Non è un mistero: un domino per
funzionare bene richiede tante tessere perfettamente combacianti. Quelle che da
20 anni garantiscono successo all’omonimo bar Domino si chiamano famiglia,
qualità e capacità di guardare lontano. Già perché sull’affaccio di piazza
Walther i fratelli Marchesini sono stati i primi a metterci il naso e ancora si
trattava di un elegante stanzone vuoto più che di un salotto buono. Solo ampio
spazio: senza quadri e senza particolare anima commerciale. Così Claudio,
Stefano e Alessandro, supportati dalla sempre presente Irma Mariotti, si sono
inventati un concetto che oggi incornicia piazza Walther come elemento
naturale: il dehors con pranzo per i lavoratori della zona.
“Fino ad allora – ricordano Claudio e Stefano
– la pausa dal lavoro era possibile solo al ristorante, perlomeno qui in
Centro. Così abbiamo elaborato la proposta di un piccolo menù curato che ha
subito funzionato per questioni di tempo, economicità e qualità”. Già, però la
concorrenza se n’è accorta abbastanza in fretta. “Sì, certo, ma mi creda: è
stato un bene. Tutti gli esercenti hanno accettato la sfida di mantenere un
certo standard creando una tendenza sia tra i bolzanini sia tra i turisti.
Abbiamo allargato la domanda mantenendo una buona offerta collettiva”. Per una
volta uno spazio urbano che fiorisce senza la cantilena dell’“era meglio
prima”. “Piazza Walther è migliorata – ribatte Claudio Marchesini – ed è
migliorato pure il flusso turistico. Oggi con Ötzi e le Dolomiti patrimonio
dell’Unesco abbiamo visitatori in arrivo da Israele, Asia e Americhe. Gente,
parrà strano, che torna a Bolzano e torna pure nel bar”. Il cuore di Bolzano,
insomma, invecchia bene: parola di chi ne conosce ogni singolo angoletto. “Sono
cambiate pure le abitudini. Solo pochi anni fa il sabato e la domenica era
tutto chiuso e deserto: oggi si lavora moltissimo e con moltissime persone”.
Riavvolgiamo il nastro perché la storia da
esercenti della famiglia Marchesini ha molta bobina. “La nonna era albergatrice
– sottolinea Stefano – mentre i nostri genitori hanno gestito per molti anni il
ristorante La Torcia. Noi ci siamo formati con loro, poi è saltata fuori la
possibilità di rilevare il vecchio Domino”. Due le molle: una sfida
professionale e una vita meno da pipistrelli e più da passerotti. “Cercavamo un
lavoro più diurno e un progetto ex novo. Dopo dieci anni ci siamo allargati con
il piccolo locale sulla piazza e 5 anni fa abbiamo rinnovato il locale in
Passaggio Walther e ottenuto, poco più tardi, una parte di piazzetta interna
riqualificandola”. Un rilancio continuo. “La qualità è un investimento.
Pensiamo proprio al dehors: se chiedi alla Coca Cola le sedie e gli ombrelloni
te li regala, mentre le nostre strutture parasole sono svizzere e costano più
di 5.000 euro. C’è una grossa differenza. Tutto, però, viene ampiamente
ripagato”.
Lavorare tra fratelli, infine, non deve sempre
essere una passeggiata. “Bisogna essere intelligenti e distinguere bene
professionalità da affettività. Siamo sempre stati abituati a fare così, ma
dietro al bancone noi siamo solo soci e ci dimentichiamo dalla famiglia. E’ il
segreto per andare avanti bene”. Tessere combacianti, sì, ma ben separate.
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