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martedì 11 novembre 2014
Stop all'Abo gratuito per anziani e studenti
La legge provinciale sul trasporto locale sarà rivista entro Natale. D'altronde risale al 1985 e una rinfrescata sembra necessaria. Il primo passo, comunque, è stato fatto questa mattina in giunta provinciale concentrandosi sulle spese e le tariffe. Il treno costa alla Provincia 50 milioni di euro, il bus 80 milioni. Le direttive Ue impongono una copertura del 34%. "Abbiamo riguardato le tariffe partendo dal principio che chi più viaggia più risparmia" l'esordio dell'assessore competente Florian Mussner. La vera novità, peró, è la fine del privilegio gratuito per anziani e giovanissimi: stop, insomma, all'Abo piovuto dal cielo. "Abbiamo investimenti in vista e delle quote europee da rispettare. Non potevamo continuare a non considerare i costi di un servizio". Bambini e giovani, quindi, pagheranno una quota forfettaria annuale di 20 euro per Abo+ fino alla maturità superiore. Capitolo anziani: quota annuale di 75 euro per chi ha un'età tra i 70 e i 75 anni e 20 per gli over 75. Per tutti gli altri predisposte fasce chilometriche con 0,12 centesimi per le percorrenze tra 0 e 1000 chilometri, 0,08 tra 1001 e 2000, 0,03 tra 2000 e 10000, 0,02 tra 10000 e 20000. Il massimo raggiungibile è 640 euro annuali. Previste anche delle modulazioni famigliari al ribasso. (a.c.)
Set a Bolzano per Tornatore
Sono venti le domande presentate per un finanziamento provinciale alle produzioni cinematografiche. La giunta provinciale ne ha scelti sei: "Abbiamo dato via libera per un contributo globale di 1,5 milioni di euro con ricadute sul territorio per 3 milioni di euro" le parole del presidente Arno Kompatscher. Tra questi anche una pellicola di Giuseppe Tornatore con il premio Oscar Jeremy Irons tra i protagonisti. Le riprese saranno anche nella città di Bolzano. Atteso, infine, Christian De Sica per un set sul Renon. (a.c.)
sabato 8 novembre 2014
Teresa, una spagnola alla Caritas per volontariato
“Bolzano è un piccolo paraiso”. Lo dice proprio così,
mescolando l’italiano allo spagnolo perché sciogliere una lingua nell’altra è
prassi quotidiana per Teresa Lapresa, spagnola di 27 anni impegnata per un anno
alla Caritas nel l’ambito del progetto “Erasmus Plus”. Facile tra idiomi
latini, verrebbe da dire, ma Teresa è arrivata alle nostre latitudini sull’onda
del tedesco in un percorso che è quello del servizio civile volontario. “Volevo
provare questa esperienza e, avendo studiato tedesco a scuola e ad Augsburg, mi
hanno subito proposto la Caritas bolzanina”. Il che non è esattamente banale
perché Teresa è originaria di Logroño, Regiona La Rioja a un tiro di schioppo
da Bilbao. Terra d i vino e buona gastronomia, ma non proprio zone dai
frequenti contatti con la realtà altoatesina. “La fortuna ha voluto che qui
cercassero qualcuno esperto di comunicazione con nozioni di tedesco. Io sono
laureata in comunicazione audiovisiva e giornalismo: volevo un’esperienza di
vita”.
Vitto, alloggio e 265
euro al mese: questi gli strumenti per provarci. “Bastano e avanzano – racconta
con un sorriso da prendere nota – perché questi mesi mi stanno regalando
contatti umani che sono un arricchimento continuo”. Binario 7, Casa
Freinademetz, Casa Margaret, Street Life, Young Caritas: dai problemi di
dipendenza agli stranieri in cerca di inserimento, passando per i giovani
all’uscita delle discoteche. C’è di tutto nel lavoro di una ragazza che non
nasce professionista del sociale. “La curiosità fa parte dell’essere giornalisti
o comunicatori e parlare con utenti, educatori e colleghi rappresenta una
crescita costante. Mi fa sorridere come tutti si stupiscano di vedere una
spagnola che parla meglio il tedesco dell’italiano. Rimangono sbalorditi”. Il
che non significa affatto che ignori la lingua di Dante. “L’ho imparata in
questi mesi, tanto affascinante quanto irregolare. Per nulla comoda: si dice
“comoda” anche in italiano no?”.
Non è facile, però,
trovare uno spagnolo in Alto Adige. “No, è vero, ma il nostro Paese attraversa
una crisi spaventosa e sempre più giovani espatriano. Abbiamo il 50% di
disoccupazione giovanile e il lavoro va cercato seguendo altre strade. La
realtà altoatesina, al confronto, fa i conti con una crisi più gestibile.
Moltissimi dei progetti della Caritas o del welfare che voi avete la bravura di
finanziare in Spagna non sono nemmeno immaginabili”. Intanto la “prensa”
iberica si è incuriosita e già alcuni articoli raccontano di questa
connazionale sospesa tra italiano e tedesco portando, così, il nome di Bolzano
in Spagna. “Siete una realtà che stupisce, inserita in un contesto ambientale
meraviglioso”. Da costruirci un futuro anche oltre l’anno di servizio civile
europeo? “Mi piacerebbe molto, ma la vita costa cara e devo trovare una
soluzione che mi permetta di affrontarla. Forse mi concentrerò
sull’insegnamento delle lingue”. L’italiano, comunque, è mediamente curioso
della realtà spagnola. “Sì, assolutamente, ma non bisogna fermarsi alle sole
Madrid e Barcellona. Io lo dico a tutti: visitate Bilbao e vedrete una Spagna
diversa e altrettanto affascinante. Mai smettere di essere curiosi. Mai”.
Alan Conti (Alto Adige)
mercoledì 5 novembre 2014
Spagnolli: "Sel-Aew è una corsa contro il tempo"
"Mi verrebbe da prendere qualcuno per le strazze". È forte la presa di posizione del sindaco di Bolzano Luigi Spagnolli sulla dibattuta querelle della fusione energetica tra Sel e Aew. Troppe chiacchiere, forse, prima di avere un quadro chiaro: "Mancano i dettagli totali dell'operazione. La prossima settimana avremo una maggioranza sugli aspetti giuridici, ma tutte le questioni vanno definite bene prima di poter dare un giudizio". La road map, comunque, è tracciata: "Credo che a inizio dicembre saremo in grado di creare una maggioranza attorno a questo. Rimane la dead line giuridica del 17 dicembre dove ci sarà una decisione sulle concessioni. Un atto giuridico che gli esperti giudicano assolutamente improcrastinabile". Difficile capirne l'esito. "Bisognerà decidere - continua Spagnolli - il destino delle concessioni con la possibilità di una nuova gara con regole che nel frattempo sono cambiate. In questo mercato i piccoli sono destinati a morire nel confronto con i grandi. Lo dicono le statistiche dell'economia. Vale pure per noi". Come uscirne allora? "La volontà è di creare questo accorpamento che sarebbe il quarto d'Italia per quanto concerne le energie rinnovabili. A me piacerebbe, poi, allargare il discorso anche a Dolomiti Energia e alle realtà del Tirolo del Nord per un player che sia dell'Euregio". È un quadro prettamente economico a guidare il primo cittadino: "Ci sono due dati statistici evidenti. Da una parte un prezzo dell'energia destinato a scendere, dall'altra un previsto calo di valore delle piccole aziende. Con l'unione potremmo evitare il secondo deprezzamento". Bisognerà sforbiciare sui posti apicali? "Certo diminuiranno, ma questo da un punto di vista dei costi amministrativi mi pare un vantaggio".
Nel frattempo, peró, ci sarebbe uno studio da 500 pagine che naviga tra gli uffici amministrativi. "Vero, abbiamo chiesto alla Provincia di fornirci un sunto di quanto scritto. Si tratta comunque di un'operazione molto complessa: lo è tra due soggetti privati, figuriamoci pubblica". Sulla maggioranza, invece, Spagnolli è piuttosto fiducioso. "Io sono convinto di portare dietro i miei numeri. Il problema è che non esiste alternativa perché la cara vecchia Ae non potrà continuare a funzionare bene nei prossimi 120 anni come ha fatto finora". A stringere, comunque, è la tenaglia tempistica. "Esatto, ma nella politica si è spesso a correre dietro alla cose a ridosso delle scadenze. Non è detto che sia sempre negativo perché le dead line possono dare lucidità e serietà". Fine novembre o inizio dicembre la questione varcherà il consiglio per qualche seduta con la necessità di votate immediatamente. Uguale percorso per Merano, mentre per Sel si esprimerà la giunta provinciale.
Intanto le amministrazioni aprono i paracaduti economici: "Abbiamo bisogno di cautelarci, ma non posso fare cifre in un momento di trattativa". Ancora prematuro, infine, la discussione attorno al nome di una società con un profilo ancora tutto da definire.
Alan Conti
lunedì 3 novembre 2014
Stop all'uccellagione anche in Veneto
Il ravvedimento, come
sottolineano Andrea Zanoni e Caterina Rosa Marino della Lega per l’abolizione
della caccia, è sostanzialmente figlio delle norme europee stringenti.
“Finalmente anche l’amministrazione regionale si è piegata a una direttiva
continentale che fin dal 1979 tutela un bene transnazionale che non conosce
confini”. Il concetto è semplice: i migratori si spostano continuamente e non
possono essere considerati parte integrante di un solo territorio. Ergo niente
reti per fare di pochi quel che è di tutti. “Questo sistema di uccellagione è
proibito perché assolutamente non selettivo e capace di danneggiare seriamente
pure le specie protette”. Specie che, per inciso, non è affatto detto soffrano
meno di un comunissimo passerotto da balcone.
La vittoria delle
associazioni, in ogni caso, è anche un momento per godersi la fine di una lunga
battaglia. “E’ dal lontano 1995 che ci diamo da fare per evitare questa
barbarie – ricorda Zanoni che è anche deputato a Bruxelles – con controlli in
veste di guardie volontarie, denunce alla magistratura penale, ricorsi al Tar,
al Consiglio di Stato, petizioni e manifestazioni pubbliche. Senza dimenticare
l’intensa attività all’interno del Parlamento Europeo e gli incontri con la
relativa commissione ambiente”. Una vittoria che, ovviamente, è anche politica.
“La giunta Zaia ha dovuto gettare la spugna perché non aveva più argomenti per
difendere questo sistema di annientamento. Oltre a questo, comunque, credo che
abbia un grande valore morale e normativo il riconoscimento di questi animali
come bene internazionale. Una ricchezza che spetta a tutti e che, come tale, va
difesa da tutti”. Nessuno, insomma, può considerare suo il cielo e chi lo
sorvola.
Alan Conti (www.altoadige.it)
Via Cagliari al buio: "Abbiamo paura"
“Dateci una mano” chiedono a noi.
In realtà basterebbe accendere i lampioni e piantare due fiori per migliorare
un minimo la situazione nei cortili delle case Ipes chiusi a sandwich tra via
Cagliari e via Genova. Non esattamente operazioni tra le competenze di un
giornale che, però, può raccogliere paure e fastidi che a tratti hanno
dell’incredibile.
Al calar del sole, infatti, la piccola lingua d’asfalto che corre dietro ai civici 51-53 di via Cagliari e il parco attiguo restano completamente al buio. Oscurità fitta, roba che nemmeno i più nascosti carrugi genovesi. Il motivo comincia a spiegarlo Elvia Bevilacqua: “Bastano poche gocce di pioggia per far saltare i lampioni. Per ovviare a questa situazione l’Ipes aveva fatto installare dei faretti di nuova generazione che dopo pochissime settimane si sono tutti rotti”. Un investimento a vuoto che tuttora occhieggia lungo pareti esterne che, tra muffa e intonaco cadente, paiono lasciate a loro stesse. Il buio pesto, chiaramente, è humus naturale per timori e microdelinquenza. “Abbiamo paura di uscire dopo il tramonto – le parole di Bruna Stichuaser che abita al piano terra con un curato terrazzo direttamente sul piccolo parco Ipes – e spesso si aggirano personaggi equivoci”. La droga e gli scippi non sono sconosciuti. “Abbiamo trovato un bilancino – continua Bevilacqua – e dosi nascoste all’interno dei cespugli. La questura lo sa e i passaggi delle auto della polizia sono regolari, ma non possono essere sempre qui. Negli ultimi anni, poi, ben due persone anziane sono state scippate decedendo poco dopo per le conseguenze fisiche e psicologiche. Siamo preoccupati”. Il marito, intanto, qualche giorno fa è caduto in cortile a causa della scarsa visibilità serale.
Al calar del sole, infatti, la piccola lingua d’asfalto che corre dietro ai civici 51-53 di via Cagliari e il parco attiguo restano completamente al buio. Oscurità fitta, roba che nemmeno i più nascosti carrugi genovesi. Il motivo comincia a spiegarlo Elvia Bevilacqua: “Bastano poche gocce di pioggia per far saltare i lampioni. Per ovviare a questa situazione l’Ipes aveva fatto installare dei faretti di nuova generazione che dopo pochissime settimane si sono tutti rotti”. Un investimento a vuoto che tuttora occhieggia lungo pareti esterne che, tra muffa e intonaco cadente, paiono lasciate a loro stesse. Il buio pesto, chiaramente, è humus naturale per timori e microdelinquenza. “Abbiamo paura di uscire dopo il tramonto – le parole di Bruna Stichuaser che abita al piano terra con un curato terrazzo direttamente sul piccolo parco Ipes – e spesso si aggirano personaggi equivoci”. La droga e gli scippi non sono sconosciuti. “Abbiamo trovato un bilancino – continua Bevilacqua – e dosi nascoste all’interno dei cespugli. La questura lo sa e i passaggi delle auto della polizia sono regolari, ma non possono essere sempre qui. Negli ultimi anni, poi, ben due persone anziane sono state scippate decedendo poco dopo per le conseguenze fisiche e psicologiche. Siamo preoccupati”. Il marito, intanto, qualche giorno fa è caduto in cortile a causa della scarsa visibilità serale.
La sicurezza, naturalmente, occupa le prime
posizioni di un’insoddisfazione nota all’Ipes. Camminando per il cortile, però,
si capisce la volontà progettuale di fare di questo passaggio un piccolo
gioiello verde. Un intento che si scontra drammaticamente con una realtà fatta
di aiuole secche, incolte e ricettacolo di immondizie. “E’ un degrado assoluto,
un peccato quotidiano. Basterebbe qualche piccola attenzione e un briciolo di
investimenti sul decoro” allarga le braccia Tranquillo Petrocco. Parliamo di
famiglie che svuotano ogni mese tra i 400 e gli 800 euro mensili sul tavolo
dell’Istituto di via Milano per l’affitto. “Soldi che non si trasformano mai in
servizi per tutti. Anzi, veniamo spesso rimbalzati dalla stessa Ipes".
Intanto ogni giorno qualche sacchetto
dell’immondizia viene abbandonato al fianco dei bidoncini mentre le luci
(ancora loro) a led dei garage funzionano un giorno sì e tre no lasciando nella
penombra box facilmente raggiungibili data la totale assenza di cancelli.
Qualche senzatetto ha già capito l’opportunità di rifugiarsi al caldo per la
notte. Molti affacci esterni degli edifici, infine, sono contornati da
piastrelle azzurre fisse al muro come i denti da latte di un bambino alle
elementari. “Un giorno sono stata colpita da una mattonella cadente sul braccio
– chiude Stichauser - e ho dovuto correre al pronto soccorso con varie ferite”.
Un po’ troppo?
Alan Conti (www.altoadige.it)
mercoledì 29 ottobre 2014
Contro il tumore vince la terapia del sorriso
C’è la medicina delle terapie e
quella del sorriso. Alla prima si tende a dare fiducia, alla seconda si riserva
una benevolenza più retorica che pratica. Ecco la vera prospettiva che regala
la mostra fotografica inaugurata ieri nel foyer del Municipio di Bolzano a
firma di Emanuela Laurenti, trentenne bolzanina guarita dal linfoma di Hodgkin,
e di Fabrizio Giusti, presidente del Fotoclub Immagine Merano. Le sedici fotografie di un caleidoscopio in
bianco e nero colorano di vita una lotta, inutile nasconderselo, contro la
morte. Emanuela sorride e sbertuccia ironica un destino che ha messo i suoi
piedi su un baratro lasciando la testa ben salda a terra. Tra una risata e una
riflessione artistica, quindi, questi pannelli non formano solo una rassegna ma
sono mosaico di una terapia. Senza paura di ammetterlo.
“Assolutamente – risponde con
competenza il dottor Paolo Coser, presidente della sezione bolzanina della Lilt
che ha organizzato l’installazione intitolata “Luce” – non bisogna
sottovalutare questo messaggio psicologico. Emanuela ha saputo uscire dal buio
e tenere bene davanti a sé la luce in fondo al tunnel attraverso uno spirito
forte di analisi e divertimento. Di fatto ha esorcizzato la malattia e si è
aiutata in modo sostanziale nel percorso di guarigione”. Un atteggiamento che è
spia di un carattere solido, ma anche incoraggiante per il sistema altoatesino.
“Un punto di vista così dirompente è possibile con determinate qualità
personali collegate a un elevato grado di fiducia nei propri medici e nel sistema
in cui mettono in pratica le terapie. E’ tutto il contesto che viene premiato
da questa storia fotografica che è testimonianza e incoraggiamento”.
Curiosamente durante il vernissage presentato
da Paola Bessega si scopre che persino alcuni scatti hanno giocato un preciso
ruolo nel percorso di guarigione come spiega lo stesso Giusti. “Alcune immagini
sono fortemente metaforiche ricorrendo al parallelo con il pugilato. Non è
stata solo e semplicemente una scelta artistica. In quel momento, infatti, c’era
bisogno di allontanare alcune difficoltà e non c’è nulla di più efficace di un
buon linguaggio metaforico per mettere a fuoco la giusta distanza”. Poi tocca
direttamente ad Emanuela prendere la parola, intimorita più dal pubblico
accorso che non dal raccontare un’esperienza comunque difficile. “I momenti
peggiori sono stati la diagnosi e la perdita dei capelli. Attraverso le
fotografie, per esempio, sono riuscita a trasformare la rasatura in un qualcosa
di ironico e divertente. Ho dato a una tappa complicatissima una nuova
fisionomia psicologicamente più accettabile e, di conseguenza, anche
fisicamente”. Poi, tra una frase e l’altra, sgusciano fuori delle parole che
sembrano quasi di contorno e invece sono di sostanza: “Queste foto riprendono
attimi in cui onestamente non sapevamo come sarebbe potuto finire questo
percorso”. Noi le guardiamo con la coscienza di chi conosce già un lieto fine
che per quegli occhi è ancora oscuro. Iridi che sorridono dando una lezione.
Alan Conti
lunedì 27 ottobre 2014
Debra e il difficile volo dei bambini farfalla
Quanto gusto c’è in un abbraccio?
Quanta libertà nel camminare scalzi a casa propria? Sono solo due delle
sensazioni che i bambini farfalla non possono sentire sulla propria pelle
aggredita da una malattia meschina che si infila nelle pieghe della vita quotidiana
ingarbugliandola.
Si chiama “epidermolisi bollosa”, ma nel nome
comune si associa semplicemente alla delicatezza delle ali di una farfalla
perché basta un nulla per causare delle ferite, esterne o interne, su una pelle
colpita da fastidiose bolle. Una malattia che non ha cura e che rende la vita
di tutti i giorni una sfida persino difficile da immaginare. Al loro fianco l’associazione
Debra. In Alto Adige sono 15 i casi registrati e, a dispetto del nome, non si
tratta di soli bimbi perché farfalle, purtroppo, lo si rimane per sempre.
“Persino la banalità di un gesto come l’apertura di una porta – spiega Arabella
Gelmini che si occupa della comunicazione per Debra – diventa un’operazione da compiere con estrema
delicatezza”. Difficile anche camminare. “Ci riescono se sono fasciati bene, ma
il più delle volte si spostano in carrozzella. E’ necessario prestare estrema
cautela pure nella frequentazione di posti affollati. Purtroppo basta un minimo
tocco, anche involontario, per causare piaghe o ferite”. Situazioni che non sono nemmeno troppo note
tra la gente. “Devo essere sincera – continua Gelmini – ed ammettere che il
mondo tedesco ha molta più coscienza del problema. Gli italiani lo conoscono
meno, ma c’è sempre tempo per fare informazione”. Non è semplice, però, fare
sempre i conti con gli altri. “Affatto e per esperienza posso dire che l’età
peggiore è quella tra i 13 e i 18 anni. Nella fase di sviluppo, infatti,
diventa davvero difficile fare i conti con una condizione così tanto invalidante”.
Nemmeno trovare un lavoro appare una passeggiata. “Bisogna riuscire a
ritagliarsi delle mansioni che siano logicamente compatibili con una condizione
simile. E’ praticamente sempre necessario, inoltre, un accompagnamento”.
La possibilità di aiutare chi è affetto da
epidermolisi bollosa, tuttavia, esiste e non è nemmeno troppo difficile da
mettere in pratica. “Si possono fare delle donazioni direttamente sul sito di
Debra (www.debra.it) per sostenere la ricerca
e i costi per i medicinali che alleviano le conseguenze della malattia”. Dal
punto di vista della quotidianità, invece, come si allunga una mano verso
persone che sanno di non poter guarire? “Molto semplicemente con piccoli
interventi che a noi possono sembrare banalità e invece non lo sono affatto.
Qualche tempo fa, per esempio, abbiamo comprato delle parrucche che hanno
regalato nuova sicurezza ad alcune ragazze portandole ad uscire di più. Di
solito, infatti, i capelli cadono. Una soluzione che ha permesso di evitare la
chiusura in se stessi: il vero demone di una sfortuna che mette in pericolo la
socialità stessa”. Distendere una mano, delicatamente, si può: se si chiamano
farfalla, forse, è giusto aiutarli ogni tanto a librarsi in volo.
Alan Conti (www.altoadige.it)
domenica 26 ottobre 2014
Neruda, voglia di playoff
L’anno scorso hanno preso quota, quest’anno si dovrà provare a volare definitivamente. In un campionato di serie A2 più stretto di un budello di montagna, dove tra playoff e retrocessione può passare il soffio di qualche punto, il Neruda Volley, presentato ieri ufficialmente, può certamente provare a dire la sua. Tredici le compagini al via (dopo il ripescaggio di Forlì in A2), da nord a sud, per una stagione che vedrà otto squadre agli spareggi promozione. Inutile girarci attorno: questo è l’obiettivo per considerare positivo il campionato della squadra targata Volksbank. Il roster, allestito dal presidente Rudi Favretto e dal coach Fabio Bonafede, è un mix di esperienza e promesse giovanili, tecnicamente valido e attrezzato per provare giocarsela da protagonisti. Fortuna permettendo. Gli infortuni di Valeria Papa (salterà i primi tre match) e Noemi Porzio (fuori tutta la stagione), infatti, hanno costretto la società, arricchita quest’anno dalla presenza di un direttore generale di esperienza come Luca Porzio, a tornare a sondare il mercato in banda. In arrivo, dunque, Lucia Bacchi, stella nazionale ad alti livelli indoor e nel beach volley. “Si tratta – le parole del presidente Favretto - di un innesto importante che ci permette di consolidare un gruppo che ritengo assolutamente in grado di correre per un posto ai playoff. Non voglio nemmeno pensare che una rosa simile possa rischiare la retrocessione”. Aspettative confermate dall’allenatore che, al solito, insiste molto sul tasto di un gruppo capace di forgiarsi nel carattere: “Ho sempre detto che contiamo su 14 titolari senza distinzione e lo stiamo dimostrando. Dalle ragazze pretendo sempre grinta, forza e la voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo. In questo campionato partiamo tutte pari a zero punti: possiamo dire la nostra”. Il Neruda, comunque, affiderà la regia alle mani dell’alzatrice tedesca Lena Moellers, curriculum di spessore tra A1 (l’anno scorso a Novara) e rappresentative nazionali, seguita dalla giovane promessa trentina Aurora Bonafini. Mettere giù i punti sarà compito del vertiginoso opposto estone Anna Kajalina (2.05 metri d’altezza). Nella batteria delle schiacciatrici, oltre al bomber Papa, ecco la mano di Francesca Trevisan, l’orgoglio altoatesino di Kathrin Waldthaler e la versatilità di Sara Bertolini, idolo di casa essendo di Bronzolo. Tra le centrali occhio alla scoppiettante Giuditta Lualdi e alla grinta calabrese di Vittoria Repice. Tanto ci si attende pure da Elena Gabrieli, reduce dalla serie A francese. Chiudono la rosa i liberi con il ritorno di Giulia Bresciani e la crescita controllata del gioiellino di casa Greta Filippin, 16 anni appena. Primo impegno di campionato domenica 2 novembre a Milano contro Club Italia, mentre l’esordio casalingo è in programma la settimana dopo al Palaresia contro Bakery Piacenza.
Alan Conti (www.altoadige.it)
Alan Conti (www.altoadige.it)
lunedì 13 ottobre 2014
Sigismondi: "No alla lista unica"
Nessuna voglia di perdere la propria identità tornando a
confluire in un gruppone del centrodestra compattato verso le comunali. Che
Fratelli d’Italia non avesse troppa fretta di infilare i propri candidati
all’interno della lista unica che sembra profilarsi nel futuro di Forza Italia,
Alto Adige nel Cuore, Unitalia, La Destra e Italia Unica lo si era intuito fin
dai primi incontri. La conferma arriva dalle parole di Alberto Sigismondi,
consigliere comunale Fdi, che non chiude tutte le porte, ma lascia al minimo
qualsiasi spiffero. “Abbiamo fatto un percorso di smarcamento a livello
nazionale e locale che non intendiamo rinnegare immediatamente. Tornare a
confluire in una formazione messa in piedi solo per l’appuntamento elettorale
non ci entusiasma particolarmente: bisogna garantire di essere poi in grado di
governare”. In molti, però, vedono in questa formazione l’unica possibilità di
sedersi al tavolo da gioco da parte del centrodestra bolzanino. “Capisco, ma
noi abbiamo un profilo ben delineato cui non vogliamo rinunciare”. Correre da
soli, comunque, potrebbe portare con sé il rischio di essere meno
rappresentanti in consiglio comunale. La riduzione del numero di consiglieri, inoltre,
aumenterà il quorum per l’ingresso nell’aula. “Lo sappiamo, ma non si può
sempre scendere a compromessi per calcolo elettorale. Abbiamo un’identità
politica da difendere e un aggancio nazionale che riteniamo sempre fondamentale
all’interno di un preciso pensiero politico. Il legame con Roma non è
secondario, nonostante ci siano altre forze che lo pensano”.
I big, intanto, hanno
tutti annunciato un passo indietro o quantomeno un impegno non da candidati. E
Giorgio Holzmann? “Assolutamente nessuna voglia di tornare in campo da parte
sua, in coerenza con quanto sempre annunciato”. Così, però, dovrete andare a
caccia di un candidato sindaco destinato a una lotta improba. “No, questo non è
detto. Se la lista unica dovesse proporre un personaggio capace di attirare il
nostro consenso non avremo problemi ad appoggiarne la corsa alla fascia
tricolore”. La sensazione, comunque, è che dentro al centrodestra più di
qualcuno tema una campagna elettorale condotta in prima linea da Alessandro
Urzì e Michaela Biancofiore una volta che i giorni saranno caldi. Tutta da
verificare, invece, la disponibilità della lista unica nell’accettare appoggi
esterni al proprio candidato sindaco. Il “dentro o fuori”, infatti, non è
affatto escluso e il tempo delle decisioni non è poi così lontano.
Alan Conti (www.altoadige.it)
sabato 11 ottobre 2014
Estate, quanti cani sui treni
Bisogna essere sinceri: quello
presentato da Trenitalia nei giorni scorsi è un passo avanti nel rapporto con i
cani rispetto al recente passato. Viaggiare sui convogli nazionali, infatti, se
non altro è diventato più facile negli ultimi anni e a Milano sono i numeri a
confermarlo. Sono 12.000, infatti, gli animali di media e grossa taglia
trasportati nell’estate 2014, 60.000 il totale stagionale che confluisce nei
150.000 registrati da inizio. Rispetto al 2013 siamo al cospetto di un
incremento del 10%, il che in qualche misura significa pure un decremento del
rischio di abbandono. I dati di questi mesi caldi sono stati presentati nel
capoluogo lombardo da Michela Vittoria Brambilla per la Federazione Italiana
Associazione Diritti Animali e Ambiente assieme a Gianfranco Battisti,
direttore della divisione Passeggeri Alta Velocità di Trenitalia. I dati,
infatti, sono il risultato di un’intesa programmatica siglata dai due enti che
ha portato al libero accesso dei quattro zampe di qualsiasi taglia a bordo dei
Frecciarossa nei livelli di servizio business e standard, oltre alla prima e
seconda classe dei Frecciargento, Frecciabianca e Intercity. Un passo avanti
per Trenitalia che, in tutta onestà, prima del triennio in questione non ha
certo brillato per accoglienza verso Fido.
In ogni caso la vicenda è anche un business
per chi muove i treni sul territorio nazionale. I proprietari, infatti, devono
acquistare un biglietto a prezzo base ridotto al 50% per il proprio cane
collegandolo al proprio o a quello di un accompagnatore. Giustamente l’animale
domestico va predisposto per il viaggio
con un kit comprensivo di museruola, guinzaglio, libretto sanitario e
certificazione d’iscrizione all’anagrafe canina. Composti e in ordine con i
documenti, insomma, per togliere spazio alle facili critiche che ogni tanto
accompagnano i cani on tour da parte di chi non ne ama troppo la compagnia
itinerante. Naturalmente la tariffa cambia nel caso abbiate un esemplare
tascabile, quindi trasportabile nelle apposite gabbiette: in questo caso,
infatti, ,l’accesso al treno è libero. Un bambino maleducato, in fondo, occupa
molto più sedile e rischia pure di fare più confusione.
Alan Conti (www.altoadige.it)
venerdì 10 ottobre 2014
Pezzei: "Oggi il tedesco fa meno paura"
È un ufficio con l'oblò sulla
mentalità linguistica degli altoatesini quello che per 39 anni ha occupato Rita
Rosa Pezzei in Provincia. Direttrice del servizio del bilinguismo il termine
tecnico, battaglia quotidiana per l'apertura mentale al mondo attraverso gli
idiomi quello assai più prosaico. Una lotta che ha attraversato la storia di
questa territorio: dagli arroccamenti puntellati dall’articolo 19 alle sperimentazioni
scolastiche passando per il passaggio cruciale dell’equipollenza.
“Abbiamo assistito a un cambio di mentalità e
di predisposizione verso le altre lingue: non solo il tedesco. Il nostro
territorio è cresciuto”.
C’è stato un momento di svolta?
Una chiave di volta su cui costruire un nuovo atteggiamento?
“Diversi. Probabilmente il
concetto di plurilinguismo precoce è stato l’ariete da cui tutto è partito.
Penso ai primi programmi di tedesco per le scuole, alle ore di seconda lingua
fin dalla prima elementare e al grande impegno legato alle varie
sperimentazioni”.
Non che tutti abbiano cavalcato
con entusiasmo questa novità.
“No, affatto. Non a caso ci fu un
periodo in cui la scienza linguistica presentava soluzioni e opportunità che la
politica non intendeva affatto cogliere”.
Anche oggi, però, la sensazione è
che il mondo italiano e quello tedesco tocchino spesso pedali differenti:
l’acceleratore il primo, il freno il secondo.
“Difficile dire con esattezza
l’esatto orientamento di un gruppo linguistico. Di certo si può dire che siamo
usciti dal concetto puramente strumentale della lingua imparata per lavoro alla
vera curiosità culturale di possedere un bagaglio più ampio. Aspetto che ha
coinvolto poi l’inglese, il che qualche anno fa non era per nulla scontato.
Oggi possiamo permetterci di puntare pure sul russo o sull’arabo”.
Le generazioni, intanto, crescono
con sempre meno diffidenza.
“Sì, certo, e questo è molto
positivo. Non solo, si registra meno
timore nello sbagliare con un interlocutore madrelingua. Spesso gli italiani
hanno paura di commettere errori grammaticali o di pronuncia e faticano a
utilizzare la lingua liberamente. Nelle nuove generazioni accade un po’ di
meno”.
Lei ci sa spiegare perché nella
maggior parte dei casi un ragazzo italiano e uno tedesco parlano tra loro nella
lingua di Dante?
“Capirne il motivo è difficile.
Probabilmente è legato proprio al timore dello sbaglio. Per questo abbiamo
attivato il progetto di volontariato linguistico che codifica la possibilità di
colloquiare con estrema libertà. Diventa proprio una questione di contesto
d’uso, quindi dirimente”.
E il patentino è cambiato in
meglio o in peggio?
“Preferiamo parlare delle
certificazioni linguistiche in generale”.
Va bene, allora questo nuovo
esame molto più simile a quello delle agenzie equipollenti vi piace?
“Moltissimo. Aver avvicinato la
verifica provinciale di bilinguismo a quelli che sono i modelli delle
certificazioni europee è importante e ha aiutato il patentino a uscire da una
certa diffidenza che lo permeava. Certo, rimane il fatto che la valenza
internazionale continua a rendere le certificazioni preferibili dal punto di
vista della spendibilità sul mercato del lavoro globale”.
In quale modo si può ancora
crescere?
“Insistendo sull’insegnamento
precoce. Prima ci si avvicina alle lingue, prima si risolvono difficoltà e
incomprensioni. E’ scienza”.
Alan Conti (www.altoadige.it)
Gemellaggio con la Lettonia per il Pascoli?
La Lettonia fa gli occhi dolci
all’Italia e la testimonianza arriva dall’incontro che una piccola delegazione in
arrivo dalla scuola di arte applicata di Riga sta avendo in questi giorni al
liceo Pascoli. La preside Aija Neilande, accompagnata dalla presidente della
Società Dante Alighieri lettone Raimonda Strode, dall’interprete Leonards
Varzinsigs e da alcuni docenti e allunni, ha visitato ieri mattina l’istituto
di Firmian in un’ottica di possibile collaborazione. Le voci sensibili, come
sottolinea il professore Giovanni Accardo, sono quelle del gemellaggio e dei
progetti condivisi. “Speriamo di riuscire a intavolare alcuni scambi tra
docenti e studenti in una realtà in crescita come quella lettone”.
Il periodo scolastico di riferimento sarebbe
quello del biennio dato che in Lettonia la scuola artistica occupa i primi nove
anni del ciclo formativo. Curioso, comunque, come una realtà piuttosto lontana
abbia puntato gli occhi su Bolzano. “Maria Rita Lupi è una docente bolzanina che
lavora a Riga – spiega la preside Neilande – e ci ha parlato dell’Alto Adige e
del suo capoluogo. Evidente come la compresenza del tedesco sia un valore
aggiunto per la completezza della nostra offerta formativa”. Ogni anno,
comunque, la scuola organizza una settimana dedicata all’Italia con tematiche
differenti: si va dall’arte di Caravaggio alle piazze più famose delle nostre
città passando per l’immancabile Leonardo Da Vinci. Un amore viscerale
testimoniato dalla carica emotiva di alcuni dei lavori. Il prossimo anno, in
ogni caso, il fil rouge saranno “le
lettere in cerca di un libro”. “Stiamo pensando – continua Accardo- a un
progetto artistico comune con scambio finale dei prodotti. Un modo per
confrontarsi in modo diretto”. Possibile pure che una piccola delegazione del
liceo Pascoli possa ricambiare la visita. Ieri, comunque, le due scuole si sono
presentate a vicenda attraverso video e documenti didattici approfondendo anche
la natura strettamente didattica dei due differenti sistemi pedagogici.
Ruolo centrale come trait d’union lo ha
svolto, come detto, la Società Dante Alighieri. Nel pomeriggio di ieri,
infatti, i rappresentanti delle scuole e della sezione di Riga hanno incontrato
i vertici della sede di Bolzano con in testa Giulio Clamer. “Cerchiamo di
capire in che modo questo reciproco interesse nato per caso possa continuare a
sostenere la passione e la diffusione della cultura italiana in Lettonia. Se
questo può portare pure a un accrescimento didattico non possiamo che esserne
contenti”. Le basi, insomma, sono state gettate mentre sui computer scorrevano
le immagini del mar Baltico e dei palazzi Liberty di Riga. La voglia di
andarci, di sicuro, si è già messa in moto.
giovedì 9 ottobre 2014
Ragazzi "Innamorati" del teatro
Ci sono spettacoli che sono tali già
prima di diventarlo concretamente. E’ il caso de “Gli Innamorati” di Goldoni
che il giovane regista teatrale Andrea Bernard porterà sul palco del Rainerum
grazie all’organizzazione dell’associazione culturale “Ideali”. Oltre alla
notissima commedia, infatti, si nasconde la storia di una giovanissima
compagnia teatrale bolzanina che dopo essersi fatta apprezzare in larga parte
con il fenomeno Cababoz si è seduta al tavolo del professionismo. Già perché
Bernard il regista (o aiuto regista) lo fa di mestiere e quando ha radunato la
combriccola di attori li ha messi occhi negli occhi con il teatro “dei grandi”.
“Avevo voglia di esprimere davvero me stesso in un lavoro simile – ci spiega a
cavalcioni del palco durante una delle tante serate di prova – e ho scelto gli
interpreti uno a uno secondo le immagini che questa commedia mi ha portato
nella testa”. Così si è composto un cast di nomi conosciuti per chi ha respirato
l’aria del cabaret bolzanino: Alessia De Paoli e Daniel Ruocco saranno i
protagonisti, completati da Diletta La Rosa, Marco Zenti, Max Maraner,
Salvatore Cutrì, Chiara Calò, Davide Mariotti, Elia Liguori e Chiara Sartori.
Tutti in rampa di lancio, ma tutti non professionisti. “E’ molto stimolante –
spiega Bernard – perché da un certo punto di vista sono più malleabili. Questa
commedia, poi, permette di portare la propria esperienza personale nel recitato
andando a toccare una sfera psicologica di coinvolgimento davvero interessante.
I giovani sono ben calibrati per questa storia e non è un dettaglio. Ho sempre
trovato incoerenti le rappresentazioni di Romeo e Giulietta con protagonisti
interpretati da soloni di 60 anni”.
Alle prove, inutile negarlo, ci si diverte e
il sorriso non manca mai al cospetto di ragazzi che le platee le sanno far
ridere eccome, figuriamoci i giornalisti. L’impegno, però, non è proprio di
quelli su cui scherzare perché non essere professionisti implica un altro
lavoro da fare durante il giorno per poi salire sul palco al crepuscolo. “E’
impegnativo essere qui tutte le sere fino a tardi – confidano De Paoli e Ruocco
–ma ci sentiamo nel luogo giusto, nel nostro posto. L’impostazione e il
coinvolgimento richiesti ci mettono davvero di fronte al mestiere dell’attore
convincendoci a tentarle tutte su questa strada professionale“. Strada che non
è esattamente liscia come l’olio e porta quasi matematicamente fuori da
Bolzano. “Le accademie si trovano in altre città e anche vivere di teatro a
Bolzao non è semplice, a meno di non riuscire a entrare allo Stabile. Non è
facile, ma lavori come quello che ci ha proposto Bernard ci permettono di
crescere e aggiungere sicurezze e capacità”. Da un punto di vista tecnico
cambia, eccome, l’orizzonte dal cabaret. “L’immedesimazione del personaggio è
totalmente differente – chiude De Paoli – e richiede un’interiorizzazione più
profonda. Cambia anche il lavoro di squadra in una struttura che non è formata
di soli sketch singoli, ma si articola in modo più organico. Conta moltissimo
l’armonia che riusciamo a mettere sul palco trascinando il pubblico e dando,
soprattutto, il meglio di noi stessi”. Spettacoli giovedì 9 e venerdì 10
ottobre alle 20.30 oltre al pomeridiano di domenica 12 alle 16.30. I biglietti
costano 12 euro l’intero, 9 il ridotto fino ai 18 anni, e sono acquistabili in
prevendita al teatro Rainerum (orario 14-18 dal 6 ottobre) oppure sul web
all’indirizzo www.rainerum.it/teatro.
Di certo sul palco questi ragazzi porteranno tutto perché il teatro non diventi
la scelta che non hanno fatto.
Alan Conti (www.altoadige.it)
martedì 7 ottobre 2014
Bar Domino: 20 anni di idee
Non è un mistero: un domino per
funzionare bene richiede tante tessere perfettamente combacianti. Quelle che da
20 anni garantiscono successo all’omonimo bar Domino si chiamano famiglia,
qualità e capacità di guardare lontano. Già perché sull’affaccio di piazza
Walther i fratelli Marchesini sono stati i primi a metterci il naso e ancora si
trattava di un elegante stanzone vuoto più che di un salotto buono. Solo ampio
spazio: senza quadri e senza particolare anima commerciale. Così Claudio,
Stefano e Alessandro, supportati dalla sempre presente Irma Mariotti, si sono
inventati un concetto che oggi incornicia piazza Walther come elemento
naturale: il dehors con pranzo per i lavoratori della zona.
“Fino ad allora – ricordano Claudio e Stefano
– la pausa dal lavoro era possibile solo al ristorante, perlomeno qui in
Centro. Così abbiamo elaborato la proposta di un piccolo menù curato che ha
subito funzionato per questioni di tempo, economicità e qualità”. Già, però la
concorrenza se n’è accorta abbastanza in fretta. “Sì, certo, ma mi creda: è
stato un bene. Tutti gli esercenti hanno accettato la sfida di mantenere un
certo standard creando una tendenza sia tra i bolzanini sia tra i turisti.
Abbiamo allargato la domanda mantenendo una buona offerta collettiva”. Per una
volta uno spazio urbano che fiorisce senza la cantilena dell’“era meglio
prima”. “Piazza Walther è migliorata – ribatte Claudio Marchesini – ed è
migliorato pure il flusso turistico. Oggi con Ötzi e le Dolomiti patrimonio
dell’Unesco abbiamo visitatori in arrivo da Israele, Asia e Americhe. Gente,
parrà strano, che torna a Bolzano e torna pure nel bar”. Il cuore di Bolzano,
insomma, invecchia bene: parola di chi ne conosce ogni singolo angoletto. “Sono
cambiate pure le abitudini. Solo pochi anni fa il sabato e la domenica era
tutto chiuso e deserto: oggi si lavora moltissimo e con moltissime persone”.
Riavvolgiamo il nastro perché la storia da
esercenti della famiglia Marchesini ha molta bobina. “La nonna era albergatrice
– sottolinea Stefano – mentre i nostri genitori hanno gestito per molti anni il
ristorante La Torcia. Noi ci siamo formati con loro, poi è saltata fuori la
possibilità di rilevare il vecchio Domino”. Due le molle: una sfida
professionale e una vita meno da pipistrelli e più da passerotti. “Cercavamo un
lavoro più diurno e un progetto ex novo. Dopo dieci anni ci siamo allargati con
il piccolo locale sulla piazza e 5 anni fa abbiamo rinnovato il locale in
Passaggio Walther e ottenuto, poco più tardi, una parte di piazzetta interna
riqualificandola”. Un rilancio continuo. “La qualità è un investimento.
Pensiamo proprio al dehors: se chiedi alla Coca Cola le sedie e gli ombrelloni
te li regala, mentre le nostre strutture parasole sono svizzere e costano più
di 5.000 euro. C’è una grossa differenza. Tutto, però, viene ampiamente
ripagato”.
Lavorare tra fratelli, infine, non deve sempre
essere una passeggiata. “Bisogna essere intelligenti e distinguere bene
professionalità da affettività. Siamo sempre stati abituati a fare così, ma
dietro al bancone noi siamo solo soci e ci dimentichiamo dalla famiglia. E’ il
segreto per andare avanti bene”. Tessere combacianti, sì, ma ben separate.
venerdì 3 ottobre 2014
Da Marion a Marian: "Il mio cambio di sesso"
Essere nel posto sbagliato al
momento sbagliato è una di quelle sensazioni che pungono sulla pelle.
Figuriamoci trovarsi costantemente nel corpo sbagliato come racconta, con molto
coraggio, Marian Oberhofer, insegnante di scuola primaria ad Appiano che ha
deciso di mutare la propria identità sessuale. Da donna a uomo. Si è raccontato
partendo addirittura dall’asilo, da quei vestiti da bambina che proprio non
sopportava. “Mi sentivo costantemente a disagio – spiega a Video33 – e
cominciavo a manifestare i primi segnali di insofferenza”. Con il passare degli
anni e lo sviluppo della sessualità per Marion (così il nome alla nascita) la
questione si è fatta decisamente seria. “Mi sono fatto aiutare da uno psicologo
di Merano perché non è semplice gestire una situazione costantemente fuori
sincronia con il proprio sentire. Dover sempre spiegare e doversi sempre
spiegare è una condanna che non sempre si sopporta”. Poi un articolo ha
catturato la sua curiosità: “Sono venuto a conoscenza della possibilità di
cambiare aspetto in modo graduale”.
Quel che non manca a Marian, evidentemente, è
la personalità per iniziare un mutamento radicale. Il perbenismo lessicale oggi
parla di transidentità, la vulgata popolare transessualità, ma quel che conta è
la sostanza: cercare il sole di apparire come ci si sente dietro anni di
pioggia fallace. Due anni di terapia.
“Proprio così e la strada è quella dell’assunzione di ormoni maschili.
La voce si abbassa, aumenta il pelo, spunta la barba e qualcuno parla di un
aumento dell’aggressività, ma io non l’ho avvertito. E’ un percorso che ognuno
è libero di cominciare, meglio se con il supporto costante di uno psicologo.
Ora, però, desidero l’operazione chirurgica ma già so che dovrò rivolgermi
all’estero. Purtroppo”. Oberhofer, però, oltre ad affrontare famiglia, amici e
conoscenti ha dovuto mettere sul piatto pure una professione delicata: l’insegnante,
quindi educatore. “Vero, per quello ho scritto delle lettere ai genitori dei
miei alunni. Ho spiegato quello che stavo facendo e per quali motivi. Devo dire
che hanno capito e ho avuto solo reazioni positive. I bambini, poi, si abituano
in fretta e già adesso mi chiamano Marian al maschile”. Delle due l’una: o
Appiano è un feudo dell’apertura mentale alla libertà sessuale oppure qualcuno
ha fatto buon viso a cattiva sorte. “L’hanno colta bene e io ne sono contento.
Piuttosto è la legislazione italiana a essere molto indietro su questo fronte.
I tempi per un simile cambio di identità sono esageratamente lunghi e creano
inevitabili difficoltà”. L’associazione Centaurus, intanto, ha istituito un
gruppo di mutuo aiuto. “Ci incontriamo il mercoledì sera e ciascuno di noi
parla della sua esperienza. E’ un’atmosfera molto libera e intensa: è
importante potersi aprire con chi affronta le stesse difficoltà sociali. Ci si
sente sicuramente meno soli o deboli”. Marian, insomma, ha apertamente salutato
Marion aprendo la sua esperienza al mondo ed esponendosi ai venti della critica
e dei commenti. Per l’anagrafe, invece, sarebbe un semplice cambio di vocale.
Ci ha messo meno lui.
Alan Conti (www.altoadige.it)
lunedì 29 settembre 2014
Studenti altoatesini, la matematica è la bestia nera
Matematica ostica, vera bestia
nera degli studenti altoatesini di lingua italiana. Un ragazzo su quattro,
infatti, non supera l’asticella di una sufficienza piena e a dirlo, stavolta,
non sono i registri dei docenti ma i risultati dello studio Pisa 2012 coniugati
alla nostra realtà territoriale. Una selva di numeri presentata ieri pomeriggio
nell’aula magna del liceo classico Carducci che fornisce molti spunti, diversi
approfondimenti e qualche trend. Focus primario su matematica, seguita a ruota
da lettura e scienze.
Il primo dato che salta all’occhio sbuca
dall’analisi di insufficienze ed eccellenze e il 25,7% degli scolari italiani
non supera la linea di galleggiamento. Sono 9,7%, invece, i fuoriclasse della
disciplina. Problemi e funzioni, insomma, non scaldano gli animi e a patire
sono soprattutto i giovani degli istituti tecnici. In una comparazione dei
risultati delle prove con la media nazionale (punteggio di 485), infatti, solo
i licei portano a casa punteggi migliori (537) mentre istituti tecnici,
professionali e centro di formazione professionale si attestano tutti al di
sotto del resto della Penisola. Una situazione che si ripropone identica nelle
campionature relative a lettura e scienze. Nel confronto con la scuola tedesca
sono gli istituti tecnici ad uscire ammaccati perché gli omologhi dell’altra
lingua non solo stanno ben al di sopra del livello italiano, ma si affiancano
con una certa disinvoltura ai colleghi liceali. Sempre la matematica registra
un tracollo di risultati se rapportata alla rilevazione del 2003. In 11 anni le
valutazioni sono calate del 30,1% in tutta la Provincia con un -21,6% nei
licei, -14% nei tecnici, -30,1% negli istituti professionali e -43,7% al centro
formazione professionale. Nessuno,
insomma, sembra passarsela granchè bene rispetto a una decina di anni fa.
“La differenza con gli istituti tecnici di
lingua tedesca – spiega Roberto Ricci, direttore del nucleo di valutazione
provinciale – va ricercata sostanzialmente nel background di preparazione degli
studenti che si iscrivono. Nelle scuole italiane troviamo profili diversi, meno
preparati, perché la scuola superiore viene scelta più secondo parametri
sociali o di interesse e meno considerando gli sbocchi professionali o la
natura vera e propria dell’istituto”. Il
liceo, insomma, continua a rivestire un’attrazione magnetica anche tra chi
potrebbe trovare via più agevole nel campo tecnico. “Esatto. Questo, semmai, è
il dato che emerge con forza da tutte le ricerche. Bisogna migliorare
l’atteggiamento nell’orientamento”. Va detto, però, che nelle scuole
altoatesine anche di grado inferiore spesso la matematica paga dazio alle
lingue in termini di ore di insegnamento. “Sì, ma in un sistema scolastico che
regge come quello italiano questo è un aspetto che non ha tutta questa
incidenza. L’apprendimento linguistico, per esempio, è sicuramente propedeutico
e di supporto a quello matematico”. L’unico teorema che sembra non reggere,
insomma, è quello della coperta corta.
Alan Conti (www.altoadige.it)
Firmian, nasce piazza Montessori
BOLZANO. Per ora piazza lo è di nome, nel
giro di 140 giorni dovrebbe diventarlo di fatto. Il cuore di Firmian, perlomeno
nei progetti, dovrà essere lo spiazzo intitolato a Maria Montessori: anello di
raccordo tra le scuole moderne e l'omonima chiesa preziosissima. Ieri il via
ufficiale dei lavori dopo aver ultimato le strutture di servizio: 145 giorni
e 572mila euro per dare un volto da vero luogo di aggregazione
all'insieme di edifici. Una sfilza di dati tecnici a delineare il profilo di
un'urbanizzazione importante perché dovrà consegnare al rione uno spazio, anche
emotivo, di riconoscimento. È una scommessa più che un lavoro dato il panorama
bolzanino dove le piazze sono ammalate di poca socialità. Non mancano, a onor del
vero, le eccezioni che incoraggiano piazzetta Anna Frank che poi in via Ortles
è, per tutti, "la piazzetta".
In ogni caso ieri mattina
l'assessore ai lavori pubblici Luigi Gallo e l'ingegnere comunale Mario Begher
hanno spiegato nel dettaglio quello che si realizzerà nei prossimi 5 mesi a
Firmian secondo il disegno originario dell'architetto Matteo Scagnol
implementato dalle variazioni del Comune messe a punto dall'ingegnere Enrico
Corsani.
Prevista, dunque, la demolizione
della pavimentazione attuale in asfalto per fare spazio alla posa di un
materiale stabilizzato porfirico ottenendo una nuova conformazione estetica. La
superficie sarà di conglomerato bituminoso in doppio strato. In programma,
inoltre, la realizzazione di una nuova rete di raccolta delle acque piovane da
realizzare con rivestimenti in calcestruzzo. Cambierà, naturalmente, pure
l’arredo urbano con un nuovo sistema di illuminazione e la realizzazione di 21
panchine di varie dimensioni in calcestruzzo con seduta in legno. Di fatto si
tratterà del raccordo tecnico e urbanistico tra gli edifici costruiti dalle
cooperative e quelli affidati alla gestione dell’Ipes: una cerniera di unità
tra le parti residenziali oltre che quelle pubbliche. Rimane, invece, da
stabilire cosa fare di un piccolo lotto in prossimità della futura casa per
anziani su cui ci sarà, probabilmente, da discutere parecchio.
L’intervento
di piazza Montessori si va a infilare nel canalone dei lavori su piccoli
spiazzi sottolineato prontamente da Gallo. “Come amministrazione abbiamo
portato a termine con lo stesso gruppo di lavoro l’opera in piazza Don Franzoi
ai Piani e presto vogliamo mettere mano a piazzetta Anna Frank che è molto
vissuta, ma necessita di una riqualificazione che la renda ancora più adatta
alla vita sociale”. La linea, insomma, è tracciata anche se, per esempio,
piazza Franzoi continua a essere piuttosto deserta e ieri soffriva pure di un
guasto all’impianto di idraulica legato alla fontana. “E’ importante creare
delle opportunità – continua Gallo - e
intervenendo con questi lavori poniamo le basi perché questo avvenga”. Nel giro
di una manciata di settimane, insomma, Firmian avrà una piazza: resta da vedere
quanto ci metterà a farla diventare la “sua” piazza.
Il Bullone, ecco come amare Sciangai
BOLZANO. A quindici anni a lui mettevano davanti una strada e a lei raccomandavano di non frequentarne un'altra. Fabrizio Lonardi, bolzanino di lingua italiana, sceglieva che tra la scuola e un lavoro in ferramenta preferiva la seconda, mentre Edith Knoll, bolzanina di lingua tedesca, ascoltava i parenti che le raccontavano di quel quartiere poco raccomandabile del capoluogo: Sciangai. Oggi sono sedici anni che formano una squadra al volante della ferramenta "Il Bullone" di via Sassari e Fabrizio ha scoperto che la sua vita professionale era disegnata perfettamente per viti e bulloni, mentre Edith si è piacevolmente stupita di una Don Bosco che ama e che la ama. Già, perché "Il Bullone" è la prosecuzione naturale della vecchia ferramenta "Putrino" e come, tale viene vissuta da decenni da artigiani, professionisti e privati del rione. «Ci fa piacere essere un punto di riferimento per la gente, anche in un momento in cui non è semplice resistere al decentramento nei centri commerciali o nelle grandi strutture», ammette Lonardi - una faccia piuttosto nota anche ai tanti appassionati di hockey su ghiaccio - al bancone. Di certo, però, ci troviamo in un settore dove l'esperienza paga. «Sì, abbiamo questa innegabile fortuna perché dopo 45 anni posso dare dei consigli maturati nel tempo. Difficile che le grandi catene abbiano commessi così formati. Nel settore dei piccoli e grandi lavori manuali capire esattamente come utilizzare un arnese o un componente non è un dettaglio». Per di più se l'edilizia e l'artigianato battono economicamente in testa. «Purtroppo – confermano i soci – le aziende del settore fanno fatica. Per questo si è allargato moltissimo il mercato riferito ai privati che rappresentano una risorsa importante. Sono tanti gli anziani che ci chiedono di tenere duro e non mollare». Voi cosa rispondete? «Che lo decidono loro quanto possiamo tenere duro. Se continuano a scegliersi è più facile». Il futuro, però, è garantito dai giovani. Da coloro che, più degli altri, dovrebbero credere e scommettere nel rilancio. Legato anche alla permanenza di negozi di grande tradizione come "Il bullone". «Ha ragione, ma bisogna ammettere che, a differenza di altri esercizi, le nuove generazioni non hanno perso l'abitudine di rivolgersi a una ferramenta o di pensare di farlo quando devono portare a termine qualche lavoro». Lonardi, come detto, ha dedicato l'intera carriera a questo genere di commercio. Cosa fa scattare una scintilla così forte? «Credo la vastità e l'ampiezza di soluzioni che si possono trovare in una ferramenta. Credo che sia un valore importante la versatilità». Come nasce, però, questa strana coppia professionale? «Lavoravo in via San Quirino ed Edith era impiegata presso una grossa ditta di idraulica delle vicinanze. Ci siamo conosciuti lì. Non appena ho sentito dell'occasione in via Sassari ne ho subito parlato con lei: mi sentivo pronto alla gestione del negozio, ma non sapevo come seguire la parte amministrativa o burocratica. Esattamente il campo in cui lei eccelleva». Cosa ne pensava la signora? «Quando ero piccola mia mamma mi diceva di stare attenta al rione di Sciangai. C'era della diffidenza da parte della Bolzano tedesca. Mi sono ricreduta piuttosto in fretta su un quartiere che ormai è la mia seconda casa. Un posto dove non puoi che trovarti bene». Dopo sedici anni si può dire che l'intuizione è stata giusta? «Certo, si può dire. Ogni tanto litighiamo anche duramente, ma dopo mezz'ora è tutto sistemato e ripartiamo con entusiasmo». D'altronde tutto si può aggiustare: figuriamoci se non lo sanno in una ferramenta.
venerdì 19 settembre 2014
Chiude l'Assenzio, bagarre con il Comune
Essere attivisti del Movimento Cinque Stelle non si coniuga
con il successo commerciale o almeno così sembra essere a Bolzano. I motivi
possono essere vari, ma il sasso che ieri ha agitato il mondo bolzanino di
Facebook è di quelli destinati a far rumore perché dopo dodici anni di gestione
Fabrizio Franchi si appresta a mettere il lucchetto al bar Assenzio. Il tutto
qualche giorno dopo le dichiarazioni del fioraio di via Bottai Rudi Rieder che ha
denunciato un boicottaggio generale per il suo essere grillino di prima linea
sia da parte dei clienti sia da parte degli enti pubblici. La chiusura del locale sotto il passaggio del
vecchio Municipio, comunque, non è di quelle che passano inosservate perché, in
un modo o nell’altro, queste piccole scale verso una saletta in discesa hanno
scritto una piccola storia della Bolzano del divertimento e dell’impegno
civile. Dalle feste al karaoke passando agli incontri, appunto, del Movimento
Cinque Stelle o i concerti live. Bene o male sono tantissimi i bolzanini che ci
hanno passato più di qualche ora.
Il commento virtuale con cui Franchi saluta il
suo bancone è lapidario e fa presto il giro del web: “Data di morte dell’Assenzio: oggi. Onde evitare illazioni
e calunnie, anche se abituato a sopportarle dopo dodici anni da parte di
bifolchi per nulla professionali, chiarisco che il problema è solo burocratico
e che essere attivista Cinque Stelle non mi ha aiutato di sicuro. Grazie a
tutti gli amici che in questi anni mi hanno aiutato a vivere felice di un
lavoro che amo”. Nulla più in attesa di una partita che potrebbe essere delicata
chiamando in causa l’amministrazione comunale. Se davvero un locale viene
strozzato dalla burocrazia e non dai bilanci significa che qualcosa non
funziona nel meccanismo di gestione degli esercizi. Inutile girarci attorno:
della chiusura dell’Assenzio chiederanno conto i grillini, ca va sans dire, ma
anche musicisti, artisti e semplici cittadini. Facebook ospita già decine di
punti di domanda da riempire.
Attività commerciali strozzate perché nell’orbita
pentastellata, questa l’accusa mossa dai titolari. Al di là del consenso
politico le amministrazioni non possono permettersi nemmeno il sospetto.
Alan Conti (www.altoadige.it)
Talvera, siringhe a un passo dai bambini
Lo spaccio presuppone dei
consumatori, la rapina il pericolo della casualità. I Prati del Talvera baciati
dal sole nel pomeriggio sono ancora feudo delle famiglie, ma è inevitabile che quanto
accaduto negli ultimi giorni abbia lasciato dietro di sé un alone. La cronaca
ha steso i suoi teli sull’erba e anche se per molte mamme nulla cambia in
concreto è evidente che le antenne della preoccupazione sono un poco più
dritte. Spaccio e rapine non sono accidenti casuali. Intanto lungo il greto del
fiume, a cinque metri dai tappetoni elastici e venti dai giochi, si trova
agevolmente un piccolo drappello di pericolose siringhe usate e abbandonate in mezzo
a una foresta di confezioni sanitarie. Iniezioni di eroina si presume a spanne.
Vero che un bambino sorvegliato lì non ci dovrebbe mettere nemmeno un’unghia,
ma altrettanto vero che non sarebbe la prima volta che un pargolo o un cane
scappa in quella direzione. Entrambi, Fido e Baby, non si fanno troppe domande
sugli oggetti curiosi da toccare.
“Frequento questi Prati da quando li hanno
costruiti – inizia Margherita Morosin di Collalbo – e non si può negare che
nella frequentazione sono cambiati. L’aumento degli stranieri è evidente, ma
non siamo certo ai livelli del parco della Stazione rovinato nel corso degli
anni. Qui sono ancora i cittadini i padroni”. Inna Ivliyeva, dal canto suo, si
iscrive al partito delle mamme contente dell’aumento dei controlli. “Passano
spesso con le auto di servizio, sia polizia sia carabinieri, e questo contribuisce
a stare più tranquilli. Probabilmente gli episodi spiacevoli hanno contribuito
a far tornare alta l’attenzione”. Nonno Sebastian Unterholzner, poco più in là,
tesse le lodi del Talvera. “E’ un luogo che ci permette di essere nonni in
tranquillità, una ricchezza che non può essere dispersa”. Una mamma, invece, ci
avvicina chiedendo l’anonimato. “Il giorno prima degli arresti ho assistito
sbigottita a uno scambio pomeridiano tra un pusher e un cliente. Da una parte i
soldi, dall’altra una piccola busta di stupefacente: un commercio alla completa
luce del sole, davanti alle altalene dei bambini. Incredibile la tranquillità
che hanno mostrato. Ben vengano le operazioni di polizia e i controlli in
borghese”. Più tranquilla è Simone Tarneller: “Sinceramente non ho visto grandi
cambiamenti negli anni e continuo a sentirmi tranquilla. Il massimo dei crucci
possibili sono gli escrementi dei cani. Certo, scoprire che così vicino si
possono trovare delle siringhe non fa affatto piacere, ma cerchiamo di essere
sempre attente a come si muovono i piccoli in uno spazio che è comunque
particolarmente aperto”. Nel recinto dei cani incontriamo Sara Lorenzoni: una
rapina non passa inosservata a chi può essere spesso in giro da sola. “La paura
è che possa capitare chiunque. Ben vengano i controlli di qualsiasi natura: in
pattuglia, borghese o con le telecamere. Lo spaccio ai ragazzini, invece, è
certamente grave ma dal punto di vista della pericolosità sociale rimane più
circoscritto ai protagonisti della compravendita”.
Il Talvera, insomma, continua a scorrere nella
vita sociale come approdo quotidiano dei bolzanini, ma qualche piccolo graffio
è rimasto. Va difeso perché non si allarghi.
Alan Conti (www.altoadige.it)
lunedì 15 settembre 2014
Mille chilometri a piedi col sorriso
I grandi camminatori si preparano,
hanno percorsi tracciati nel cervello o su mappe dettagliatissime e si mettono in
marcia per ideali religiosi o filosofie profondissime. Poi c’è Michael
Anzalone, bolzanino che ha trovato fortuna lavorando come artista sulle navi da
crociera “Aida”, capace di macinare un migliaio di chilometri nel Mezzogiorno
d’Italia solo per il gusto di farlo, guidato da una risata. Con lui Nico
Colucci, amico ballerino di Noicattaro in provincia di Bari, con cui l’altro
giorno ha esultato all’ombra del faro di San Vito Lo Capo in Sicilia dopo più
di un mese da pedone. La partenza, infatti, è datata 2 agosto da Santa Maria di
Leuca. Robetta da 1100 chilometri e simpatia proporzionale. Il seguito di un analogo cammino compiuto tre anni fa da
Ravenna a Santa Maria di Leuca. Il primo lo hanno chiamato “Il cammino del
cretino”, il secondo “la via del cous cous” e su Facebook la loro pagina
seguitissima è “The walking mad”: nomi che sono un programma.
"Una sera – racconta
Anzalone - ho ascoltato la storia di un uomo che fuggì dalla Germania durante
la guerra raggiungendo la Sicilia a piedi e ho subito pensato che si poteva
fare qualcosa di simile. Un’idea talmente pazza che l’abbiamo concretizzata, ma
il cammino di Santiago ci pareva troppo facile. A noi inesperti piacciono le
complicazioni". Spazio, dunque, a un’estate 2014 passata a lambire le
coste del Sud seguendo un tracciato
istintivo con il mare come bussola, salvo uno scollinamento sul Monte Pollino.
La bellezza di un iter ingarbugliato, dettato solo da una curiosità appropriata
a scorci meravigliosi. "Seguiamo i sentieri, certo, ma mica sempre.
Qualche volta il mio amico Nico si inventa che guadando un fiume si taglia e ci
troviamo a valicare corsi d’acqua con lo zaino in testa al margine di un golfo
artificiale del tutto insuperabile. Ecco, in quelle situazioni trovi il modo di
cavartela con il sorriso". Con la preparazione fisica come la mettiamo?
"Chiaramente non facciamo allenamento specifico, però si tratta
certamente di qualcosa di probante. Viaggiamo a una media di 36 chilometri al
giorno. Impressionanti le distanze che si possono coprire a piedi".
Nel marasma di aneddoti che spuntano come
coriandoli ne spunta uno proprio nel parco del Pollino. "Una storia da
film – sorride Colucci – perché abbiamo salvato un cagnolino trovato in un
pozzo. Lo abbiamo battezzato Ziggy Stardust. Come premio il destino ci ha fatto
sbagliare sentiero fermandoci in un posto senza acqua né cibo arrabbiati come
vespe". Già, perché vi sarete mica immaginati che ci siano campeggi
prenotati? "Ah no – ridono – abbiamo una tenda che usiamo all’occorrenza
un poco dove capita. Certo, se possiamo preferiamo i camping o le aree
attrezzate per i servizi". Tutto
il resto è raccolto in un libro di futura pubblicazione o sulla pagina social.
In ogni caso all’orizzonte spunta la voglia di
un terzo cammino aperto a tutti. "Per venire con noi basta contattarci,
siamo ben contenti". Non servono particolari sofismi o itinerari
precisetti: solo la capacità di sorridere è imprescindibile. Pronti a mettersi
in cammino?
Alan Conti (www.altoadige.it)
venerdì 25 luglio 2014
Scuola di San Giacomo, nuove aule e palestra
LAIVES. Una scuola a metà che ha bisogno di essere completata. A metà tra italiani e tedeschi, a metà tra Bolzano e Laives. L'Istituto di San Giacomo da diversi anni lamenta un sovraffollamento preoccupante: gli ultimi dati disponibili parlano di 197 alunni e 32 insegnanti da gestire in spazi adatti ad ospitarne molti meno. Non a caso una classe è ospitata da anni in un container. La vicinanza con Maso della Pieve, infatti, porta molti bolzanini a guardare un passo oltre il confine, così come fanno alcuni laivesotti. Risultato? San Giacomo conta 3.583 residenti ma la sua scuola è appetita da un bacino più ampio. Nasce così la necessità di effettuare un ampliamento studiato a fondo dallo studio dell'architetto Peter Paul Amplatz e rimasto nel cassetto fino a pochi giorni fa quando il Comune di Bolzano ha deciso di metterci del suo, assieme a quello di Laives in un'apposita convenzione.
Il sì di Bolzano. «Faremo la nostra parte», la conferma telegrafica dell’assessore comunale di Bolzano Judith Kofler Peintner. Troppo complicato pensare di spostare tutti gli alunni del capoluogo nelle strutture di Oltrisarco: meglio provare a mettere sul piatto un intervento che può variare tra i 5 milioni e i 5,4 milioni.
Il progetto. Amplatz, infatti, ha redatto un approfondito studio di fattibilità che propone due opzioni. «La base di partenza è un ampliamento autonomo nella zona tra l'edificio attuale e la strada collocata a est, lungo via Maso Hilber, compartecipata al 50% dai due Comuni. Si potrebbe, però, realizzare l'ingresso principale a est oppure rivolto a nord. La prima soluzione costa circa 400 mila euro».
Scartata l'idea di un rialzamento della struttura principale. «Non si può. La fondazione a trave rovescia crea problemi statici troppo rilevanti». L'ampliamento, chiaramente, dovrebbe servire la parte più didattica, mentre il blocco principale sarebbe interessato dalla realizzazione di una mensa nuova di zecca al piano terra, al posto della vecchia palestra, e al piano superiore una microstruttura per l'infanzia. Da creare ex novo, a quel punto, anche una nuova palestra. Chiari i riferimenti quantitativi delle aule. «Per la scuola italiana calcoliamo la necessità di 16 aule, 10 per la didattica e 6 per il sostegno. La parte tedesca, invece, necessita di 5 aule di insegnamento e 3 per il sostegno. Un totale complessivo di 24». Sufficienti per far fronte a un potenziale afflusso in aumento sottolineato pure dallo studio di fattibilità commissionato dalle amministrazioni.
I tempi. Due, comunque, i punti forti di una simile riorganizzazione: bassissimo impatto ambientale e la possibilità di effettuare i lavori durante il periodo scolastico. Certo, non proprio la situazione ideale per docenti e bambini, ma i tempi non saranno biblici. "Solo di cantieristica - continua Amplatz - potremmo ipotizzare massimo un anno e mezzo di lavoro. Dal punto di vista delle procedure, invece, la questione è assai più delicata perché dopo l'accordo per il finanziamento Laives dovrà preparare un bando. I tempi, in questo caso, si fanno più incerti". Intanto crescono gli iscritti.
Alan Conti (www.altoadige.it)
giovedì 24 luglio 2014
San Paolo, le settimane del gusto
Il giro del palato altoatesino in due settimane. Tornano a San Paolo le Settimane Enoculturali organizzate dall'Associazione Turistica di Appiano arrivate, ormai, alla 16esima edizione consecutiva. Un appuntamento atteso in Bassa Atesina, dove ancora una volta si celebra Sua Maestà il vino, ma anche nel resto della Provincia e tra i tanti turisti. Dal 24 luglio al 5 agosto, dunque, occhi puntati sul grazioso paesino per un succedersi di appuntamenti decisamente interessanti. Approdo naturale per enologi, gourmet o semplici amanti della forchetta. Partenza fissata per giovedì sera dalle ore 20 con la Passeggiata del Vino a cura dei viticoltori di Appiano che metteranno in bella mostra vini e distillati affiancati agli assaggi nostrani. La cantina ospite per le vie di San Paolo quest'anno sarà la Tiefenbrunnen di Cortaccia pronta a un ruolo da protagonista. L'occasione, ovviamente, è quella di una degustazione all'aria aperta che permette un contatto diretto con produttori ed operatori. Della parte gastronomica, comunque, si occuperanno Paulser Hof, il bar Mondschein e il bar enoteca Schreckenstein. Il formaggio sarà griffato dalla Mila, la carne dalla macelleria Ebner e altre bottiglie saranno stappate dall'enoteca Vis a Vis.Venerdì si replica ed è la volta delle “Dolcezze della cucina contadina e della cantina”. In primo piano, naturalmente, gli zuccheri con roulade di grano saraceno, canederli di albicocche, Krapfen di Predonico e ciambelle di mele.
Tutto annaffiato da vino da dessert o spumante altoatesino. Il programma, decisamente fitto, vivrà il 29 luglio il clou più noto: la tavolata cumulativa per le strade del paese. La cena sarà affidata allo chef stellato Herbert Hintner quindi la garanzia di qualità è assoluta. Resta il conto che rischia di essere piuttosto “salato” per le tasche popolari: 130 euro a persona. Ma la qualità è garantita. (Informazioni all 0471 662206 21). «Si tratta di un’atmosfera unica – spiega il direttore dell’Azienda Turistica di Appiano Thomas Rauch – che ogni anni ci sforziamo di rendere appetibile e appagante. Siamo molto soddisfatti della collaborazione che siamo riusciti a creare tra turismo e agricoltura lungo tutta l’iniziativa. Si tratta di un volano prezioso per il nostro territorio». Sempre il 29 luglio da segnare un interessante seminario sul vino, mentre il 31 il paese di San Paolo sarà al centro dell’interesse di un’apposita visita guidata. Spazio ai giovani, invece, il primo di agosto con l’evento specifico Big Bottle Party, mentre è curiosa la chiusura fissata al 5 agosto sotto i tigli vicino alla chiesa del paese. Nacque tutto lì sedici anni fa: giusto chiudere il cerchio.
Alan Conti (www.altoadige.it)
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