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mercoledì 29 ottobre 2014

Contro il tumore vince la terapia del sorriso

C’è la medicina delle terapie e quella del sorriso. Alla prima si tende a dare fiducia, alla seconda si riserva una benevolenza più retorica che pratica. Ecco la vera prospettiva che regala la mostra fotografica inaugurata ieri nel foyer del Municipio di Bolzano a firma di Emanuela Laurenti, trentenne bolzanina guarita dal linfoma di Hodgkin, e di Fabrizio Giusti, presidente del Fotoclub Immagine Merano.  Le sedici fotografie di un caleidoscopio in bianco e nero colorano di vita una lotta, inutile nasconderselo, contro la morte. Emanuela sorride e sbertuccia ironica un destino che ha messo i suoi piedi su un baratro lasciando la testa ben salda a terra. Tra una risata e una riflessione artistica, quindi, questi pannelli non formano solo una rassegna ma sono mosaico di una terapia. Senza paura di ammetterlo.

“Assolutamente – risponde con competenza il dottor Paolo Coser, presidente della sezione bolzanina della Lilt che ha organizzato l’installazione intitolata “Luce” – non bisogna sottovalutare questo messaggio psicologico. Emanuela ha saputo uscire dal buio e tenere bene davanti a sé la luce in fondo al tunnel attraverso uno spirito forte di analisi e divertimento. Di fatto ha esorcizzato la malattia e si è aiutata in modo sostanziale nel percorso di guarigione”. Un atteggiamento che è spia di un carattere solido, ma anche incoraggiante per il sistema altoatesino. “Un punto di vista così dirompente è possibile con determinate qualità personali collegate a un elevato grado di fiducia nei propri medici e nel sistema in cui mettono in pratica le terapie. E’ tutto il contesto che viene premiato da questa storia fotografica che è testimonianza e incoraggiamento”.

 Curiosamente durante il vernissage presentato da Paola Bessega si scopre che persino alcuni scatti hanno giocato un preciso ruolo nel percorso di guarigione come spiega lo stesso Giusti. “Alcune immagini sono fortemente metaforiche ricorrendo al parallelo con il pugilato. Non è stata solo e semplicemente una scelta artistica. In quel momento, infatti, c’era bisogno di allontanare alcune difficoltà e non c’è nulla di più efficace di un buon linguaggio metaforico per mettere a fuoco la giusta distanza”. Poi tocca direttamente ad Emanuela prendere la parola, intimorita più dal pubblico accorso che non dal raccontare un’esperienza comunque difficile. “I momenti peggiori sono stati la diagnosi e la perdita dei capelli. Attraverso le fotografie, per esempio, sono riuscita a trasformare la rasatura in un qualcosa di ironico e divertente. Ho dato a una tappa complicatissima una nuova fisionomia psicologicamente più accettabile e, di conseguenza, anche fisicamente”. Poi, tra una frase e l’altra, sgusciano fuori delle parole che sembrano quasi di contorno e invece sono di sostanza: “Queste foto riprendono attimi in cui onestamente non sapevamo come sarebbe potuto finire questo percorso”. Noi le guardiamo con la coscienza di chi conosce già un lieto fine che per quegli occhi è ancora oscuro. Iridi che sorridono dando una lezione.
Alan Conti

lunedì 27 ottobre 2014

Debra e il difficile volo dei bambini farfalla


Quanto gusto c’è in un abbraccio? Quanta libertà nel camminare scalzi a casa propria? Sono solo due delle sensazioni che i bambini farfalla non possono sentire sulla propria pelle aggredita da una malattia meschina che si infila nelle pieghe della vita quotidiana ingarbugliandola.

 Si chiama “epidermolisi bollosa”, ma nel nome comune si associa semplicemente alla delicatezza delle ali di una farfalla perché basta un nulla per causare delle ferite, esterne o interne, su una pelle colpita da fastidiose bolle. Una malattia che non ha cura e che rende la vita di tutti i giorni una sfida persino difficile da immaginare. Al loro fianco l’associazione Debra. In Alto Adige sono 15 i casi registrati e, a dispetto del nome, non si tratta di soli bimbi perché farfalle, purtroppo, lo si rimane per sempre. “Persino la banalità di un gesto come l’apertura di una porta – spiega Arabella Gelmini che si occupa della comunicazione per Debra –  diventa un’operazione da compiere con estrema delicatezza”. Difficile anche camminare. “Ci riescono se sono fasciati bene, ma il più delle volte si spostano in carrozzella. E’ necessario prestare estrema cautela pure nella frequentazione di posti affollati. Purtroppo basta un minimo tocco, anche involontario, per causare piaghe o ferite”.  Situazioni che non sono nemmeno troppo note tra la gente. “Devo essere sincera – continua Gelmini – ed ammettere che il mondo tedesco ha molta più coscienza del problema. Gli italiani lo conoscono meno, ma c’è sempre tempo per fare informazione”. Non è semplice, però, fare sempre i conti con gli altri. “Affatto e per esperienza posso dire che l’età peggiore è quella tra i 13 e i 18 anni. Nella fase di sviluppo, infatti, diventa davvero difficile fare i conti con una condizione così tanto invalidante”. Nemmeno trovare un lavoro appare una passeggiata. “Bisogna riuscire a ritagliarsi delle mansioni che siano logicamente compatibili con una condizione simile. E’ praticamente sempre necessario, inoltre, un accompagnamento”.

 La possibilità di aiutare chi è affetto da epidermolisi bollosa, tuttavia, esiste e non è nemmeno troppo difficile da mettere in pratica. “Si possono fare delle donazioni direttamente sul sito di Debra (www.debra.it) per sostenere la ricerca e i costi per i medicinali che alleviano le conseguenze della malattia”. Dal punto di vista della quotidianità, invece, come si allunga una mano verso persone che sanno di non poter guarire? “Molto semplicemente con piccoli interventi che a noi possono sembrare banalità e invece non lo sono affatto. Qualche tempo fa, per esempio, abbiamo comprato delle parrucche che hanno regalato nuova sicurezza ad alcune ragazze portandole ad uscire di più. Di solito, infatti, i capelli cadono. Una soluzione che ha permesso di evitare la chiusura in se stessi: il vero demone di una sfortuna che mette in pericolo la socialità stessa”. Distendere una mano, delicatamente, si può: se si chiamano farfalla, forse, è giusto aiutarli ogni tanto a librarsi in volo.
Alan Conti (www.altoadige.it)

domenica 26 ottobre 2014

Neruda, voglia di playoff

 L’anno scorso hanno preso quota, quest’anno si dovrà provare a volare definitivamente. In un campionato di serie A2 più stretto di un budello di montagna, dove tra playoff e retrocessione può passare il soffio di qualche punto, il Neruda Volley, presentato ieri ufficialmente, può certamente provare a dire la sua. Tredici le compagini al via (dopo il ripescaggio di Forlì in A2), da nord a sud, per una stagione che vedrà otto squadre agli spareggi promozione. Inutile girarci attorno: questo è l’obiettivo per considerare positivo il campionato della squadra targata Volksbank. Il roster, allestito dal presidente Rudi Favretto e dal coach Fabio Bonafede, è un mix di esperienza e promesse giovanili, tecnicamente valido e attrezzato per provare giocarsela da protagonisti. Fortuna permettendo. Gli infortuni di Valeria Papa (salterà i primi tre match) e Noemi Porzio (fuori tutta la stagione), infatti, hanno costretto la società, arricchita quest’anno dalla presenza di un direttore generale di esperienza come Luca Porzio, a tornare a sondare il mercato in banda. In arrivo, dunque, Lucia Bacchi, stella nazionale ad alti livelli indoor e nel beach volley. “Si tratta – le parole del presidente Favretto - di un innesto importante che ci permette di consolidare un gruppo che ritengo assolutamente in grado di correre per un posto ai playoff. Non voglio nemmeno pensare che una rosa simile possa rischiare la retrocessione”. Aspettative confermate dall’allenatore che, al solito, insiste molto sul tasto di un gruppo capace di forgiarsi nel carattere: “Ho sempre detto che contiamo su 14 titolari senza distinzione e lo stiamo dimostrando. Dalle ragazze pretendo sempre grinta, forza e la voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo. In questo campionato partiamo tutte pari a zero punti: possiamo dire la nostra”. Il Neruda, comunque, affiderà la regia alle mani dell’alzatrice tedesca Lena Moellers, curriculum di spessore tra A1 (l’anno scorso a Novara) e rappresentative nazionali, seguita dalla giovane promessa trentina Aurora Bonafini. Mettere giù i punti sarà compito del vertiginoso opposto estone Anna Kajalina (2.05 metri d’altezza). Nella batteria delle schiacciatrici, oltre al bomber Papa, ecco la mano di Francesca Trevisan, l’orgoglio altoatesino di Kathrin Waldthaler e la versatilità di Sara Bertolini, idolo di casa essendo di Bronzolo. Tra le centrali occhio alla scoppiettante Giuditta Lualdi e alla grinta calabrese di Vittoria Repice. Tanto ci si attende pure da Elena Gabrieli, reduce dalla serie A francese. Chiudono la rosa i liberi con il ritorno di Giulia Bresciani e la crescita controllata del gioiellino di casa Greta Filippin, 16 anni appena. Primo impegno di campionato domenica 2 novembre a Milano contro Club Italia, mentre l’esordio casalingo è in programma la settimana dopo al Palaresia contro Bakery Piacenza.
Alan Conti (www.altoadige.it)

lunedì 13 ottobre 2014

Sigismondi: "No alla lista unica"


Nessuna voglia di perdere la propria identità tornando a confluire in un gruppone del centrodestra compattato verso le comunali. Che Fratelli d’Italia non avesse troppa fretta di infilare i propri candidati all’interno della lista unica che sembra profilarsi nel futuro di Forza Italia, Alto Adige nel Cuore, Unitalia, La Destra e Italia Unica lo si era intuito fin dai primi incontri. La conferma arriva dalle parole di Alberto Sigismondi, consigliere comunale Fdi, che non chiude tutte le porte, ma lascia al minimo qualsiasi spiffero. “Abbiamo fatto un percorso di smarcamento a livello nazionale e locale che non intendiamo rinnegare immediatamente. Tornare a confluire in una formazione messa in piedi solo per l’appuntamento elettorale non ci entusiasma particolarmente: bisogna garantire di essere poi in grado di governare”. In molti, però, vedono in questa formazione l’unica possibilità di sedersi al tavolo da gioco da parte del centrodestra bolzanino. “Capisco, ma noi abbiamo un profilo ben delineato cui non vogliamo rinunciare”. Correre da soli, comunque, potrebbe portare con sé il rischio di essere meno rappresentanti in consiglio comunale. La riduzione del numero di consiglieri, inoltre, aumenterà il quorum per l’ingresso nell’aula. “Lo sappiamo, ma non si può sempre scendere a compromessi per calcolo elettorale. Abbiamo un’identità politica da difendere e un aggancio nazionale che riteniamo sempre fondamentale all’interno di un preciso pensiero politico. Il legame con Roma non è secondario, nonostante ci siano altre forze che lo pensano”.
 I big, intanto, hanno tutti annunciato un passo indietro o quantomeno un impegno non da candidati. E Giorgio Holzmann? “Assolutamente nessuna voglia di tornare in campo da parte sua, in coerenza con quanto sempre annunciato”. Così, però, dovrete andare a caccia di un candidato sindaco destinato a una lotta improba. “No, questo non è detto. Se la lista unica dovesse proporre un personaggio capace di attirare il nostro consenso non avremo problemi ad appoggiarne la corsa alla fascia tricolore”. La sensazione, comunque, è che dentro al centrodestra più di qualcuno tema una campagna elettorale condotta in prima linea da Alessandro Urzì e Michaela Biancofiore una volta che i giorni saranno caldi. Tutta da verificare, invece, la disponibilità della lista unica nell’accettare appoggi esterni al proprio candidato sindaco. Il “dentro o fuori”, infatti, non è affatto escluso e il tempo delle decisioni non è poi così lontano.
Alan Conti (www.altoadige.it) 

sabato 11 ottobre 2014

Estate, quanti cani sui treni

Bisogna essere sinceri: quello presentato da Trenitalia nei giorni scorsi è un passo avanti nel rapporto con i cani rispetto al recente passato. Viaggiare sui convogli nazionali, infatti, se non altro è diventato più facile negli ultimi anni e a Milano sono i numeri a confermarlo. Sono 12.000, infatti, gli animali di media e grossa taglia trasportati nell’estate 2014, 60.000 il totale stagionale che confluisce nei 150.000 registrati da inizio. Rispetto al 2013 siamo al cospetto di un incremento del 10%, il che in qualche misura significa pure un decremento del rischio di abbandono. I dati di questi mesi caldi sono stati presentati nel capoluogo lombardo da Michela Vittoria Brambilla per la Federazione Italiana Associazione Diritti Animali e Ambiente assieme a Gianfranco Battisti, direttore della divisione Passeggeri Alta Velocità di Trenitalia. I dati, infatti, sono il risultato di un’intesa programmatica siglata dai due enti che ha portato al libero accesso dei quattro zampe di qualsiasi taglia a bordo dei Frecciarossa nei livelli di servizio business e standard, oltre alla prima e seconda classe dei Frecciargento, Frecciabianca e Intercity. Un passo avanti per Trenitalia che, in tutta onestà, prima del triennio in questione non ha certo brillato per accoglienza verso Fido.

 In ogni caso la vicenda è anche un business per chi muove i treni sul territorio nazionale. I proprietari, infatti, devono acquistare un biglietto a prezzo base ridotto al 50% per il proprio cane collegandolo al proprio o a quello di un accompagnatore. Giustamente l’animale domestico va predisposto per il viaggio  con un kit comprensivo di museruola, guinzaglio, libretto sanitario e certificazione d’iscrizione all’anagrafe canina. Composti e in ordine con i documenti, insomma, per togliere spazio alle facili critiche che ogni tanto accompagnano i cani on tour da parte di chi non ne ama troppo la compagnia itinerante. Naturalmente la tariffa cambia nel caso abbiate un esemplare tascabile, quindi trasportabile nelle apposite gabbiette: in questo caso, infatti, ,l’accesso al treno è libero. Un bambino maleducato, in fondo, occupa molto più sedile e rischia pure di fare più confusione.
Alan Conti (www.altoadige.it)

venerdì 10 ottobre 2014

Pezzei: "Oggi il tedesco fa meno paura"


È un ufficio con l'oblò sulla mentalità linguistica degli altoatesini quello che per 39 anni ha occupato Rita Rosa Pezzei in Provincia. Direttrice del servizio del bilinguismo il termine tecnico, battaglia quotidiana per l'apertura mentale al mondo attraverso gli idiomi quello assai più prosaico. Una lotta che ha attraversato la storia di questa territorio: dagli arroccamenti puntellati dall’articolo 19 alle sperimentazioni scolastiche passando per il passaggio cruciale dell’equipollenza.

 “Abbiamo assistito a un cambio di mentalità e di predisposizione verso le altre lingue: non solo il tedesco. Il nostro territorio è cresciuto”.

C’è stato un momento di svolta? Una chiave di volta su cui costruire un nuovo atteggiamento?

“Diversi. Probabilmente il concetto di plurilinguismo precoce è stato l’ariete da cui tutto è partito. Penso ai primi programmi di tedesco per le scuole, alle ore di seconda lingua fin dalla prima elementare e al grande impegno legato alle varie sperimentazioni”.

Non che tutti abbiano cavalcato con entusiasmo questa novità.

“No, affatto. Non a caso ci fu un periodo in cui la scienza linguistica presentava soluzioni e opportunità che la politica non intendeva affatto cogliere”.

Anche oggi, però, la sensazione è che il mondo italiano e quello tedesco tocchino spesso pedali differenti: l’acceleratore il primo, il freno il secondo.

“Difficile dire con esattezza l’esatto orientamento di un gruppo linguistico. Di certo si può dire che siamo usciti dal concetto puramente strumentale della lingua imparata per lavoro alla vera curiosità culturale di possedere un bagaglio più ampio. Aspetto che ha coinvolto poi l’inglese, il che qualche anno fa non era per nulla scontato. Oggi possiamo permetterci di puntare pure sul russo o sull’arabo”.

Le generazioni, intanto, crescono con sempre meno diffidenza.

“Sì, certo, e questo è molto positivo. Non solo, si registra  meno timore nello sbagliare con un interlocutore madrelingua. Spesso gli italiani hanno paura di commettere errori grammaticali o di pronuncia e faticano a utilizzare la lingua liberamente. Nelle nuove generazioni accade un po’ di meno”.

Lei ci sa spiegare perché nella maggior parte dei casi un ragazzo italiano e uno tedesco parlano tra loro nella lingua di Dante?

“Capirne il motivo è difficile. Probabilmente è legato proprio al timore dello sbaglio. Per questo abbiamo attivato il progetto di volontariato linguistico che codifica la possibilità di colloquiare con estrema libertà. Diventa proprio una questione di contesto d’uso, quindi dirimente”.

E il patentino è cambiato in meglio o in peggio?

“Preferiamo parlare delle certificazioni linguistiche in generale”.

Va bene, allora questo nuovo esame molto più simile a quello delle agenzie equipollenti vi piace?

“Moltissimo. Aver avvicinato la verifica provinciale di bilinguismo a quelli che sono i modelli delle certificazioni europee è importante e ha aiutato il patentino a uscire da una certa diffidenza che lo permeava. Certo, rimane il fatto che la valenza internazionale continua a rendere le certificazioni preferibili dal punto di vista della spendibilità sul mercato del lavoro globale”.

In quale modo si può ancora crescere?

“Insistendo sull’insegnamento precoce. Prima ci si avvicina alle lingue, prima si risolvono difficoltà e incomprensioni. E’ scienza”.

Alan Conti (www.altoadige.it)





Gemellaggio con la Lettonia per il Pascoli?


La Lettonia fa gli occhi dolci all’Italia e la testimonianza arriva dall’incontro che una piccola delegazione in arrivo dalla scuola di arte applicata di Riga sta avendo in questi giorni al liceo Pascoli. La preside Aija Neilande, accompagnata dalla presidente della Società Dante Alighieri lettone Raimonda Strode, dall’interprete Leonards Varzinsigs e da alcuni docenti e allunni, ha visitato ieri mattina l’istituto di Firmian in un’ottica di possibile collaborazione. Le voci sensibili, come sottolinea il professore Giovanni Accardo, sono quelle del gemellaggio e dei progetti condivisi. “Speriamo di riuscire a intavolare alcuni scambi tra docenti e studenti in una realtà in crescita come quella lettone”.
 Il periodo scolastico di riferimento sarebbe quello del biennio dato che in Lettonia la scuola artistica occupa i primi nove anni del ciclo formativo. Curioso, comunque, come una realtà piuttosto lontana abbia puntato gli occhi su Bolzano. “Maria Rita Lupi è una docente bolzanina che lavora a Riga – spiega la preside Neilande – e ci ha parlato dell’Alto Adige e del suo capoluogo. Evidente come la compresenza del tedesco sia un valore aggiunto per la completezza della nostra offerta formativa”. Ogni anno, comunque, la scuola organizza una settimana dedicata all’Italia con tematiche differenti: si va dall’arte di Caravaggio alle piazze più famose delle nostre città passando per l’immancabile Leonardo Da Vinci. Un amore viscerale testimoniato dalla carica emotiva di alcuni dei lavori. Il prossimo anno, in ogni caso, il fil rouge saranno  “le lettere in cerca di un libro”. “Stiamo pensando – continua Accardo- a un progetto artistico comune con scambio finale dei prodotti. Un modo per confrontarsi in modo diretto”. Possibile pure che una piccola delegazione del liceo Pascoli possa ricambiare la visita. Ieri, comunque, le due scuole si sono presentate a vicenda attraverso video e documenti didattici approfondendo anche la natura strettamente didattica dei due differenti sistemi pedagogici.
 Ruolo centrale come trait d’union lo ha svolto, come detto, la Società Dante Alighieri. Nel pomeriggio di ieri, infatti, i rappresentanti delle scuole e della sezione di Riga hanno incontrato i vertici della sede di Bolzano con in testa Giulio Clamer. “Cerchiamo di capire in che modo questo reciproco interesse nato per caso possa continuare a sostenere la passione e la diffusione della cultura italiana in Lettonia. Se questo può portare pure a un accrescimento didattico non possiamo che esserne contenti”. Le basi, insomma, sono state gettate mentre sui computer scorrevano le immagini del mar Baltico e dei palazzi Liberty di Riga. La voglia di andarci, di sicuro, si è già messa in moto.
 Alan Conti (www.altoadige.it)

giovedì 9 ottobre 2014

Ragazzi "Innamorati" del teatro


Ci sono spettacoli che sono tali già prima di diventarlo concretamente. E’ il caso de “Gli Innamorati” di Goldoni che il giovane regista teatrale Andrea Bernard porterà sul palco del Rainerum grazie all’organizzazione dell’associazione culturale “Ideali”. Oltre alla notissima commedia, infatti, si nasconde la storia di una giovanissima compagnia teatrale bolzanina che dopo essersi fatta apprezzare in larga parte con il fenomeno Cababoz si è seduta al tavolo del professionismo. Già perché Bernard il regista (o aiuto regista) lo fa di mestiere e quando ha radunato la combriccola di attori li ha messi occhi negli occhi con il teatro “dei grandi”. “Avevo voglia di esprimere davvero me stesso in un lavoro simile – ci spiega a cavalcioni del palco durante una delle tante serate di prova – e ho scelto gli interpreti uno a uno secondo le immagini che questa commedia mi ha portato nella testa”. Così si è composto un cast di nomi conosciuti per chi ha respirato l’aria del cabaret bolzanino: Alessia De Paoli e Daniel Ruocco saranno i protagonisti, completati da Diletta La Rosa, Marco Zenti, Max Maraner, Salvatore Cutrì, Chiara Calò, Davide Mariotti, Elia Liguori e Chiara Sartori. Tutti in rampa di lancio, ma tutti non professionisti. “E’ molto stimolante – spiega Bernard – perché da un certo punto di vista sono più malleabili. Questa commedia, poi, permette di portare la propria esperienza personale nel recitato andando a toccare una sfera psicologica di coinvolgimento davvero interessante. I giovani sono ben calibrati per questa storia e non è un dettaglio. Ho sempre trovato incoerenti le rappresentazioni di Romeo e Giulietta con protagonisti interpretati da soloni di 60 anni”.
 Alle prove, inutile negarlo, ci si diverte e il sorriso non manca mai al cospetto di ragazzi che le platee le sanno far ridere eccome, figuriamoci i giornalisti. L’impegno, però, non è proprio di quelli su cui scherzare perché non essere professionisti implica un altro lavoro da fare durante il giorno per poi salire sul palco al crepuscolo. “E’ impegnativo essere qui tutte le sere fino a tardi – confidano De Paoli e Ruocco –ma ci sentiamo nel luogo giusto, nel nostro posto. L’impostazione e il coinvolgimento richiesti ci mettono davvero di fronte al mestiere dell’attore convincendoci a tentarle tutte su questa strada professionale“. Strada che non è esattamente liscia come l’olio e porta quasi matematicamente fuori da Bolzano. “Le accademie si trovano in altre città e anche vivere di teatro a Bolzao non è semplice, a meno di non riuscire a entrare allo Stabile. Non è facile, ma lavori come quello che ci ha proposto Bernard ci permettono di crescere e aggiungere sicurezze e capacità”. Da un punto di vista tecnico cambia, eccome, l’orizzonte dal cabaret. “L’immedesimazione del personaggio è totalmente differente – chiude De Paoli – e richiede un’interiorizzazione più profonda. Cambia anche il lavoro di squadra in una struttura che non è formata di soli sketch singoli, ma si articola in modo più organico. Conta moltissimo l’armonia che riusciamo a mettere sul palco trascinando il pubblico e dando, soprattutto, il meglio di noi stessi”. Spettacoli giovedì 9 e venerdì 10 ottobre alle 20.30 oltre al pomeridiano di domenica 12 alle 16.30. I biglietti costano 12 euro l’intero, 9 il ridotto fino ai 18 anni, e sono acquistabili in prevendita al teatro Rainerum (orario 14-18 dal 6 ottobre) oppure sul web all’indirizzo www.rainerum.it/teatro. Di certo sul palco questi ragazzi porteranno tutto perché il teatro non diventi la scelta che non hanno fatto.
Alan Conti  (www.altoadige.it)

martedì 7 ottobre 2014

Bar Domino: 20 anni di idee


Non è un mistero: un domino per funzionare bene richiede tante tessere perfettamente combacianti. Quelle che da 20 anni garantiscono successo all’omonimo bar Domino si chiamano famiglia, qualità e capacità di guardare lontano. Già perché sull’affaccio di piazza Walther i fratelli Marchesini sono stati i primi a metterci il naso e ancora si trattava di un elegante stanzone vuoto più che di un salotto buono. Solo ampio spazio: senza quadri e senza particolare anima commerciale. Così Claudio, Stefano e Alessandro, supportati dalla sempre presente Irma Mariotti, si sono inventati un concetto che oggi incornicia piazza Walther come elemento naturale: il dehors con pranzo per i lavoratori della zona.
 “Fino ad allora – ricordano Claudio e Stefano – la pausa dal lavoro era possibile solo al ristorante, perlomeno qui in Centro. Così abbiamo elaborato la proposta di un piccolo menù curato che ha subito funzionato per questioni di tempo, economicità e qualità”. Già, però la concorrenza se n’è accorta abbastanza in fretta. “Sì, certo, ma mi creda: è stato un bene. Tutti gli esercenti hanno accettato la sfida di mantenere un certo standard creando una tendenza sia tra i bolzanini sia tra i turisti. Abbiamo allargato la domanda mantenendo una buona offerta collettiva”. Per una volta uno spazio urbano che fiorisce senza la cantilena dell’“era meglio prima”. “Piazza Walther è migliorata – ribatte Claudio Marchesini – ed è migliorato pure il flusso turistico. Oggi con Ötzi e le Dolomiti patrimonio dell’Unesco abbiamo visitatori in arrivo da Israele, Asia e Americhe. Gente, parrà strano, che torna a Bolzano e torna pure nel bar”. Il cuore di Bolzano, insomma, invecchia bene: parola di chi ne conosce ogni singolo angoletto. “Sono cambiate pure le abitudini. Solo pochi anni fa il sabato e la domenica era tutto chiuso e deserto: oggi si lavora moltissimo e con moltissime persone”.
 Riavvolgiamo il nastro perché la storia da esercenti della famiglia Marchesini ha molta bobina. “La nonna era albergatrice – sottolinea Stefano – mentre i nostri genitori hanno gestito per molti anni il ristorante La Torcia. Noi ci siamo formati con loro, poi è saltata fuori la possibilità di rilevare il vecchio Domino”. Due le molle: una sfida professionale e una vita meno da pipistrelli e più da passerotti. “Cercavamo un lavoro più diurno e un progetto ex novo. Dopo dieci anni ci siamo allargati con il piccolo locale sulla piazza e 5 anni fa abbiamo rinnovato il locale in Passaggio Walther e ottenuto, poco più tardi, una parte di piazzetta interna riqualificandola”. Un rilancio continuo. “La qualità è un investimento. Pensiamo proprio al dehors: se chiedi alla Coca Cola le sedie e gli ombrelloni te li regala, mentre le nostre strutture parasole sono svizzere e costano più di 5.000 euro. C’è una grossa differenza. Tutto, però, viene ampiamente ripagato”.
 Lavorare tra fratelli, infine, non deve sempre essere una passeggiata. “Bisogna essere intelligenti e distinguere bene professionalità da affettività. Siamo sempre stati abituati a fare così, ma dietro al bancone noi siamo solo soci e ci dimentichiamo dalla famiglia. E’ il segreto per andare avanti bene”. Tessere combacianti, sì, ma ben separate.

Alan Conti (www.altoadige.it)

venerdì 3 ottobre 2014

Da Marion a Marian: "Il mio cambio di sesso"


Essere nel posto sbagliato al momento sbagliato è una di quelle sensazioni che pungono sulla pelle. Figuriamoci trovarsi costantemente nel corpo sbagliato come racconta, con molto coraggio, Marian Oberhofer, insegnante di scuola primaria ad Appiano che ha deciso di mutare la propria identità sessuale. Da donna a uomo. Si è raccontato partendo addirittura dall’asilo, da quei vestiti da bambina che proprio non sopportava. “Mi sentivo costantemente a disagio – spiega a Video33 – e cominciavo a manifestare i primi segnali di insofferenza”. Con il passare degli anni e lo sviluppo della sessualità per Marion (così il nome alla nascita) la questione si è fatta decisamente seria. “Mi sono fatto aiutare da uno psicologo di Merano perché non è semplice gestire una situazione costantemente fuori sincronia con il proprio sentire. Dover sempre spiegare e doversi sempre spiegare è una condanna che non sempre si sopporta”. Poi un articolo ha catturato la sua curiosità: “Sono venuto a conoscenza della possibilità di cambiare aspetto in modo graduale”.

 Quel che non manca a Marian, evidentemente, è la personalità per iniziare un mutamento radicale. Il perbenismo lessicale oggi parla di transidentità, la vulgata popolare transessualità, ma quel che conta è la sostanza: cercare il sole di apparire come ci si sente dietro anni di pioggia fallace. Due anni di terapia.  “Proprio così e la strada è quella dell’assunzione di ormoni maschili. La voce si abbassa, aumenta il pelo, spunta la barba e qualcuno parla di un aumento dell’aggressività, ma io non l’ho avvertito. E’ un percorso che ognuno è libero di cominciare, meglio se con il supporto costante di uno psicologo. Ora, però, desidero l’operazione chirurgica ma già so che dovrò rivolgermi all’estero. Purtroppo”. Oberhofer, però, oltre ad affrontare famiglia, amici e conoscenti ha dovuto mettere sul piatto pure una professione delicata: l’insegnante, quindi educatore. “Vero, per quello ho scritto delle lettere ai genitori dei miei alunni. Ho spiegato quello che stavo facendo e per quali motivi. Devo dire che hanno capito e ho avuto solo reazioni positive. I bambini, poi, si abituano in fretta e già adesso mi chiamano Marian al maschile”. Delle due l’una: o Appiano è un feudo dell’apertura mentale alla libertà sessuale oppure qualcuno ha fatto buon viso a cattiva sorte. “L’hanno colta bene e io ne sono contento. Piuttosto è la legislazione italiana a essere molto indietro su questo fronte. I tempi per un simile cambio di identità sono esageratamente lunghi e creano inevitabili difficoltà”. L’associazione Centaurus, intanto, ha istituito un gruppo di mutuo aiuto. “Ci incontriamo il mercoledì sera e ciascuno di noi parla della sua esperienza. E’ un’atmosfera molto libera e intensa: è importante potersi aprire con chi affronta le stesse difficoltà sociali. Ci si sente sicuramente meno soli o deboli”. Marian, insomma, ha apertamente salutato Marion aprendo la sua esperienza al mondo ed esponendosi ai venti della critica e dei commenti. Per l’anagrafe, invece, sarebbe un semplice cambio di vocale. Ci ha messo meno lui.

 Alan Conti (www.altoadige.it)