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martedì 27 dicembre 2011

Pantozzi racconta la fine dei manicomi


Giuseppe Pantozzi

BOLZANO. E’ il 13 maggio 1978 quando il Parlamento italiano approva la legge 180, nota come Basaglia, chiude i manicomi e rivoluziona la psichiatria e il modo di approcciarsi ai malati di mente. Uno stravolgimento certamente politico e filosofico, ma con conseguenze estremamente concrete in un Alto Adige che, con una sola piccola struttura a Vadena da 15 letti e 3 medici, nel settore era ancora totalmente dipendente dal Trentino. La fase di transizione non era nemmeno all’alba, ma lo Stato ne pretendeva il compimento dopo pochi giorni. Decisivo fu l’apporto fornito dai professionisti di Padova e il lavoro di Giuseppe Pantozzi, allora direttore della ripartizione provinciale sanitaria e sociale che oggi, grazie a 90 anni portati con una lucidità invidiabile, ha voluto scrivere le sue verità in un libro intitolato “Senza manicomio”.
Pantozzi, a distanza di anni ormai si può svelare: quanto eravamo impreparati a questa svolta in Alto Adige?
 "Bisogna distinguere i termini di riferimento. Da un punto di vista concettuale la nostra Provincia era già avviata verso una riforma sanitaria costituita sugli stessi principi della Basaglia, ma sotto il profilo tecnico-strutturale non eravamo preparati a un cambio così repentino dato che tutti i nostri malati venivano curati a Pergine. La nostra sola comunità era una piccola colonia da 15 posti e 3 medici in località Stadio a Vadena: insufficiente per l’intero bacino altoatesino".
L’approvazione della legge 180, quindi, fu una sorta di contropiede statale.
 "A livello di tempistica sì. La norma, infatti, poneva dei termini perentori piuttosto stretti ed entro due mesi pretendeva la chiusura dei manicomi. Noi stavamo ragionando su modifiche radicali fin dal ’76, ma ci potevamo concentrare sull’aspetto normativo e strutturale forti dell’ottimo servizio di cura che ci veniva fornito da Pergine. Trento, però, decise di rispettare rigidamente le disposizioni nazionali e nel giro di 60 giorni non  accettò più i nostri pazienti lasciandoci l’incombenza delle cure all’interno di un sistema ex novo che andava perfezionato. Eravamo in affanno, ma non significa fossimo contrari ai principi della legge come affermato da qualcuno".
Davvero la novità fu così inaspettata o ci furono segnali che non foste in grado di cogliere?
"C’era stata una raccolta firme, ma nemmeno le riviste specialistiche si aspettavano un così repentino travaso dalla discussione dottrinale alla legge. Un’accelerata che poteva essere adeguata ai grandi centri, ma non da noi. Non a caso cercammo sostegno a un centro d’eccellenza come Padova che ci aiutò tantissimo".
Dall’Austria, invece, che input arrivarono?
"Ci furono dei consigli e operammo una sintesi. Il movimento, però, aveva aspetti e specificità di carattere nazionale, quindi i nostri interlocutori preferiti furono i grandi centri sviluppati del Belpaese. Poi, si sa, quando si parte da zero chiunque passi è un maestro".
Il centro della questione, però, fu certamente la chiusura definitiva dei manicomi. Qualcuno vi accusò di essere troppo poco decisi nella condanna di queste strutture.
"Dico solo che già da ragazzo, visitando uno di questi centri, avevo la forte consapevolezza di trovarmi di fronte a un qualcosa di esageratamente incostituzionale. Eravamo perfettamente consapevoli che tutti i pensatori più evoluti della psichiatria avevano ormai condannato il sistema manicomiale e ci aspettavamo un cambio di approccio. Il nostro percorso di riforma, lo ripeto, cominciò molto prima dell’approvazione della legge 180: avevamo anticipato i suoi principi, ma i tempi erano troppo stretti per lasciarsi andare all’enfasi. Oggi, però, noto con curiosità che attorno ai manicomi si è creato un interesse, alimentato anche da alcuni libri, canzoni e film, che assolutamente era sconosciuto al tempo in cui questi erano  ancora operanti".
Pantozzi, in conclusione, cosa l’ha spinta a pubblicare quest’opera?
"Troppe volte ho letto e sentito di un Alto Adige contrario alla legge Basaglia e ho sentito la necessità di smentire in modo chiaro con dati, racconti e numeri. Non eravamo affatto dei burocrati tradizionalisti come ci hanno dipinti e queste pagine ne sono la mia personale dimostrazione".  
 
LA SCHEDA
 Giuseppe Pantozzi si è laureato in Lettere e Filosofia a Padova nel 1950 e in Giurisprudenza a Bologna nel 1960. E’ stato docente di diritto sanitario e assistenziale alla scuola superiore di servizio sociale di Trento e poi è approdato al comando della ripartizione sanitaria e sociale della provincia autonoma di Bolzano che ha retto dal 1964 al 1979. Il libro “Senza Manicomio, l’impatto della Legge 180 nella provincia di Bolzano” è edito da “Erickson Live”, ha 174 pagine e costa 16 euro. All’indirizzo web http://www.ericksonlive.it/catalogo/lavoro-sociale/senza-manicomio/ è possibile scaricare il testo in forma digitale. 
Alan Conti

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