Bolzanini depositari di un
italiano puro. Un luogo comune gettonatissimo, corroborato dalla convinzione
che l’eterogeneità delle origini regionali non potesse che sbocciare nella
lingua standard. “Con tutti quei dialetti arrivati insieme non c‘è altro modo
di capirsi”. Una convinzione radicata fino a quando, nel 2010, in città arriva la
giovane studentessa di Biella Chiara Meluzzi che decide di guardare questo
slogan con gli occhiali della scienza per vedere se davvero siamo così
integrali. Comincia infilandosi nel gruppo Facebook “Slang di Bolzano”, capace
di creare un vocabolario cittadino de motu proprio, chiedendo chi avesse voglia
di incontrarla per darle una mano. Lo studio è linguistico quindi i volontari
vengono portati in un’aula per raccontare la propria storia e leggere una serie
di decine di parole al microfono per capire costanti e variabili. Seduta dopo
seduta Meluzzi si accorge che in questa storia, come Zorro, il segreto è nel
segno della “zeta”. Così si concentra sull’articolazione di questo suono e
scopre che, in realtà, siamo molto meno uniformi di quello che crediamo e
stiamo sviluppando un percorso tutto nostro. Ne nasce una tesi di dottorato in
linguistica all’università di Pavia con borsa di studio finanziata dalla Lub, intitolata
“Le affricate dentali nell’italiano di Bolzano. Un approccio sociofonetico”,
presentata ieri nell’ateneo bolzanino assieme al docente del centro linguistico
Alessandro Vietti. Tra i lettori anche Silvia Dal Negro, Gabriele Iannaccaro,
Ada Valentini e Anna Giacalone Ramat.
“La prima parola che ha fatto scattare la mia
curiosità è stata proprio Bolzano. Il 43% dei cittadini la articola con il
suono dz e il 33% con quello ts. Siamo di fronte a una varietà
curiosa per la sua diffusione”. Non siamo, insomma, così standardizzati. “No,
spesso ho sentito dire che la parlata locale rappresenta una sorta di
miscellanea trentino-veneta, ma questa affermazione non è mai stata surrogata
da vere ricerche scientifiche. Secondo me non è esattamente così e, anzi, più
che a un italiano standard i bolzanini si avvicinano a quello che tecnicamente
viene definito italiano settentrionale”. Tanti saluti, dunque, al mito della
lingua intonsa. “Non solo – sorride Meluzzi –ma l’analisi dell’evoluzione
lascia intendere che si stia andando verso una vera e propria affermazione di
un italiano specifico della zona che nella linguistica chiamiamo regionale”.
All’orizzonte, dunque, un’inflessione bolzanina? “Più o meno. Sono i giovani a
darci questa indicazione. Mi sono accorta, infatti, che tendono ad assimilare
le articolazioni più su base generazionale che non famigliare. In parole povere
parlano più come gli amici e meno come i genitori: in termini di sviluppo,
dunque, si va verso una standard nuovo e locale preferito a quello tradizionale
delle origini”. Quanto ci influenza, in questo, dividere il pianerottolo con il
tedesco? “Difficile dirlo. Sicuramente ci sono delle sorprendenti analogie tra
suoni locali che troviamo in entrambe le lingue pur essendo diverse. Non si
può, però, parlare ancora di influenza scientifica: ci vorrebbero più analisi”.
Il terreno, insomma, è scientificamente fertile. “Assolutamente, direi davvero
interessante. D’altronde mi sono accorta che non esistevano studi prettamente
linguistici sulla parlata della città. Lo “Slang di Bolzano” è stato un lavoro
comunitario utile e affascinante, ma guardava giustamente all’aspetto lessicale
più che fonetico. Un volumetto che,
oltre a essere divertente, è stato un’ottima base di partenza scientifica e
pratica”. Basta una parola, a volte, per studiare una civiltà.
Alan Conti
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