La copertina del volume |
"Si tratta di volumi che hanno potuto realizzarsi grazie a un progetto promosso dall'Universit࣠premette Baur. Larcher, dal canto suo, ha spiegato il metodo seguito: "Abbiamo semplicemente voluto portare avanti uno studio qualitativo attorno al plurilinguismo parlando direttamente con gli studenti altoatesini. Da Bolzano a Merano passando per Malles: il primo dato è che le peculiarità del territorio cambiano da zona a zona senza una particolare omogeneità territoriale". L'analisi, chiaramente, ha mosso i primi passi all'interno delle scuole: "Abbiamo selezionato studenti eccellenti e altri con diffcoltà e sottoposto loro alcune domande per realizzare un profilo linguistico. Nel libro, però, le varie esperienze di monolinguismo o bilinguismo vengono proposte come un racconto libero". Il piano narrativo, quindi, rimane centrale. "Le loro esperienze - riprende Baur - vengono riportate seguendo uno stile di scrittura colloquiale e tipico del
parlato. Una vera chiacchierata". Si scopre, così, che una ragazza di 15 anni di Silandro ammette candidamente come "la scuola non mi abbia particolarmente aiutato per l'italiano. La vera molla motivazionale è legata alla frequentazione di amici esterni". Non se la passano meglio le superiori Italiane con un'alunna che non esita a elencarne le difficoltà: "Abbiamo cambiato insegnante praticamente ogni anno, in prima tagliavamo le figurine...quindi ho imparato sicuramente di più in sei mesi di viaggio studio in Germania. Eppure siamo consci dell'importanza del tedesco". Tra le parole dei ragazzi spuntano anche limiti legati all'insegnamento o alla struttura del sistema scolastico: "Credo sia necessario espatriare per imparare davvero la lingua perché con i metodi adottati fino adesso non si ottengono risultati". Lo stesso patentino viene guardato con un certo sospetto: "È un documento necessario, altrimenti è impossibile trovare un lavoro".
Uguale destino per il dialetto tedesco definito "incomprensibile e lontano dalla lingua che viene insegnata a scuola. Il divario è troppo". Ci sono pure giovani tedeschi che ammettono senza battere ciglio di "parlare Hochdeutsch solo a scuola durante lezione per un tempo effettivo di massimo 10 minuti al giorno". La flessione locale, però, contribuisce a scavare un solco tra centro urbano e rurale pure all'interno del mondo tedesco. "Una mia compagna meranese - spiega uno studente della Val d'Ultimo - davvero non mi comprende quando parlo dialetto".
Il bandolo della matassa, insomma, viene sempre individuato nel contatto con l'altra lingua, la possibilità di passare dalla teoria alla pratica e la voglia di parlare tedesco o italiano anche fuori dall'aula di scuola. I giovani chiedono, in sostanza, un forte contesto d'uso. "Ho avuto la fortuna di giocare in cortile con un tedeso" racconta uno, "A scuola si impara quello che dettano i libri, poi il lavoro e la vita ti permettono il vero esercizio" le fa eco un coetaneo.
Uno dei paradossi messi a nudo dal duo Baur-Larcher è la maggior dimestichezza con l'inglese. "Il tedesco l'ho usato quelle due volte che sono andato a fare shopping in Germania - ammette un ragazzo brissinese - mentre l'inglese lo parlo con amici canadesi o attraverso la televisione". Chiaramente la lingua dominante della cultura giovanile parte con un netto vantaggio, ma la discrepanza dello scambio umano ha stupito gli stessi autori. "I ragazzi italiani - specifica Larcher - sono più ossessionati dall'aspetto didattico e nozionistico della scuola, mentre i tedeschi avvertono di più la necessità di pratica quotidiana. Il contatto è auspicato da entrambi, anche se gli italiani mostrano una certa preferenza per il rapporto amoroso". La psicologia, quindi, gioca un ruolo particolarmente importante: "L'atteggiamento dei ragazzi che ammettono il mancato bilinguismo è sempre caratterizzato da un certo senso di colpa che, a mio parere, nasconde la
paura di essere costantemente attesi a un esame". Il dolce, però, arriva nella coda: "Praticamente nessuno - chiude Larcher - ha sostenuto l'inutilità del tedesco in territorio italiani oppure il fastidio inverso di una lingua imposta dagli eventi storici. Tutti vedono nel bilinguismo una possibilità in più: è una buona base". E non è affatto poco.
Alan Conti
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