessore provinciale Florian Mussner: “Già in passato tentammo di cambiare il colore della carreggiata in verde all’Alpe di Siusi, ma non ci riuscimmo. Ora sarei molto contento di poter mettere in pratica questa soluzione che richiama, anche culturalmente, il forte legame dell’Alto Adige con i concetti green”. Al di là della striscia d’asfalto colorata ci sono altri rilievi che la commissione ha avanzato a un progetto che, è bene ribadirlo, è ancora lontano dall’essere esecutivo. “Vanno studiati bene diversi dettagli come la cura del concetto grafico, la visibilità dei pannelli pubblicitari e il numero di posti per le biciclette che rischia di essere sottostimato”. Sempre del progetto Scherer la proposta di creare una corsia preferenziale del metrobus all’interno della rotonda di Caldaro che permetta al mezzo pubblico uno svicolo più rapido.
 Presente all’inaugurazione anche il sindaco di Appiano Wilfried Trettl che ha fatto gli onori di casa presentando uno spazio “che sarà dedicato interamente alla mobilità mettendo in primo piano proprio il metrobus”. Una scelta che trova l’assenso di Mussner. “Il collegamento con l’Oltradige è una scelta logistica di cui siamo sempre molto convinti ed è importante che la popolazione sia coinvolta. In totale arriveremo a una spesa tra i 25 e i 30 milioni di euro, ma vogliamo si cominci a toccare con mano questo nuovo potenziale. La pensilina di San Michele, per questo motivo, avrà un suo rinnovamento definitivo secondo il progetto in poco tempo”.
 Tra il pubblico, infine, spunta anche Josef Spitaler, residente che non fa mistero di preferire il tram. “Il, bus non serve a nulla perché sempre condizionato da eventuale traffico o tamponamenti”. Quando hai la sensazione di aver perso il treno difficilmente ti interessa il colore della stazione.
 Alan Conti (www.altoadige.it)

giovedì 17 luglio 2014

Cosa resterà di questo Mondiale?

BOLZANO Gli echi della samba hanno finito per spegnersi nello scontro secco dei boccali da un litro di birra per le strade di Monaco, Berlino, Stoccarda, ma anche di alcuni paesi altoatesini. Di questo Brasile 2014 sappiamo ormai tutto, compresa la vittoria di quella Germania che alle nostre latitudini è sempre qualcosa più di una cugina. I caroselli locali non sono certo mancati, così come le stilettate sui social network. A distanza di mesi, passate le polemiche, cosa rimarrà veramente di questa rassegna iridata? Lo abbiamo chiesto ad alcuni volti noti dei più disparati settori del panorama bolzanino. «Da un punto di vista tecnico non molto, anche se il 7-1 in semifinale entrerà nella storia del calcio – l’opinione di Michele Buonerba – però queste manifestazioni si rivelano sempre molto dispendiose e poco gratificanti per il Paese. Le infrastrutture promesse da Lula sono rimaste incomplete e a Manaus hanno costruito uno stadio da 15 mila persone quando hanno una squadra di serie C con una media di 700 spettatori». Identica amarezza per Elio Cirimbelli: «I debiti del Brasile resteranno, come l’amarezza per la poca umiltà della nostra Italia. Tifavo Argentina per la mia simpatia verso papa Francesco». Schematico Alessandro Bertoldi: «Tre cose. La Merkel ora è ancora più forte, il presidente brasiliano rischia di prenderle per strada e la nostra Nazionale come specchio del nostro Paese». Stesso concetto per Alessandro Corrarati: «Abbiamo troppe persone attaccate alla panchina senza saper dare grandi risultati. Il calcio non è più solo un gioco, ma un affare economico». Mette i puntini sulle i, invece, Andreas Unterkircher: «Avevo detto che molti ragazzi omosessuali guardano i Mondiali per vedere bei calciatori, ma sono in tantissimi che hanno guardato la manifestazione con un interesse tecnico e appassionato». Caustico, al solito, Oscar Ferrari: «Rimarrà il rigore. Quello di Vlaar che forse era gol, il, portiere che entra apposta per pararlo e quello che la Merkel voleva dall’arbitro solo perché italiano». Per Ilaria Piccinotti «La Germania ha vinto meritatamente e dovrebbe esserci da esempio» e per il collega Alessandro Huber «è stato il mondiale dei portieri, un circo che ha retto anche l’urto di una guerra o simile in Palestina». Parole piene di valori quelle di Emanuela Imprescia, presidente dell’Admo. «È sempre bello vedere una nazione che si unisce annullando le differenze per tifare. Mi piacerebbe che questo sport si unisse di più per promuovere la battaglia di offrire la vita per gli altri». Per Dado Duzzi, invece, l’eliminazione dell’Italia «ci ha liberato dall’obbligo della tifoseria per apprezzare nel giusto merito le squadre migliori». Elena Bonaldi, dal canto suo, è rimasta colpita «dalle lacrime dei brasiliani, bambini e anziani. Un popolo ancora innamorato del proprio Paese». «Dati gli ingenti investimenti – le fa eco Carlo Visigalli – quella sconfitta non è stata solo della nazionale, ma di un intero popolo». Vanja Zappetti mette in fila le emozioni: «L’1-7 del Basile è stato il crepuscolo degli dei, ma è anche stato il mondiale di un ponte crollato di pancia con un autobus sotto e della Costa Rica, mai sconfitta, la cui somma degli stipendi non copre mezzo anno di Messi». Chiusura con l’occhio tecnico di Stefano Pagani: «Prendiamo nota dello sviluppo tedesco del settore giovanile. Molti di questi giocatori sono stati campioni under 20. Credo questo debba essere l’insegnamento di questa manifestazione».
Alan Conti (www.altoadige.it)

giovedì 10 luglio 2014

Il new Giamar è la scommessa delle giovani Allegri


Come fanno i giovani a costruirsi una strada? Semplice, ci provano e rischiano quando trovano l’occasione giusta. E’ questa la scelta che hanno fatto Martina e Sarah Allegri, sorelle di 27 e 19 anni, che un anno fa hanno deciso di prendere in mano le redini del bar New Giamar in via Torino. Parliamo di una sorta di piccolo simulacro storico della strada  per i residenti del quartiere.
 Una scommessa non facile, anche perché il bancone non è sempre l’approdo naturale di due giovani fanciulle. Bisogna avere polso, carattere e una certa predisposizione al sorriso. “Io ho fatto un percorso di Ragionerie – spiega Martina, la più grande – mentre Sarah si era da poco diplomata all’Ipc. Entrambe non vedevamo particolari sbocchi davanti a noi, così quando si è presentata l’opportunità ci siamo rimboccate le maniche e ci siamo buttate”. Martina aveva già lavorato nel settore, al bar del Lido, e in qualche modo la palestra professionale l’aveva frequentata. Per Sarah, però, tutto nuovo. “E’ stata brava perché ha imparato in fretta. Nei primi mesi sono rimasta spesso qui con lei e ci siamo aiutate e supportate a vicenda. Lo ammetto, per tre settimane non ho chiuso occhio prima di aprire. Ci rendevamo conto del rischio imprenditoriale, ma oggi siamo contente”. Qualche giorno fa la festa con clienti e amici per l’anno di un’attività che è entrata presto nel tessuto più intimo del rione. Più delle gestioni precedenti, a detta di qualche residente. “Non  spettanoCome fanno i giovani a costruirsi una strada? Semplice, ci provano e rischiano quando trovano l’occasione giusta. E’ questa la scelta che hanno fatto Martina e Sarah Allegri, sorelle di 27 e 19 anni, che un anno fa hanno deciso di prendere in mano le redini del bar New Giamar in via Torino. Parliamo di una sorta di piccolo simulacro storico della strada  per i residenti del quartiere.
 Una scommessa non facile, anche perché il bancone non è sempre l’approdo naturale di due giovani fanciulle. Bisogna avere polso, carattere e una certa predisposizione al sorriso. “Io ho fatto un percorso di Ragionerie – spiega Martina, la più grande – mentre Sarah si era da poco diplomata all’Ipc. Entrambe non vedevamo particolari sbocchi davanti a noi, così quando si è presentata l’opportunità ci siamo rimboccate le maniche e ci siamo buttate”. Martina aveva già lavorato nel settore, al bar del Lido, e in qualche modo la palestra professionale l’aveva frequentata. Per Sarah,. Però, tutto nuovo. “E’ stata brava perché ha imparato in fretta. Nei primi mesi sono rimasta spesso qui con lei e ci siamo aiutate e supportate a vicenda. Lo ammetto, per tre settimane non ho chiuso occhio prima di aprire. Ci rendevamo conto del rischio imprenditoriale, ma oggi siamo contente”. Qualche giorno fa la festa con clienti e amici per l’anno di un’attività che è entrata presto nel tessuto più intimo del rione. Più delle gestioni precedenti, a detta di qualche residente. “Non  spettano a noi i confronti – si schermisce Martina – ma di sicuro abbiamo ottimi rapporti con gli esercenti e i negozianti vicini. Persino con i colleghi degli altri bar ci troviamo a meraviglia: con il Cin Cin, per esempio, ci scambiamo i prodotti se per caso li esauriamo improvvisamente. Credo sia questo, alla fine, lo spirito giusto tra persone che lavorano a un obiettivo comune, ciascuno con la sua clientela e il suo spazio”.
 Certo che in un bar può capitare di ritrovarsi curiosi clienti intinti nell’alcol, maschietti provoloni non sempre appropriati o situazioni ingarbugliate da gestire per due ragazze. Ci si fa il callo? “Fortunatamente spesso alla sera abbiamo nostro padre, Antonio, che ci aiuta. Per il resto ci si abitua e si impara comportarsi nelle varie circostanze. Noi, comunque, chiudiamo massimo alle 21 e già con questa scelta si evitano moltissimi crucci o situazioni poco gradevoli”.  Al piano di sopra, poi, abitano gli zii. “Sì ed è proprio grazie a loro che siamo arrivati in questo locale. Quando l’ultima gestione ha deciso di lasciare ci hanno avvertite e subito ci è sembrato adatto. La zona funziona: non ci sbagliavamo”. Come spesso succede, poi, da un mestiere si finisce per impararne un altro. “A volte raccogliamo le confidenze dei clienti e con il tempo siamo diventate praticamente delle psicologhe gratuite. Sappiamo che il nostro lavoro prevede questo e un bel sorriso sempre presente”. Se la tua scommessa dopo un anno ha un profilo vincente diventa pure più semplice.
  a noi i confronti – si schermisce Martina – ma di sicuro abbiamo ottimi rapporti con gli esercenti e i negozianti vicini. Persino con i colleghi degli altri bar ci troviamo a meraviglia: con il Cin Cin, per esempio, ci scambiamo i prodotti se per caso li esauriamo improvvisamente. Credo sia questo, alla fine, lo spirito giusto tra persone che lavorano a un obiettivo comune, ciascuno con la sua clientela e il suo spazio”.
 Certo che in un bar può capitare di ritrovarsi curiosi clienti intinti nell’alcol, maschietti provoloni non sempre appropriati o situazioni ingarbugliate da gestire per due ragazze. Ci si fa il callo? “Fortunatamente spesso alla sera abbiamo nostro padre, Antonio, che ci aiuta. Per il resto ci si abitua e si impara comportarsi nelle varie circostanze. Noi, comunque, chiudiamo massimo alle 21 e già con questa scelta si evitano moltissimi crucci o situazioni poco gradevoli”.  Al piano di sopra, poi, abitano gli zii. “Sì ed è proprio grazie a loro che siamo arrivati in questo locale. Quando l’ultima gestione ha deciso di lasciare ci hanno avvertite e subito ci è sembrato adatto. La zona funziona: non ci sbagliavamo”. Come spesso succede, poi, da un mestiere si finisce per impararne un altro. “A volte raccogliamo le confidenze dei clienti e con il tempo siamo diventate praticamente delle psicologhe gratuite. Sappiamo che il nostro lavoro prevede questo e un bel sorriso sempre presente”. Se la tua scommessa dopo un anno ha un profilo vincente diventa pure più semplice.
Alan Conti (www.altoadige.it)

mercoledì 9 luglio 2014

La Maturità? A 40 anni

BOLZANO. Per amore. Di se stessi, della propria professione, di un percorso accademico, ma anche l’uno dell’altro. L’esame di Stato di quest’anno a Bolzano regala una storia tutta particolare nelle aule dell’Ipsct De Medici di via San Quirino. Seguiti durante l’anno dalla dirigente Gabriella Kustatscher, infatti, si sono presentati davanti alla commissione Lorena Azzolini e Fabrizio Dotta, rispettivamente 41 e 42 anni, entrambi infermieri all’ospedale di Bolzano e fidanzati. Ci arrivano dopo anni di scuola serale: tra i banchi fino a mezzanotte dopo giornate di lavoro. Far defluire le scorie professionali e intingersi nella mentalità scolastica: impegno duro, non semplice. Prima, seconda, terza e quarta prova poi l’orale. Risultato? 200, nel senso che entrambi sbancano il diploma con il massimo dei voti. «È stata un’esperienza forte, intensa e comunque emozionante», le parole di Azzolini. «Ci tenevo particolare a centrare un buon punteggio perché il diploma mi serve per continuare la carriera accademica a Trento, facoltà di psicologia. Ero determinata a seguire un percorso statale triennale che non condensasse tutte le nozioni in un lasso di tempo ridotto. Una scelta che alla fine ha pagato». Identico l’obiettivo per Dotta: «Mi orienterò su un percorso specializzante della Claudiana». Tutto, naturalmente, se compatibile con gli orari di lavoro. Studiare, insomma, è affare ingarbugliato nella gestione dei tempi, ma può aprire curiosi percorsi professionali a patto di metterci l’appropriata convinzione. Interessante, inoltre, il capitolo tesine per gli orali. «Mi sono concentrata sulla violenza di genere – spiega Lorena – perché si tratta di un argomento che ho a cuore e nel quale mi piacerebbe trovare pure uno sbocco professionale». Kustastcher oltre che dirigente scolastica è anche presidente di Gea. «Non lo sapevo ed è stata una splendida scoperta. È stato utile confrontarmi con lei». Più classico il tema portato da Fabrizio. «Ho analizzato i totalitarismi con un occhio interessato a quanto sta avvenendo anche nella politica contemporanea. In questo modo ho potuto spaziare comodamente tra le varie materie”. Com’è, però, l’atteggiamento dei professori verso due adulti che si presentano davanti alla commissione? «Sono stati carini perché hanno dimostrato di comprendere a fondo la nostra situazione. È stato bello scoprire che nel giudizio hanno voluto sottolineare il nostro impegno nell’essere anche lavoratori».
Alan Conti

sabato 5 luglio 2014

Margheri: megastore, troppe pressioni

BOLZANO. «Che senso ha fare una delibera con continui rimandi al Masterplan e al progetto dell’Areale negandone, però, i presupposti?». Guido Margheri, consigliere comunale di Sel, ha preso la lente in mano e sottolineato tutte le incongruenze dei criteri adottati dalla giunta comunale in vista della gara alla riqualificazione del quadrante di via Alto Adige. Una riflessione che affonda le radici da lontano, a partire da quell’articolo 55/quinques segnalato all’Autorità nazionale anticorruzione: «Non possiamo accettare il meccanismo di una legge che non ha accorciato i tempi, permettendo solo una via privilegiata alle pressioni esterne». L’appello di Margheri è rivolto all’Areale e ai riflessi, diretti e indiretti, che l’operazione megastore potrebbe avere: «Di fatto si sta rinunciando a uno sviluppo significativo del commercio nel progetto di Arbo. La delibera dice di voler salvaguardare i 6.000 metri cubi della piazza ipogea, ma non si tratta certo della prima opera che sarà messa in piedi. Da un punto di vista delle risorse per l’avviamento poteva essere prezioso contare su qualche spazio in più da spendersi subito». Non si rischia di allungare ulteriormente i tempi con il miraggio Arbo? «Penso si possa anche ipotizzare di stralciare e anticipare l’intervento che il team di Boris Podrecca ha tratteggiato per l’area dell’autostazione». Anche entrando nel dettaglio della delibera, Margheri ha diversi appunti: «Bisogna ammettere che ci si è concentrati pochissimo sulla varietà delle possibili destinazioni d’uso. Ci si limita a parlare del centro congressi, ma perché non si è ipotizzato un secondo albergo? Si poteva pensare ad alloggi per anziani o atelier artigianali per dare dinamicità al tutto». E mancano totalmente riferimenti concreti alla contropartita “pubblica”».
Alan Conti (www.altoadige.it)

Cuccioli selvatici, vietato toccare

BOLZANO Non toccate i cuccioli di animali selvatici perché accudirli può significare ucciderli. Involontariamente, certo, ma pur sempre porre fine a una vita. Il paradosso è un grido di allarme lanciato da Christian Battisti, presidente dei cacciatori bolzanini ma anche attento curatore degli animali del circondario di Bolzano. Il che appare un controsenso, ma in questo caso è esattamente così. A metà maggio e metà giugno, infatti, nei boschi si assiste alla naturale nascita dei cuccioli che naturalmente punteggiano il panorama naturale altoatesino. Parliamo di caprioli, cerbiatti, lepri e svariate specie di uccellini. Tra un albero storto e un cespuglio raso, però, può capitare di avere la fortuna di incrociare qualcuno di questi piccoli e l’impulso di toccarli può essere forte, figuriamoci se sono soli. «Purtroppo si tende ad equivocare la loro condizione. Il fatto che siano senza mamma non significa per forza siano stati abbandonati. Anzi, il più delle volte le madri tornano solo un paio di volte al giorno per allattare e nulla più». E’ qui che va tenuto a freno l’istinto galeotto perché poi bisogna fare i conti con una condanna. «Se solo si tocca il cucciolo questo diventa inodore e non viene più riconosciuto. Si rischia di costringere questi piccoli a un futuro incerto: se va bene un difficilissimo svezzamento in recinto, ma è più facile incontrino la morte». Ad aiutare Battisti anche il veterinario specializzato Vincenzo Mulè e la richiesta di un battage informativo più tambureggiante. «Negli ultimi giorni il fenomeno sta rallentando, semplicemente perché molti cuccioli stanno crescendo. E’ importante, però, che nella prossima stagione ci si impegni per ripetere a ogni angolo che i piccoli non vanno toccati per nessuna ragione al mondo». La Provincia potrebbe anche prendere nota viste le tante campagne promosse negli ultimi mesi. Tuttavia è davvero così diffusa l’abitudine di portarsi, per esempio, un cerbiatto a casa? «Sembra incredibile, ma sì. Registriamo tra i 3 e i 5 casi a stagione e per una realtà come la nostra si tratta di grandi numeri. Senza contare le specie più piccole e quelle di cui non abbiamo notizia. La zona maggiormente interessata dal fenomeno è la cintura immediatamente limitrofa alla città. Purtroppo sottovalutiamo troppo questo aspetto». Bambini, mamme, papà: vi piacciono quegli occhioni, quelle zampette, quel beccuccio? Lasciatele lontane dalle vostre mani. Parrà strano, ma quell’albero storto, quel cespuglio raso è il loro approdo naturale. Rispettiamolo.
Alan Conti (www.altoadige.it)

Asl, la cura del risparmio


BOLZANO. L’Azienda Sanitaria risparmia, o meglio, spende meno di quanto aveva preventivato. Presentato ieri alla scuola Claudiana la pioggia di numeri legati al bilancio consuntivo nella sanità del 2013 punteggiato di segnali positivi parametrati, però, sulle previsioni. Rispetto al piano di previsione dei costi, infatti, le spese affrontate sono state di 2,75 milioni inferiori a quanto ipotizzato pur attivando i nuovi servizi di psichiatria dell’età evolutiva a Merano e neuro-riabilitazione a Vipiteno. Scongelando dal freezer i numeri del 2012 l’Azienda Sanitaria sottolinea come i costi complessivi risultino ridotti di 22 milioni di euro per una contrazione dell’1,79%. Il tutto in un contesto che vede le assegnazioni della Provincia di Bolzano diminuire di 4,2 milioni. Il quadro dipinto dai vertici della sanità altoatesina, insomma, è a tutti i costi roseo e cinguettante pure nel campo delle prestazioni mediche. «Il mio credo – commenta il direttore dell’Azienda Sanitaria Andreas Fabi – è quello di salvaguardare i pazienti dalla riduzione delle spese complessive. I costi per i beni sanitari come i medicinali, le chemioterapie o i presidi medici sono aumentate nel 2013 del 4,48% con un importo complessivo pari a circa 133,7 milioni. Abbiamo attuato degli aumenti pure nel settore dell’assistenza tecnico-assistenziale con l’ampliamento della dotazione organica di 30 infermieri e 13 operatori specializzati».
Negli stessi dati si registra poi una diminuzione dei costi relativi al personale di 1,11 milioni di euro pari a un -0,19%. Merito, per esplicita ammissione, di misure di contenimento delle spese come la riduzione degli straordinari e delle ferie o una generica oculata sostituzione del personale. Buone nuove anche per il pronto soccorso. Nei mesi scorsi descritto come un albero piegato dal troppo lavoro senza un aiuto capillare dai medici del territorio, ieri è diventato una straordinaria risorsa. Sono aumentate del 4,45% le entrate totali legate al pagamento del ticket per un totale di 1,8 milioni di euro.
Salgono del 5,1% (16,6 milioni di euro) pure gli incassi per le prestazioni specialistiche. Non trattandosi di numeri economici il report scavalca a volo di gabbiano le statistiche sui tempi di attesa. Impressionante, infine, l’attività generale interna ai servizi. Sono stati 68.544 i ricoveri ordinari e 18.940 i day hospital con un totale di giornate di degenza pari a 444.943. Le prestazioni ambulatoriali ospedaliere sono 2,7 milioni, quelle di laboratorio per esterni 4,2 milioni. Gli accessi al pronto soccorso, intanto, raggiungono la cifra monstre di 239.695. Tirando una riga significa che nel 2013 ogni altoatesino ha usufruito in media di 5,2 trattamenti ambulatoriali e addirittura una persona su due si è rivolta direttamente al servizio di pronto soccorso. L’economia, insomma, sorride ma nel sottoscala c’è un quadro dell’organizzazione complessiva che invecchia e alcune crepe cominciano a vedersi nitide.
Alan Conti (www.altoadige.it)