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giovedì 13 maggio 2010

Prefazione Latte di Ragno di Jessica Ravera


Oggi ho un appuntamento importante. Seduto su questa sedia scricchiolante, l’occhio buttato, come una coperta vecchia, sul taccuino. Eh sì, compagno di vita. A volte sembra una lista della spesa: sbrodolata di domande, pensate, in attesa di quella che punga, esattamente come i sacchetti del supermercato che sembrano attendere proprio l’angolo che li lacera. A fare questo mestiere bisogna essere come aghi. Oggi, però, ho un appuntamento importante e non voglio fare del male. Men che meno a lei.
Rigiro la penna tra le dita, mi è sempre piaciuto. Così come non mi è mai piaciuto, nelle autostrade della scrittura, scegliere quella banale. Una prefazione è affare delicato, un poco come prendere in braccio un neonato di un’altra mamma: puoi essere leggero finchè vuoi, ma sarai sempre un intruso e il piccolo lo sa. Anche il libro lo sa. Per questo oggi, in questa piccola stanza di legno, aspetto lei. Chissà cosa direbbe di questo appuntamento Jessica Ravera.
Nella mia vita - penso – sono stato abituato a raccontare quanto già avvenuto, le parole già dette, i fatti già coperti dal telo del tempo, seppur breve. Oggi anticipo. Mi scappa una risata. Mi devo sistemare: se lei arriva devo perlomeno essere presentabile, suvvia, è un’intervista importante. Raramente una ragazza mi ha agitato tanto al primo incontro, forse perché ci si conosceva in due. Oggi, invece, io so già tutto di lei. Quindi non sarà un’intervista, no, meglio, una chiacchierata.
“Tu sei ruvida”: sì, penso che inizierò così questa bizzarra conversazione. Asia, infatti, ha uno strano riflesso incondizionato: tende a trattare gli uomini come fossero tutti innamorati di lei. Rovescio subito le carte in tavola. Scanso gli equivoci, non credo le piacciano.
“Nemmeno ti conosco” risponderà, forse, come non vorrebbe quel burattinaio storto della sua amica Vale, ma come vorrebbe chi l’ha forgiata a colpi di penna.
“Sbagli…ti sei pettinata bene: di colpi di spazzola per i tuoi capelli oggi ce ne avrai impiegati almeno quindici”. Deciso: la spiazzo con una delle citazioni più scintillanti di questo libro. La letteratura che richiama la letteratura con una freccia di curaro, un poco come i rapper in polemica tra loro. In Asia la freccia è la lingua, il curaro la testa: la sua storia affascina per questo. “E non ti pitturare le unghie dei piedi di rosso, qui non ti si vede in uno specchio, ma tra le righe di una pagina”.
“Non mi piace la retorica e nemmeno chi mi dice cosa fare o non fare” dirà la freccia della lingua mentre sposterà la sedia, azionando il curaro della mente, ma dimenticando le amiche burattinaie.
“Difficile capire cosa ti piace…o chi…” insinuerò e il primo tempo sarà mio.
Non è cattiveria, mi servirà disorientarla perché di Asia non ce n’è una sola. I fili della sua ragnatela sono di foggia diversa: l’innocenza della bambina, la strafottenza adolescenziale, la profondità e l’indifferenza, la donna e la stupida ragazzina, l’amica l’amante e la compagna, Alessandro e Roberto. Ricordo Luca, il ragazzo che nel primo mondo di Ravera, dove “I Papaveri crescono anche sull’asfalto”, disgiungeva e buttava tutto il superfluo per immolare l’esistenza ad un’unica Lei. Ecco, Asia è esattamente il contrario e il fatto di essere donna cambia poco. L’essenziale è che lei non disgiunge, ma aggiunge. Nel colloquio della sua personalità non ci sono “o”, ma solo “e”. Innocente e compromessa, innamorata e sfruttatrice, depressa e slanciata, l’amore delicato dei sogni e l’amore inglorioso di un sedile dell’auto. Asia: persino il nome è un accumulo di molteplicità. Bisogna stringere i fili e ricavarne il latte: la verità. Non è facile e fa male perché il latte di ragno è un’immagine che già di per sé è un pugno nello stomaco. Berlo, pagina per pagina, forse non sarà dolce, ma un’autentica sonda della personalità. Non è facile che accada coi libri.
“Cosa vuoi da me? Non so nemmeno perché sono venuta qui dentro a parlare con uno che potrebbe essere uno stronzo. Vabbè, la mia storia ormai è così, fatta di luoghi in cui non volevo veramente essere e che invece…”. La fermerò con un cenno: il suo mondo era di stronzi o di buoni. Culi di capanna o fighi. Qualche amica o molte sfigate. Tanto molteplice lei quanto manicheo il mondo fuori.
“Non raccontare troppo…finirei nel recinto degli stronzi in pochissimi secondi. Chi punta gli occhi su di noi non sa niente, dovresti essere abituata più di me”. A parlare coi personaggi dei libri finisce sempre così: loro se ne dimenticano e tu sei il più teso. “Dimmi una cosa…davvero pensavi di essere una moderna Lolita?” la guarderò dritto negli occhi verdi, tra il caramello del suo viso. Anche solo per vedere l’effetto che fa.
“Forse..”.
“Per me è un sì”
“Va bene, sì” troncherà scocciata per la non praticità della domanda.
“Beh..se vuoi saperlo, a Lolita non ti sei nemmeno avvicinata”.
“Ma vaffanculo”. Non è difficile immaginare la sua reazione, come non lo è il fatto che rimarrà ad ascoltare il mio perché. Repulsione e curiosità: l’ho detto, Asia non disgiunge.
“Perché forse non avevi capito che viaggiare sui binari classici non stupisce e rende tutto meno efficace. Ecco perché ti ho chiamato: per abbracciare il bizzarro. Che sia seduzione o prefazione cambiano solo le prime lettere”.
“Perché dovrei accettare lezioni da uno scribacchino? Non è molto importante essere una Lolita, in fondo…”.
“Però lo è sentirsi come un quadro di Escher: profondo e complicato nella sua rappresentazione ideale, ma piatto e ordinario nel suo essere solo una tela bidimensionale. Pensavi di essere una prospettiva e invece ne eri solo l’immagine posticcia. Un’illusione ottica. Questo è importante, non credi?”
“Ci devo pensare” forse sorriderà “ma più che un discorso importante sembra una lezione di educazione artistica”.
Mi scapperà da ridere perché se c’è una materia su cui mi sono sempre incagliato è proprio quella. Avevo più dimestichezza con la penna che non con la matita, come Asia ero più bravo a figurare che non con le figure. Però la metafora artistica potrebbe essere stuzzicante. "Mettiamola così: davanti a un quadro di Monet tu fissi solo una ninfea, ma così tradisci il tutto, non consideri la luce, l’effetto, l’impressione. Il particolare non sempre si allinea all’universale, pur facendone parte. Non trovi? Sei stata una cacciatrice di attimi immediati e non di impressioni prolungate".
“Sei uomo, si vede. Alla fine vuoi ridurre tutto al rapporto con gli uomini…”. Lo so, prima o poi mi prenderà in contropiede e lo farà come vuole la sua natura: cogliendo la singola ninfea del discorso. Io gli uomini non li avrò nemmeno citati, ma non è una sprovveduta. Ha ragione. Come l’ha avuta tante volte nella sua storia.
“Può essere, in effetti ci pensavo. Pure tu lo fai. E uomo non lo sei di certo”. Se una cosa nell’astratto di questa immaginazione mi era particolarmente vivida, infatti, era proprio la sua tracotante bellezza femminile. Amabile? Dipende, ma bella sicuramente.
“Mi ci hanno costretto gli eventi”.
“Ti sei fatta costringere dagli eventi…”
“Cambia qualcosa?”
“Forse”. Non ne ero sicuro. Per assurdo non è affatto detto che un timone lasciato autonomo non trovi una rotta migliore di quella scelta dal Capitano della ciurma. Di solito, però, funziona meglio con una barca vuota. “Ti sei mai sentita una barca vuota?”
“Troppo vuota e troppo piena. Dipende dai momenti. Raramente, però, l’ho guidata io”.
“Il timone l’hai perso lontano da Milano? In acque che non conoscevi?”. In questo senso Asia è proprio figlia di Ravera. Quella capacità di sbattere in faccia la realtà metropolitana attraverso il filtro e gli occhi di una realtà più raccolta credo derivi dalla sua storia personale, dal suo passaggio dai riccioli asburgici di Bolzano ai frenetici palazzi milanesi. Un bravo demiurgo, però, non si traspone nella sua creatura e infatti Asia si sente come un pesciolino catturato e poi restituito all’Oceano: l’ambiente fa parte della sua storia, ma la sua storia non lo riconosce più.
“La curiosità non dovrebbe condurre a domande senza risposta..”
“Dici?”
“Dico. Me l’hai ricordato tu: non dobbiamo parlarne troppo quindi a quella domanda ti rispondo a pagina 50 se vuoi…”
Giusto. Lentamente, però, la conversazione scioglierà la patina di diffidenza e potremo entrare nel vivo. Sarà il momento giusto per affondare il colpo definitivo, il quesito che mi circola nella mente e che, ne sono sicuro, rimbalzerà dentro anche a chi, girando questa pagina, avrà la fortuna di incastrarsi nei fili della ragnatela che nasconde ad Asia la sua stessa profondità. Il classico ago di cui si parlava. “Con quello che è successo, oggi che donna sei?”. Avrò quasi paura di questa domanda.
“Eh..” sorriderà sorpresa “un’idea ce l’ho. Posso dirti che….”
D’un tratto un giro d’aria fa vibrare la finestra di questa piccola stanza e sfibra il castello di carta della mia immaginazione. Stavo ancora rigirando la penna tra le mani. Il foglio bianco con le righe che ghignano cattive. Sicuro che oggi ho un appuntamento importante?
Mi alzo, devo chiudere quella finestra: a volte la praticità si infila in modo invadente nella fantasia. Credo lo pensi anche Asia. Che nel frattempo con la sua camminata elegante sta raggiungendo il mio portone. Cazzo. Corro. Raccatto la penna e la infilo in tasca. Chiudo il taccuino. Scatto in piedi. Giro la chiave. Poi la maniglia. L’ascensore sale e io giù per le scale. Io sono fuori, lei alla porta. Corro. Corro ancora, lontano.
E’ il fiato che mi ferma, sufficientemente lontano. Mi scappa da ridere. Non potevo pensare di rompere così gli schemi, suvvia: l’idea che non siano sempre i personaggi a cercare l’autore non poteva reggere. Per di più nemmeno il loro vero autore: Ravera mi ammazzerebbe. Non accetterò questa prefazione perché non c’è modo di parlare di questo libro senza perdersi dentro l’universo di chi lo ha reso possibile. A volte i personaggi nascono dai libri, a volte i libri nascono dai personaggi. La differenza non è sottile. Mi basterà il privilegio di aver bevuto questo latte di ragno in anteprima, mettendo il viso alle sfuriate del vento della realtà. Perché la forza di Asia, alla fine, è questa: prendere in faccia le sberle della vita e aver scelto per sé una storia tremendamente reale. Pensare che si tratti solo di immaginazione a volte inganna. Realtà o fantasia hanno un confine sottile, direi spesso come una pagina. Attraversarlo da una parte e dall’altra e confondersi è l’unico modo per fare una prefazione decente. Sfogliare “Latte di ragno” non sarà un arroccamento nell’ideale letterario, ma un buttare lo sguardo nel proprio essere e in quello che ci circonda. Asia è speciale perché come tutti. Asia è speciale perché congiunge e non disgiunge: anche i confini.
Sì, oggi ho avuto un appuntamento importante.
"Latte di Ragno", Zerounoundici Editore, 86 pagine, 11 euro

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