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lunedì 18 ottobre 2010

Ecco come ci inducono a comprare...


All’interno di un supermercato, tra le sue corsie e le casse, buttando un occhio alle offerte della settimana e ai prodotti sugli scaffali siamo noi che scegliamo i prodotti o sono i prodotti a scegliere noi? Non si tratta di una domanda puramente filosofica e nulla ha a che fare con la simile questione dell’uovo e della gallina, ma è semplicemente il quesito cui, in queste puntate di approfondimento, cercheremo di dare una risposta. L’organizzazione di un supermercato, infatti, non è casuale e spesso agisce su reazioni psicologiche o associazioni mentali più forti di quanto possiamo immaginare. Nulla di irregolare o particolarmente scorretto, ma può essere curioso andare ad indagare alcune tecniche di marketing purissimo che coinvolge tutti, anche se inconsapevolmente. La scienza di fare acquistare, infatti, ha acquistato un’importanza sempre più pesante nel mercato globale e si appoggia, così come moltissimi altri processi industriali, su raffinate tecniche, studi psicologici di comportamento e tecnologia d’avanguardia. Il consumatore, di fatto, deve essere messo a proprio agio e deve desiderare l’acquisto più di quanto, effettivamente, non sia necessario. Fin qui, niente di nuovo.
Vi siete mai chiesti, per esempio, perché gli scaffali dei supermercati debbano sempre essere pieni di prodotti? A onor del vero non cambierebbe niente nell’acquistare, per esempio, una lattina di birra se non ce ne fossero altre centinaia a fare da onorevole cornice. E invece no. “L’idea è quella del paese della cuccagna – spiega Alessandra Castellani dell’Università La Sapienza di Roma – e i clienti devono entrare in questo ordine di idee. Luce, ordine e ricchezza sono messaggi che devono essere percepiti. A pensarci, però, in una società dove l’obesità è spesso una piaga da contrastare non avrebbe senso far straboccare gli scaffali in ogni singolo punto vendita”. Invece avviene il contrario. Se non ne siete convinti provate, con onestà, a rispondere a una domanda facile facile: “La spesa che potreste fare in un supermercato sporco, disordinato e con gli scaffali trasandati sarebbe la stessa di un punto vendite con corsie ordinate, lucenti e strabordanti?”. Paradossalmente in alcune occasioni, invece, può andare benissimo il contrario: mettere in esposizione solo 2-3 prodotti può ingenerare il pensiero di infilarli subito nel carrello per evitare l’esaurimento, così come la sensazione di acquistare un genere alimentare di qualità visto che “va a ruba”. Bandita, a questo punto, la via intermedia giudicata poco ordinata e accattivante. Se consideriamo, invece, l’ampiezza dell’offerta spesso il consumatore è portato a giudicarla come un elemento positivo, ma si tratta sempre di quantità morigerate rispetto al potenziale perché il marketing sa benissimo che di fronte a una serie troppo vasta di opportunità il cervello va in tilt e tende a respingere la “fatica” di dover scegliere accuratamente.
I pubblicitari, oltretutto, sanno perfettamente, come avete avuto modo di scoprire anche voi nelle interviste di questi giorni, che non esiste un solo identikit del consumatore medio. C’è, infatti, chi fa la spesa tutti i giorni e chi, invece, si presta solo una volta alla settimana, chi compra poco e chi riempie il carrello, chi ha voglia e chi no. Non si tratta, oltretutto, sempre di persone diverse, ma anche un singolo cliente, a seconda della predisposizione giornaliera, può rappresentare tutte le categorie. Il marketing valuta tutte queste varianti e cerca delle contromisure efficaci. Avete mai pensato, per esempio, che le fidelity card organizzate da tantissime catene di distribuzione possono non essere solo degli strumenti con cui accumulare punti per i regali? Certo, servono anche a quello e a fidelizzare i clienti, ma sono pure degli utilissimi registri in cui vengono immagazzinate le nostre abitudini di spesa. Sommando il tutto si ottengono degli evidenti grafici e dati statistici che possono indicare molteplici tendenze e non è un caso che i flussi di vendita siano strumenti molto utilizzati da ogni singolo punto vendita della città e del mondo. Non solo, esistono anche marchi che utilizzano le tracce delle fidelity card per inviare via mail pubblicità “specificatamente indirizzate”. Se, per esempio, so che la famiglia Cacciapuoti consuma molti succhi di frutta sarà proprio a loro che invierò la pubblicità una volta che questi saranno in offerta.
Che i supermercati siano specchio fedele delle tendenze della società in cui sono inseriti, oltretutto, lo dimostra anche una curiosità divertente. In Giappone i punti vendita sono molto diversi da quelli che conosciamo noi perché vengono concepiti come spazio silenzioso, vuoto e in penombra. Quasi zen. Nulla a che vedere con le nostre casse del sabato pomeriggio.
E’ in questo scenario che si inserisce la classica organizzazione dei supermercati come li intendiamo noi. A ogni domanda esiste una risposta. Perché, per esempio, nei reparti pescheria, macelleria, salumeria e pane è previsto un commesso specifico? Molto semplice: al di là dell’utilità nell’economia del lavoro del supermercato si tenta di ricreare lo schema mentale del commercio di vicinato, caro soprattutto alle persone più anziane. Non a caso i più classici esempi di questo mercato in via di sparizione sono proprio le pescherie, le macellerie e le latterie. Lo stesso dicasi per la disposizione in casse di frutta e verdura che, di per sé, non rispondono a una necessità assoluta ma richiamano alla mente il più classico dei mercati rionali. Chiudete gli occhi, invece, e immaginatevi un classico bancone delle carne e uno del pane o pasticceria. Nel primo, probabilmente, a servirvi immaginerete un uomo, nel secondo una donna. Il più delle volte è proprio così perché il sesso maschile viene spesso associato a tutto ciò che ha a che fare con il sangue, mentre il femminile rappresenta meglio morbidezza, fragranza e calore di prodotti come pane o dolciumi. Perché, invece, le corsie sono larghe in modo da permettere il passaggio nelle due direzioni? Per facilitare il passaggio, ovvio. C’è, però, anche un altro motivo: studi etologici hanno dimostrato che le donne se vengono urtate, spinte o sfiorate tendono ad abbandonare la valutazione delle marce e rinunciano all’acquisto. Perché alcuni prodotti, invece, hanno sempre una posizione ad altezza occhio? Logicamente, anche qui, non si tratta di scelta casuale. Le aziende che accettano, di norma, di ritirare gli avanzi o praticare buoni prezzi alla catena di distribuzione ottengono una visibilità migliore. Si tratta di accordi commerciali. Fate attenzione, poi, a molte merendine, caramelle o dolcetti che,al contrario di questa logica, sono posizionate più in basso. Il motivo è evidente e si chiama bambino che non di rado prende e infila nel carrello, salvo mostrare l’acquisto solo alla cassa, cioè troppo tardi. Già successo vero?
Attenzione, inoltre, alle luci: non è raro imbattersi in supermercati in cui siano più fioche nei camminamenti e più forti in corrispondenza degli scaffali. Il perché, stavolta, lo si intuisce facilmente: l’illuminazione piatta e costante non funziona come allertatore dei sensi. Perché, inoltre, nel reparto surgelati esistono vasche ed armadi quando basterebbe una sola delle soluzioni? Il risparmio di superficie è solo una delle risposte. La disposizione, come la luce, deve variare per attirare l’attenzione e cambiare l’esposizione cattura l’occhio. Se davvero si volesse risparmiare spazio ad ogni costo, infatti, come mai le tavolette di cioccolato non vengono posizionate di taglio anziché di faccia?
Passando in prossimità delle casse ecco che troviamo i classici dispenser da “acquisti d’impulso” ovvero chewing-gum, mini-snack o lamette da barba. Costano poco e possono rispondere a un bisogno immediato mentre si è in coda. Difficile, per esempio, trovarci un prodotto elettronico che, di norma, richiede più riflessione nell’acquisto. I preservativi, invece, seguono una logica più immediata: vicino alla cassa devono percorrere meno strada nel carrello, abbattendo così le possibilità di imbarazzo di alcuni consumatori. Difficile, inoltre, trovare prodotti nei primi 5-15 passi del supermercato dopo le porte d’entrata. Per gli etologi dello shopping si chiama zona di decompressione, dove il consumatore si deve abituare alla luce del nuovo ambiente e non presterebbe attenzione a molto altro. Di solito, infatti, trovate i banchi dell’accoglienza. Veniamo alla disposizione interna. Snocciolando frutta, verdura, banchi della carne, latticini, salumi, e surgelati alla fine non si va molto lontano dallo schema di qualsiasi supermercato. Il motivo? Il percorso fisso, anche interno allo stesso punto vendita, crea delle reazioni immediate di acquisto e immissione dei prodotti nel carrello, quasi in automatico per abitudine. Il rovescio della medaglia è lo scoraggiamento degli acquisti d’impulso che, però, vengono stimolati con piccoli cambi periodici di alcuna merce che attivano la curiosità del consumatore. Mai, però, rivoluzioni totali, a meno di ristrutturazioni profonde, perché creano ansia e disorientamento. Quanti di voi, invece, si concedono il classico cubetto di formaggio (o salume) in assaggino al banco dei salumi? Bene, quello non è solo un bocconcino di gentilezza o per valutare se effettivamente piace il prodotto, ma rappresenta una carineria verso il cliente che spesso si sente “in debito”, anche inconsciamente, e procede all’acquisto. Che bisogno c’è, inoltre, di evidenziare nei cartelloni interni che l’offerta è valida fino “ad esaurimento scorte” o agli “ultimi giorni”? Di fatto è una notizia abbastanza logica visto il tempo limitato degli sconti, ma produce una reazione identificabile come “timore di perdere l’offerta irripetibile” che affretta l’acquisto o ne aumenta le quantità.
Se pensate di sfuggire alle categorie, bene, facciamo un gioco. Il consumatore viene diviso dagli esperti in cinque tipologie. Il primo è il consumerista, preoccupato soprattutto del rapporto qualità-prezzo che si sofferma davanti agli scaffali. Poi abbiamo l’efficiente che entra con la classica lista e non vuole perdere tempo nel cercare i prodotti che, come detto, sono ben posizionati lungo un percorso. Ecco, invece, il curioso, interessato più che altro al no-food, all’elettronica, alla cancelleria e ai libri. Il conviviale, invece, vive il supermercato come un luogo d’incontro o socializzazione e ha bisogno del contatto umano. Infine va enunciato il consumatore critico, attento a valori come ecologia e solidarietà, ai prodotti biologici e agli imballaggi riciclabili. Di certo rientrerete in qualcuno di questi, ma è molto probabile che, in svariate situazioni, ricopiate più categorie diverse il che è un invito a nozze per il marketing che ha una soluzione per ogni tipologia e centra il bingo quando può esercitarle tutte insieme. Non pensate nemmeno di sfuggire alla categorizzazione della vostra scelta nell’acquisto. Pensate di farlo liberamente? Sicuramente possiamo ridurre la vostra modalità di preferenza a soli sei atteggiamenti: attrazione verso la marca, consiglio di un amico, conoscenza e pregiudizio sul prodotto, lettura dell’etichetta, suggerimento di una una lista o prova del prodotto. Difficile non rientrare in una di queste semplificazioni e agire su sei piani non è poi così difficile per chi si intende di promozione. Vi è mai capitato, inoltre, di pensare che le donne siano molto più brave nel fare la spesa? Verissimo. Spazziamo subito, però, ogni pregiudizio sessista perché le ricerche scientifiche dimostrano come gran parte di loro siano in grado, davanti a 50 prodotti, di isolarne tre di proprio interesse. Una capacità che possiede solo il 20% degli uomini portati, piuttosto, all’accumulo.
Veniamo ai colori. Qui il ragionamento è facile: ai detersivi che devono lavare il bianco fustino bianco, a quelli ecologici verde, ai profumi passionali il rosso, agli snack per giovani il tecno metallizzato, ai prodotti da forno giallo dorato e ai latticini di nuovo bianco. Logico? Certo, ma lo è altrettanto il rifiuto dell’inverso? Comprereste una mozzarella marrone o le fette biscottate verdi? Forse sì, ma un test, nel secondo caso, è stato fatto. Risultato: vendite a picco e consumatori pronti a giurare che sapessero di muffa al contrario di quelle gialle dorate che, guarda un po’, erano esattamente le stesse. I colori influenzano il cervello e chi dispone un supermercato questo lo sa molto bene. Persino le dimensioni del carrello vengono studiate a tavolino. Negli ipermercati, per esempio, spesso ci troviamo di fronte a delle vere e proprie cisterne ambulanti, ma il motivo è che il cervello ha l’impulso del riempimento che soddisfa. Più grande è, ovviamente, più prodotti servono a colmarlo. Non solo, quante volte vi capita di formulare un giudizio della spesa sostenuta in base al livello di riempimento del carrello con frasi come "con 30 euro l’ho riempito"? Di frequente e non è un caso che i market più cari presentino carrellini più piccoli: si riempiono con meno esborso. Passiamo alla musica. Difficile trovare, in diffusione, brani complicati o radio impegnate, politiche o anche solo ironiche. L’imperativo è allentare l’ansia da spesa con note orecchiabili e non irritanti. La soluzione? Le classiche hit e i motivetti fischiettabili che rimangono in testa e mettono allegria. Non è un caso che molte catene abbiano una propria radio di riferimento: pensare che serva solo a fare compagnia è riduttivo. Anche il ritmo non è lasciato al caso: niente musica veloce, rap o techno perché accelera il passo e rischia di tralasciare gli acquisti fuori programma. Al bando anche i lenti che possono implicare code alle casse. Il meglio? 60-80 battiti al minuto. Non siete convinti di questa influenza? Sappiate che in un supermercato di Leicester in Inghilterra vennero diffuse per diversi giorni musiche francesi e bavaresi dagli altoparlanti e indovinate quali furono i vini più venduti? Esatto, i francesi e bavaresi. Sull’olfatto, quindi, ormai sarà superfluo spiegare perché i polli allo spiedo vengono posizionati in modo da diffonderne l’aroma, così come i forni del pane difficilmente sono blindati al profumo. Lo stesso impacchettamento, o “packaging”, non sfugge a queste logiche e non a caso è quasi sempre squadrato o comunque iscrivibile nel concetto di ordinato che deve reggere un supermercato. Impensabile , ad esempio, immaginare una ditta di pastasciutta che produce scatole di forme notevolmente diverse (come avviene, per esempio, nei profumi) perché altererebbe inevitabilmente le linee di un punto vendita che all’occhio deve essere perfetto e non lasciato al caso.
Se ancora siete scettici sappiate che le più grandi aziende internazionali poggiano le loro ricerche sempre meno sui sondaggi di mercato e sempre più sul neuromarketing, una scienza capace di studiare le reazioni dei neuroni alla pubblicità e in sede di shopping. L’idea è di applicare la neurologia al business e qualche informazione la si può trovare sul sito www.neuromarketing.net. Ovviamente non si tratta di una tecnologia perfetta, altrimenti ci troveremmo tutti con gli stessi identici prodotti, perché produce dati di attivazione della corteccia cerebrale che vanno analizzati e “sistemizzati” per le varie categorie di consumo.
I pubblicitari, in conclusione, sanno perfettamente che le emozioni guidano il 70% dei nostri acquisti. Scrive Alberto Salza, profondo conoscitore del continente africano: “In Africa ho visto dividere una caramella tra un nugolo di bambini. Noi facciamo il contrario: una sola persona cerca di possedere tutti gli oggetti del mondo”.

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