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venerdì 10 ottobre 2014

Pezzei: "Oggi il tedesco fa meno paura"


È un ufficio con l'oblò sulla mentalità linguistica degli altoatesini quello che per 39 anni ha occupato Rita Rosa Pezzei in Provincia. Direttrice del servizio del bilinguismo il termine tecnico, battaglia quotidiana per l'apertura mentale al mondo attraverso gli idiomi quello assai più prosaico. Una lotta che ha attraversato la storia di questa territorio: dagli arroccamenti puntellati dall’articolo 19 alle sperimentazioni scolastiche passando per il passaggio cruciale dell’equipollenza.

 “Abbiamo assistito a un cambio di mentalità e di predisposizione verso le altre lingue: non solo il tedesco. Il nostro territorio è cresciuto”.

C’è stato un momento di svolta? Una chiave di volta su cui costruire un nuovo atteggiamento?

“Diversi. Probabilmente il concetto di plurilinguismo precoce è stato l’ariete da cui tutto è partito. Penso ai primi programmi di tedesco per le scuole, alle ore di seconda lingua fin dalla prima elementare e al grande impegno legato alle varie sperimentazioni”.

Non che tutti abbiano cavalcato con entusiasmo questa novità.

“No, affatto. Non a caso ci fu un periodo in cui la scienza linguistica presentava soluzioni e opportunità che la politica non intendeva affatto cogliere”.

Anche oggi, però, la sensazione è che il mondo italiano e quello tedesco tocchino spesso pedali differenti: l’acceleratore il primo, il freno il secondo.

“Difficile dire con esattezza l’esatto orientamento di un gruppo linguistico. Di certo si può dire che siamo usciti dal concetto puramente strumentale della lingua imparata per lavoro alla vera curiosità culturale di possedere un bagaglio più ampio. Aspetto che ha coinvolto poi l’inglese, il che qualche anno fa non era per nulla scontato. Oggi possiamo permetterci di puntare pure sul russo o sull’arabo”.

Le generazioni, intanto, crescono con sempre meno diffidenza.

“Sì, certo, e questo è molto positivo. Non solo, si registra  meno timore nello sbagliare con un interlocutore madrelingua. Spesso gli italiani hanno paura di commettere errori grammaticali o di pronuncia e faticano a utilizzare la lingua liberamente. Nelle nuove generazioni accade un po’ di meno”.

Lei ci sa spiegare perché nella maggior parte dei casi un ragazzo italiano e uno tedesco parlano tra loro nella lingua di Dante?

“Capirne il motivo è difficile. Probabilmente è legato proprio al timore dello sbaglio. Per questo abbiamo attivato il progetto di volontariato linguistico che codifica la possibilità di colloquiare con estrema libertà. Diventa proprio una questione di contesto d’uso, quindi dirimente”.

E il patentino è cambiato in meglio o in peggio?

“Preferiamo parlare delle certificazioni linguistiche in generale”.

Va bene, allora questo nuovo esame molto più simile a quello delle agenzie equipollenti vi piace?

“Moltissimo. Aver avvicinato la verifica provinciale di bilinguismo a quelli che sono i modelli delle certificazioni europee è importante e ha aiutato il patentino a uscire da una certa diffidenza che lo permeava. Certo, rimane il fatto che la valenza internazionale continua a rendere le certificazioni preferibili dal punto di vista della spendibilità sul mercato del lavoro globale”.

In quale modo si può ancora crescere?

“Insistendo sull’insegnamento precoce. Prima ci si avvicina alle lingue, prima si risolvono difficoltà e incomprensioni. E’ scienza”.

Alan Conti (www.altoadige.it)





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