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venerdì 4 giugno 2010
Il mito di Sciangai rivive su Facebook
Alto Adige — 03 giugno 2010 pagina 16 sezione: CRONACA
BOLZANO. Basta una tastiera per fare un tuffo nel passato, nel mezzo di uno dei ricordi più belli della città. Per chi pensa che i Social Network siano appannaggio esclusivo dei giovani, ecco spuntare tra le pagine di “Facebook” un gruppo che celebra la vecchia Sciangai: il rione delle Semirurali che ha scritto la storia delle prime immigrazioni italiane della città. Bolzano si trovava, a cavallo della seconda guerra mondiale, un paese interno con le sue regole, la sua vita e persino il suo gergo. Veronica Riccadonna, sciangaiola doc, ha creato una pagina dove ritrovare ricordi e parole che solcavano gli orticelli tra le villette bi- e quadrifamiliari delle Semirurali. La descrizione del gruppo restituisce lo spirito di Sciangai, a partire dal nome. «Chi pensa a un errore di battitura - recita la presentazione - sbaglia di grosso: questo quartiere si identifica perfettamente nella storpiatura, di origine veneta, di questa parola. Sciangai, a questo punto, diventa un tratto distintivo, una vera e propria identità». La descrizione continua con l’ubicazione esatta del rione «Possiamo circoscriverlo nel quadrato via Aosta-via Piacenza-via Genova-via Sassari». Localizzato Sciangai, è la volta di spiegare le radici linguistiche e territoriali: «Negli anni’30 e’40 ci fu l’immigrazione dalle pianure venete, negli anni’50 fu la volta dei rovigotti e negli anni’60 i meridionali. Da questo meltin-pot nascerà un gergo tipico». Un linguaggio che traghetta per la prima volta Bolzano da città d’immigrazione a comunità con una propria identità storica. È nella bacheca del gruppo, però, che confluiscono i ricordi, dietro invito della stessa Riccadonna che sollecita i sciangaioli «a riportare espressioni tipiche e aneddoti legati al rione delle Semirurali». Di lì a poco è tutto un fiorire di “slang”: si va dal ruamaro (ragazzo poco attraente) allo scavejon (giovane con i capelli lunghi), passando per snaroci (muco), ciavare (rubare), Vezo, stamme a dosento (stammi lontano) e me mare, me pare, me fiolo (mia mamma, mio papà, mio figlio). Una volta codificato parte del gergo, spazio ai ricordi con Luca Viviani che per primo inquadra il clima: «Quando si diceva vado a giocare in cortile e il cortile era tutto il quartiere. Ricordo il tetto del magazzino “Upim” in via Sassari per giocare a hockey con la pallina e le stecche fatte con le spatole, il fioretto a “Don Bosco” per tampinare le belle ragazze, le serate esilaranti al bar “Linos” o le tessere contraffatte per entrare al cinema “Columbia” e gridare il cognome degli adulti presenti che approfittavano dell’anonimato garantito dal buio della sala». Fiorella Tait, invece, al bar “Linos” andava per «vedere i ragazzi più grandi mentre crescevo nella casa ferrovieri al ponte tra binari e orti». Mauro Meneghini ricorda autentici “miti” sciangaioli «come Jojo Mondini con la sua “Benelli 250” che arava i cordoli del marciapiede. Che dire, poi, dell’“Isarco Beach”, il tiro alla fionda alla casa ex Coca-Cola e i raid negli orti per prendere in prestito uva, cachi e pesche noci». Roberto Oro giocava «indimenticabili partite di calcetto con i muretti degli orti come porte», mentre per Stefano Liturri, infine, non si possono dimenticare «le battaglie a cannette e i fucili ad elastici costruiti con le camere d’aria delle bici». (a.c) © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Ma ragazzi vi ricordate quando rubavamo le scope alle ns. madri per farne uno scianco ed uno scianchetto per giocare in cortile a "scianco zero vegna, vegna" uno dei tanti ricordi da parte di uno sciangaiolo verace Roberto Rubin
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