Oltre alla patologia, però, si finisce
immediatamente dentro l’intricata questione dell’educazione: gli adolescenti
immersi nel cellulare per dirne una. “Il problema non è tanto il mezzo perché
anche in passato l’età adolescenziale aveva questi riflessi, ma quanto si è
stati capaci di attivare un dialogo e meccanismi di fiducia nella crescita. Un
papà che quando il bimbo aveva quattro anni passava due ore al giorno davanti
al computer mentre lui giocava non può stupirsi di certi meccanismi quando il
ragazzo compie 16 anni. Conta la costanza”. Si innesta, oltretutto, un gap
generazionale. “Inevitabilmente c’è un modo diverso di vivere queste tecnologie
tra chi le ha conosciute crescendo e i nativi digitali. Vanno capite queste
dinamiche”. Si comunica di più o di meno oggi? “Si comunica diverso. Nei
messaggi abbiamo una semantica condensata, un impoverimento emotivo e uno stile
più asciutto. Bisogna stare attenti che questo non pregiudichi la capacità di
rapportarsi con le persone in carne e ossa”. Molti genitori, inoltre, si
domandano quanto e se sia utile scendere sullo stesso piano comunicativo dei
figli iscrivendosi, per esempio, a Facebook e diventandone amici. E’ una strada
giusta? “Difficile dare una risposta univoca perché dipende da intenzioni e
situazioni. Se non si riesce ad avere un dialogo e lo si cerca solo tramite
Facebook credo sia deleterio, ma se un ragazzo, per esempio, studia all’estero
può diventare una splendida risorsa. Non va nemmeno bene pensare di avere un
rapporto diretto talmente bello con il proprio figlio da decidere di ignorare
il suo mondo sul web. E’ importante, infine, capire quanto, come, se e perché i
ragazzi ci lasciano entrare in questa loro rete e quali possano essere i motivi
di una nostra esclusione”. Fondamentale, dunque, non farsi cogliere impreparati
e per questo Siipac ha organizzato altre due serate sul tema, il 20 e il 27
maggio al Teatro Cristallo con ingresso gratuito. Per usare bene uno strumento
ci vuole anche tanta applicazione.
Alan Conti
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