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giovedì 11 marzo 2010
Nella scuola moderna il convitto è diventato un college all'italiana
Alto Adige — 10 marzo 2010 pagina 30 sezione: AGENDA
BOLZANO. «Fallo ancora una volta e ti spedisco dritto in collegio». Ecco una classica minaccia che ha fatto la storia delle famiglie italiane, declinata con una variante, convitto al posto di collegio, ma la sostanza non cambiava. Oggi si tratta di scenari passati, un poco perché, si sa, i figli si tengono in casa anche quando la tenera età è scivolata via da un po’ e molto perché i collegi, o convitti che dir si voglia, non sono più quelli di una volta e assomigliano sempre più ai loro cugini statunitensi che finiscono per “e”. Meno collegi e più college, dunque, ed è cosi anche per il Convitto “Damiano Chiesa” in via Fago, che ieri ci ha aperto le porte per scoprire come si vive dentro questo piccolo mondo. Premessa fondamentale: qui i ragazzi che devono cominciare a essere autonomi sono davvero molto giovani, spesso spinti fuori casa da passioni sportive e rappresentano l’esatto contrario dei famosi “bamboccioni”. L’interno del Convitto rivela tutta la sua storia, con un’architettura ben squadrata e le foto d’epoca ai muri. La ventata di freschezza arriva dalle persone, a partire dalla direttrice Annalisa Gallegati: «Oggi si stipula un autentico contratto formativo con genitori e ragazzi, con specifici compiti finalizzati allo sviluppo delle capacità dell’alunno, al rispetto delle regole, della puntualità, delle relazioni interpersonali e legato al raggiungimento di un chiaro percorso educativo». Trait d’union sono, logicamente, gli otto educatori della struttura. In Convitto, però, ci si arriva giovanissimi «e i primi giorni - ci racconta Andrea Baldo, giocatore di hockey nell’Egna - non sono affatto semplici se non conosci nessuno». «Più facile - interviene Tomas Mair, calciatore della Virtus Don Bosco - se si ha l’opportunità di conoscere già altri ragazzi, come è capitato a me nel nostro numeroso gruppo della Val di Fiemme». La giornata è scandita da orari precisi: mattina a scuola, pomeriggio a metà tra studio e svago e sera libera fino alle 22.30-23. «Viviamo - racconta Alessandro Zorzi - in stanze da 2 a 4 posti, dobbiamo imparare presto a convivere dicendoci tutto senza lasciar covare le tensioni. E’ importante imparare in fretta i diversi caratteri». C’è una caratteristica che accomuna questi ragazzi: sembrano molto più grandi della loro età. «E’ una necessità - chiarisce Marco Vinante, giovane campione di windsurf freestyle - perché all’inizio si fa fatica a restare dentro le regole, ma con l’aiuto degli educatori s’impara a trovare delle mediazioni». Già, perché le regole sono fisse, ma l’elasticità non può mancare. «Non possiamo - interviene l’educatrice Antonietta Scarano - far finta che tutti siano uguali. Ovvio che ogni ragazzo ha le sue necessità e dobbiamo essere bravi a capire dove si può concedere qualcosa in più e dove è meglio essere intransigenti. Che fatica, però, convincerli ad alzarsi la mattina...». Chiaramente il rapporto che si instaura tra educatore e ragazzo è qualcosa che va oltre all’aspetto scolastico. «Noi siamo un supporto per lo studio - ammettono Sabrina Cannas e Katia Cimadon - ma è innegabile che ci sia anche un piano affettivo. Non siamo il professore, ma nemmeno l’amico coetaneo, dobbiamo trovare una via di mezzo. Che triste, però, quando alcuni di loro ci salutano». Thomas Deflorian sarà tra questi a breve: «Voglio diplomarmi e andare in America. Gli educatori sono figure importanti per noi perchè se da una parte non sostituiscono la famiglia, dall’altra sono gli adulti che ci sono più vicini quando siamo qui». Il Convitto conta 56 ospiti, praticamente tutti di lingua italiana e, ovviamente, maschi. E le fanciulle? «Dobbiamo frequentarle fuori - ci raccontano - mentre qui dentro possono entrare solo le ragazze della Marcelline in occasione delle feste musicali. Farle entrare di nascosto? Vietatissimo», ma i sorrisi lasciano intendere qualche piccolo strappo non autorizzato. Il Convitto, oltre alle stanze, è completo di aule studio con strumenti d’avanguardia, palestre, spazi per lo svago. «Sono importanti - conclude la direttrice - il laboratorio di grafica, quello musicale, così come gli svariati progetti che vengono portati avanti con i ragazzi». A farsi un giro per il Convitto, comunque, un risultato è assicurato: quella minaccia di qualche anno fa ha smesso proprio di far paura. © RIPRODUZIONE RISERVATA - Alan Conti
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sono stato al convitto dal 1968 al 1975, e leggere queste cose della mia scuola mi ha fatto davvero molto piacere! mi piacerebbe anche ritrovare i compagni di un tempo.........Vincenzo T
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