È un ufficio con l'oblò sulla
mentalità linguistica degli altoatesini quello che per 39 anni ha occupato Rita
Rosa Pezzei in Provincia. Direttrice del servizio del bilinguismo il termine
tecnico, battaglia quotidiana per l'apertura mentale al mondo attraverso gli
idiomi quello assai più prosaico. Una lotta che ha attraversato la storia di
questa territorio: dagli arroccamenti puntellati dall’articolo 19 alle sperimentazioni
scolastiche passando per il passaggio cruciale dell’equipollenza.
“Abbiamo assistito a un cambio di mentalità e
di predisposizione verso le altre lingue: non solo il tedesco. Il nostro
territorio è cresciuto”.
C’è stato un momento di svolta?
Una chiave di volta su cui costruire un nuovo atteggiamento?
“Diversi. Probabilmente il
concetto di plurilinguismo precoce è stato l’ariete da cui tutto è partito.
Penso ai primi programmi di tedesco per le scuole, alle ore di seconda lingua
fin dalla prima elementare e al grande impegno legato alle varie
sperimentazioni”.
Non che tutti abbiano cavalcato
con entusiasmo questa novità.
“No, affatto. Non a caso ci fu un
periodo in cui la scienza linguistica presentava soluzioni e opportunità che la
politica non intendeva affatto cogliere”.
Anche oggi, però, la sensazione è
che il mondo italiano e quello tedesco tocchino spesso pedali differenti:
l’acceleratore il primo, il freno il secondo.
“Difficile dire con esattezza
l’esatto orientamento di un gruppo linguistico. Di certo si può dire che siamo
usciti dal concetto puramente strumentale della lingua imparata per lavoro alla
vera curiosità culturale di possedere un bagaglio più ampio. Aspetto che ha
coinvolto poi l’inglese, il che qualche anno fa non era per nulla scontato.
Oggi possiamo permetterci di puntare pure sul russo o sull’arabo”.
Le generazioni, intanto, crescono
con sempre meno diffidenza.
“Sì, certo, e questo è molto
positivo. Non solo, si registra meno
timore nello sbagliare con un interlocutore madrelingua. Spesso gli italiani
hanno paura di commettere errori grammaticali o di pronuncia e faticano a
utilizzare la lingua liberamente. Nelle nuove generazioni accade un po’ di
meno”.
Lei ci sa spiegare perché nella
maggior parte dei casi un ragazzo italiano e uno tedesco parlano tra loro nella
lingua di Dante?
“Capirne il motivo è difficile.
Probabilmente è legato proprio al timore dello sbaglio. Per questo abbiamo
attivato il progetto di volontariato linguistico che codifica la possibilità di
colloquiare con estrema libertà. Diventa proprio una questione di contesto
d’uso, quindi dirimente”.
E il patentino è cambiato in
meglio o in peggio?
“Preferiamo parlare delle
certificazioni linguistiche in generale”.
Va bene, allora questo nuovo
esame molto più simile a quello delle agenzie equipollenti vi piace?
“Moltissimo. Aver avvicinato la
verifica provinciale di bilinguismo a quelli che sono i modelli delle
certificazioni europee è importante e ha aiutato il patentino a uscire da una
certa diffidenza che lo permeava. Certo, rimane il fatto che la valenza
internazionale continua a rendere le certificazioni preferibili dal punto di
vista della spendibilità sul mercato del lavoro globale”.
In quale modo si può ancora
crescere?
“Insistendo sull’insegnamento
precoce. Prima ci si avvicina alle lingue, prima si risolvono difficoltà e
incomprensioni. E’ scienza”.
Alan Conti (www.altoadige.it)
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