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martedì 26 aprile 2011
Duce a cavallo: architetti scettici sui 5 selezionati. «Manca un'idea di piazza»
di Alan Conti
zoom
BOLZANO. Tanto scetticismo intorno a quelli che più che progetti sarebbe meglio definire come idee senza parte operativa. Il pokerissimo di proposte per la copertura del duce a cavallo servito dalla commissione di esperti non scalda gli animi di architetti e urbanisti della città, pronti a spendere qualche aggettivo in più unicamente per la soluzione prospettata dai gardenesi Arnold Holzknecht e Michele Bernardi con la proiezione della frase di Hannah Arendt "Nessuno ha il diritto di obbedire" sul bassorilievo di Piffrader. Per il resto, insomma, pare che la montagna di 486 adesioni al concorso di idee abbia partorito un topolino, anche se nessuno intende mettere in discussione competenza ed autorità della commissione giudicante. «In generale non ho visto nulla di particolarmente sconvolgente - le parole dell'architetto Thomas Demetz che è anche consigliere della Circoscrizione del Centro - ma il più significativo, in un percorso che dovrebbe guardare più alla funzione storica e di sintesi del dibattito e meno ai simboli, mi sembra il progetto con la frase di Arendt. Molto poetica, inoltre, è l'idea del bosco mentre assolutamente improponibile lo scalpello: forse la fretta non ha giocato a favore alla profonda analisi e riflessione che andrebbe condotta». Klaus Kompatscher, dal canto suo, è architetto che spesso si è confrontato con la storia locale nelle sue pubblicazioni. «Il progetto in arrivo da Ortisei ha un forte impatto perché gioca sul contrasto del significato della frase con la rappresentazione del duce. Assai meno convincenti, invece, le altre soluzioni che stravolgono il contesto, ma mi rendo conto come in un dibattito così caldo non sia facile farsi venire l'idea giusta». «Se devo dare un giudizio - interviene l'urbanista Michele Stramandinoli - definirei questi lavori più che altro delle idee e non ancora dei progetti veri e propri. Diciamo che la scelta della commissione, che è bene ricordare essere molto qualificata, ha riproposto i grandi filoni del dibattito che si è sviluppato sul bassorilievo di Piffrader. Si va dalla copertura (gli alberi, il sipario) al percorso (le scalinate) passando per la dialettica culturale della frase proiettata. E' evidente, però, come adesso tutto questo debba percorrere un'ulteriore tappa e approdare alla fase operativa: un passaggio che non è affatto una formalità. Sarà proprio qui, infatti, che si potranno formulare dei giudizi in maniera definitiva». Giovanni Benussi, architetto che siede in consiglio comunale è tra i 486 partecipanti al concorso. «Ho presentato - spiega - una chiusura a vetro a galleria su cui veniva proiettato il motivo del bassorilievo lasciando un buco nella posizione del duce a cavallo che richiamasse le zone mancanti tipiche degli affreschi storici. Ho premesso, comunque, come l'opera di Piffrader abbia la funzione di equilibrare la dinamica architettonica della piazza dominata dal tribunale, quindi non è possibile assistere a progetti che intendono stravolgere tutto. Cercare una soluzione che salvi la valenza originale e permetta il ripristino della raffigurazione quando le sensibilità saranno diverse è certamente la strada auspicabile per il depotenziamento. Per ora la soluzione della frase di Arendt appare la più sensata». Una riflessione sul concorso arriva anche dall'architetto Luigi Scolari, pure lui partecipante ed ex presidente dell'Ordine professionale degli architetti: «La grande partecipazione evidenzia una forte responsabilità civica al destino della piazza. Io ho fatto squadra con un milanese che ha avuto l'opportunità di conoscere una realtà differente dalla sua. Sarebbe bello, dunque, poter visionare tutti i contributi pervenuti per avviare una riflessione approfondita. Il concorso, invece, è stato indetto in fretta e furia sull'onda emotiva degli avvenimenti politici, con poca chiarezza sui criteri adottati per la valutazione e gli obiettivi: questo è stato il suo difetto originario. Resta, comunque, l'ottima idea degli architetti gardenesi con la proiezione della frase di Arendt che, però, dovrà trovare necessariamente un'applicazione pratica convincente». Lapidario l'architetto Renzo Gennaro: «La questione è considerata eccessivamente dal punto di vista simbolico. Le cinque proposte vanno viste più che altro come degli spunti sui quali lavorare più approfonditamente».
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