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mercoledì 14 aprile 2010
Adriatik ha lottato tra fango e massi: "Ho seguito subito l'istinto di risalire"
Alto Adige — 13 aprile 2010 pagina 08 sezione: ALTRE
BOLZANO. S’era attardato a casa dello zio ed ha preso il treno per arrivare in tempo al lavoro. Poteva essere un ritardo fatale quello di Adriatik Kaja, operaio albanese impiegato nella ditta “Ramnagora” (settore ortofrutticolo), che ieri mattina viaggiava sul treno investito dalla frana a Laces. A salvarlo è stata la prontezza di riflessi e il telefonino. Trasportato all’ospedale di Bolzano nel pomeriggio e ricoverato in astanteria con contusioni in varie parti del corpo, è lui stesso a raccontarci quegli attimi terribili, sostenuto dallo zio Medi Kaja e dal datore di lavoro Shkelzen Karasan. «La montagna è letteralmente entrata nel treno - dichiara Adriatik, scosso e col volto tumefatto, dal letto dell’ospedale - e i sassi arrivavano da tutte le parti. I massi mi sono piombati sull’addome e vicino alla testa avvertivo un peso opprimente: ovviamente non capivo bene cosa stesse succedendo, ma la paura è stata subito grande». Degli attimi in cui si è ritrovato sepolto dalla frana Adriatik ricorda solo alcuni flash: «Devono essere passati venti minuti, di cui ricordo solo alcuni istanti. Ho sentito subito il bisogno di scrollarmi e di risalire per uscire dalla trappola che era diventata il nostro vagone. Avevo più paura che dolore, forse un effetto dello shock. Vicino a me sentivo una donna urlare: non so che fine abbia fatto». Lucido anche il ricordo del telefonino che portava nella tasca: «Avevo il cellulare nei pantaloni e sono riuscito a chiamare il numero di mio zio. Gli ho urlato di lasciare subito il posto di lavoro e di correre che c’era stato un incidente grave al treno. La memoria, poi, mi riporta agli attimi in cui sono uscito dal vagone: ricordo confusione, disperazione e il convoglio che dondolava». Adriatik, però, su quel treno non avrebbe dovuto esserci: «Era in ritardo al lavoro - racconta il datore di lavoro Shkelze Karasan - perché era andato a trovare lo zio a Silandro. L’ho chiamato al telefono e gli ho detto di venire al più presto in ditta: è un ragazzo e mi spiaceva perdesse una giornata di lavoro. È stato lo zio poi ad avvertirmi di cosa era successo e subito mi sono fiondato sul luogo dell’incidente». Zio Medi, infatti, era all’altro capo del telefono nella chiamata disperata di Adriatik: «Ho risposto - racconta - e sentivo solo un grande frastuono con urla in italiano e in tedesco. Ho chiamato in ditta per sapere se per caso mio nipote avesse preso la macchina: pensavo a un incidente automobilistico, poi ho capito cosa stava succedendo e sono andato subito verso il treno». Proprio lì Medi ha trovato uno scenario agghiacciante: «Tutti scavavano nel fango perché la frana aveva spostato i primi vagoni e aveva sommerso il resto del convoglio. La paura era tanta, anche perché sapevo che mio nipote era sepolto dalla terra. I feriti venivano estratti in continuazione, poi finalmente ho visto Adriatik, immediatamente trasportato a Bolzano con l’elicottero». All’ospedale bolzanino sono giunti quattro feriti, tutti ricoverati nel reparto di astanteria. Oltre ad Adriatik Kaja una donna e altri due uomini, uno dei quali sottoposto ad intervento chirurgico al femore. Nessuno è in condizioni gravi. © RIPRODUZIONE RISERVATA - Alan Conti
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