Dopo, purtroppo, è facile dire che il pericolo c’era, che il caldo era stato troppo, che il ghiaccio che aveva tradito una manciata di ore prima poteva tranquillamente rifarlo. Daniele Andorno, Michele Calestani e Matteo Miari sono stati il primo tragico tris inghiottito dal Gran Zebrù: non è bastato partire alle 4 di mattina per confidare in una neve indurita dal freddo. Alle 8.30, nei pressi della baracca dei residuati di guerra la scivolata del capocordata che ha portato giù tutti e fatto saltare i chiodi da ghiaccio come pistoni sotto pressione. Più tardi, non si sa di quanto, sul posto arrivano Wolfgang Genta, Jan e Matthias Holzmann, rispettivamente di Magrè, Vipiteno e Racines. Probabilmente non sanno quanto accaduto poco prima, ma rivivono lo stesso incidente. La scivolata, il lungo rotolamento nel primo pendio che fa da sinistro trampolino per il burrone e i suoi 500 metri. In serata il racconto del testimone oculare Giuseppe Bossolati: “Li ho visti scivolare, hanno provato a piantare la picozza, ma non c’è stato verso di fermarsi. Poi sono spariti dietro il costone”. I tre potrebbero essere partiti dal Rifugio Casati: l’allarme, infatti, è partito dal gestore della struttura che non ha visto rientrare quattro alpinisti che avevano lasciato detto di voler affrontare il Gran Zebrù. In realtà la segnalazione ha portato il Soccorso Alpino a trovare le tre salme quassi per caso perché i quattro segnalati si sono rivelati altri appassionati. Jan Holzmann aveva 30 anni, da dieci membro del Soccorso Alpino grazie a una passione trasmessa dal padre Hans Paul. Lascia anche un figlio. Il fratello Matthias, quattro anni di meno, aveva trovato lavoro alla Leitner. Beffa del destino a d accumunarli due magliette, una del Soccorso Alpino e una della Leitner, che hanno permesso una prima identificazione. Wolfgang Genta, invece, da anni viveva a Innsbruck dove lavorava per un’azienda informatica. Difficile, comunque, capire esattamente cosa sia successo ma Reinhold Messner prova a non rendere questa giornata invana. “La parete nord dell’Ortles registra frequenti distaccamenti di siracchi grandi come case. Quotidianamente viene scalata da decine di alpinisti, ma è un’avventura folle e pericolosissima. Bisognerebbe vietarne la salita”. Bisgnerà rifletterci perché dopo, purtroppo, è sempre troppo facile.
Nessun commento:
Posta un commento