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mercoledì 23 luglio 2014

Il missionario bolzanino che aiuta i mussulmani


BOLZANO. «Difendiamo la gente musulmana dai ribelli cristiani». Basta una frase per comprendere la caratura di quello che sta vivendo padre Stefano Molon, missionario bolzanino impegnato da anni nella Repubblica Centrafricana.
Un Paese con un’estensione doppia rispetto all’Italia, cuore dell’Africa, che il religioso non esista a definire “sderenato” da anni di battaglie cruentissime che sono prima di potere e poi di religione. Islamici e cristiani si confrontano senza pietà con le forze internazionali sullo sfondo, specie la Francia, a mani legate. «È una storia di conflitti storici, ma nell’ultimo anno la situazione è precipitata» ci racconta con calma e accuratezza. «Nel dicembre 2003 i ribelli musulmani di Seleka, tutti stranieri, hanno preso con la forza il potere imponendo Michel Djotodia come Capo di Stato. Il Centrafrica, originariamente, non era uno Stato con presenza islamica: sono tutti arrivati per iniziativa della colonia francese andando ad occupare posti amministrativi ed economici di rilievo. Da lì il passo al potere non è lungo. L’anno scorso il tracollo».
La maggioranza della popolazione, però, è cristiana e ben presto si è organizzata per una controrivoluzione guidata da gruppi chiamati Antibalaka. «Un movimento spietato in grado di ammazzare a sangue freddo tutti i mussulmani e che ha letteralmente spaccato il Paese innescando un’autentica caccia all’uomo. Il nostro vecchio centro missionario Carmel oggi è rifugio per 10.000 disperati mentre dove sono ora, a Bouar, per due settimane ne abbiamo avuti 2.500. Scappano tutti e noi abbiamo il dovere di provare a proteggerli». La controffensiva, però, si configura come cristiana: appare quasi un paradosso sincopato.
«Quelle persone non hanno nulla di cristiano, né nello spirito né nei comportamenti: trucidano le famiglie, radono al suolo le moschee e i paesi. Tra loro, poi, si mischia molto banditismo. Si ricoprono di amuleti e di certo non sono avvicinabili da un punto di vista religioso. A noi hanno rubato di tutto, anche se di norma tendono, come minimo, a rispettarci».
Le forze internazionali nicchiano? «I francesi si limitano a guardare, tra due o tre mesi dovrebbe esserci un intervento dei caschi blu con più operatività. Intanto nel nostro centro abbiamo alcuni militari camerunesi che piantonano: dubito possano fare molto, ma almeno servono da deterrente. Vivere laggiù è pericoloso e siamo molto preoccupati».
Molon in questi giorni è a Bolzano, ma martedì tornerà in quella che ora è casa sua. «Girare per le città non è pericoloso solo se si percorrono le arterie principali, ma nei quartieri residenziali la gente gira armata e non si esita ad uccidere. La scuola non esiste più e la giustizia si fa da soli».
C’è poi un’unica strada cruciale e vitale. «È il manto asfaltato che porta i viveri nel Paese dal Camerun. È l’unica via d’accesso e i tir viaggiano solo con convogli scortati dai militari per paura che i camionisti siano uccisi. Il compito principale dei francesi è tenere questa lingua di transito libera perché se viene bloccata si blocca tutto il Centrafrica. Intanto i prodotti cominciano a scarseggiare e i prezzi schizzano verso l’alto». Un inferno per cuori forti col crocifisso al collo.
Alan Conti (www.altoadige.it)

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