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giovedì 15 maggio 2014

Nasce dalla zeta l'italiano di Bolzano


Bolzanini depositari di un italiano puro. Un luogo comune gettonatissimo, corroborato dalla convinzione che l’eterogeneità delle origini regionali non potesse che sbocciare nella lingua standard. “Con tutti quei dialetti arrivati insieme non c‘è altro modo di capirsi”. Una convinzione radicata fino a quando, nel 2010, in città arriva la giovane studentessa di Biella Chiara Meluzzi che decide di guardare questo slogan con gli occhiali della scienza per vedere se davvero siamo così integrali. Comincia infilandosi nel gruppo Facebook “Slang di Bolzano”, capace di creare un vocabolario cittadino de motu proprio, chiedendo chi avesse voglia di incontrarla per darle una mano. Lo studio è linguistico quindi i volontari vengono portati in un’aula per raccontare la propria storia e leggere una serie di decine di parole al microfono per capire costanti e variabili. Seduta dopo seduta Meluzzi si accorge che in questa storia, come Zorro, il segreto è nel segno della “zeta”. Così si concentra sull’articolazione di questo suono e scopre che, in realtà, siamo molto meno uniformi di quello che crediamo e stiamo sviluppando un percorso tutto nostro. Ne nasce una tesi di dottorato in linguistica all’università di Pavia con borsa di studio finanziata dalla Lub, intitolata “Le affricate dentali nell’italiano di Bolzano. Un approccio sociofonetico”, presentata ieri nell’ateneo bolzanino assieme al docente del centro linguistico Alessandro Vietti. Tra i lettori anche Silvia Dal Negro, Gabriele Iannaccaro, Ada Valentini e Anna Giacalone Ramat.
 “La prima parola che ha fatto scattare la mia curiosità è stata proprio Bolzano. Il 43% dei cittadini la articola con il suono dz e il 33% con quello ts. Siamo di fronte a una varietà curiosa per la sua diffusione”. Non siamo, insomma, così standardizzati. “No, spesso ho sentito dire che la parlata locale rappresenta una sorta di miscellanea trentino-veneta, ma questa affermazione non è mai stata surrogata da vere ricerche scientifiche. Secondo me non è esattamente così e, anzi, più che a un italiano standard i bolzanini si avvicinano a quello che tecnicamente viene definito italiano settentrionale”. Tanti saluti, dunque, al mito della lingua intonsa. “Non solo – sorride Meluzzi –ma l’analisi dell’evoluzione lascia intendere che si stia andando verso una vera e propria affermazione di un italiano specifico della zona che nella linguistica chiamiamo regionale”. All’orizzonte, dunque, un’inflessione bolzanina? “Più o meno. Sono i giovani a darci questa indicazione. Mi sono accorta, infatti, che tendono ad assimilare le articolazioni più su base generazionale che non famigliare. In parole povere parlano più come gli amici e meno come i genitori: in termini di sviluppo, dunque, si va verso una standard nuovo e locale preferito a quello tradizionale delle origini”. Quanto ci influenza, in questo, dividere il pianerottolo con il tedesco? “Difficile dirlo. Sicuramente ci sono delle sorprendenti analogie tra suoni locali che troviamo in entrambe le lingue pur essendo diverse. Non si può, però, parlare ancora di influenza scientifica: ci vorrebbero più analisi”. Il terreno, insomma, è scientificamente fertile. “Assolutamente, direi davvero interessante. D’altronde mi sono accorta che non esistevano studi prettamente linguistici sulla parlata della città. Lo “Slang di Bolzano” è stato un lavoro comunitario utile e affascinante, ma guardava giustamente all’aspetto lessicale più che fonetico. Un  volumetto che, oltre a essere divertente, è stato un’ottima base di partenza scientifica e pratica”. Basta una parola, a volte, per studiare una civiltà.
Alan Conti 

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