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sabato 2 aprile 2011
Leggenda e fascino di Castel Porco
CASTEL DEL PORCO
La leggenda di Castel del Porco
Gli abitanti, infatti vissero felici e contenti fino a quando Federico dalle Tasche Vuote non decise di conquistare quel piccolo maniero (a 751 metri sopra il livello del mare) con l’aiuto dei suoi cavalieri. I pochi soldati in difesa combatterono fino allo stremo per difendere il loro piccolo mondo per settimane. Federico non aveva messo in preventivo una resistenza così pugnace, così mise sotto assedio il castello giorno e notte, tanto da far mancare cibo e acqua ai soldati all’interno che cominciarono a indebolirsi. La situazione era disperata, fatta eccezione per un grosso porco che comunque non sarebbe bastato a sfamare tutti. E’ qui che scattò il genio del capitano, Wilhelm von Starkenberg, che ordinò ai suoi uomini di arrostirlo e buttarlo fuori dalle mura. Di primo acchito una soluzione da lasciare basiti, ma considerando l’impossibilità del maiale di sfamare tutti, l’unica percorribile strada per sperare di avere successo. Nel frattempo, infatti, tutti dovevano far finta di ridere e festeggiare, simulando un benessere che non esisteva in realtà. Gli uomini, fedeli, per quanto sbalorditi, eseguirono gli ordini del Capitano. L’apparenza, infatti, a volte può molto più della concretezza e al vedere un porco arrostito volare e udire gli schiamazzi, Federico non potè che pensare a una popolazione ancora piena di risorse da vincere tutte le battaglie. Rosso di rabbia e scoramento ordinò ai suoi di tornare a casa che tanto i nemici erano, sciaguratamente, imbattibili.
Tornando all’assedio, comunque, possiamo comprendere meglio come fosse il risultato della rivolta contro il potere tirolese di uno dei tanti nobili concordi con Enrico da Rottenburg, gli Starkenberg. A far traboccare il vaso di Federico IV, infatti, fu l’uccisione dell’emissario bolzanino Nikolaus Hochgeschorn fatto scivolare giù per la roccia proprio a Greifenstein. Se vogliamo una riedizione del celebre casus pugnandi del film “300” con gli Spartani che uccisero senza colpo ferire l’ambasciatore persiano. Tra gli assediati, comunque, non va dimenticano Oswald von Wolkenstein che per l’occasione compose il poemetto “Nu Huss”. Quella che la leggenda non racconta, comunque, è che la fine dell’assedio non comportò il classico happy ending da “tutti felici e contenti”, ma condusse a lunghi processi con dettagliate accuse contro gli assediati ribelli testimoniati nel famoso “Starkenberger Rotulus”. Federico IV, insomma, se ne andò certamente rosso di rabbia, ma ben conscio di quello che era in suo potere per farla pagare al manipolo di disobbedienti. Molte leggende, oltretutto, descrivono Federico come superbo, in realtà sarebbe meglio definirlo come assolutamente conscio delle proprie potenzialità dato che senza l’espediente del porco avrebbe sicuramente conquistato Castel Greifenstein. Resta da capire, però, perché non decise di portare un nuovo attacco nei successivi 16 anni di regno: evidentemente i processi portarono a un qualche accordo soddisfacente per tutti. Piccola variante nella leggenda, invece, vuole il porco atterrare esattamente ai piedi di Federico Tascavuota, ma la coincidenza è francamente poco probabile. E’ possibile, invece, che il duca asburgico avesse usato cannoni fusi con il rame di Predoi in Valle Aurina dato che nel 1426 esistono testimonianze della sua predilezione per questo tipo di materiale altoatesino. Accenni storici più approfonditi quantificano in 18 servitori la forza armata del capitano Wilhelm von Starkenberg, schierati fino alla morte al fianco del loro signore perché venne promessa loro in cambio la libertà. Ora, non esistono cenni riguardo all’eventuale soddisfazione del patto e non si capisce come vada inquadrata in tutto questo la figura di von Wolkenstein, che tutto poteva essere tranne che servo, ma il dato può comunque essere considerato verosimile considerate le forze in campo. Non solo, benché detto che l’episodio del porco può realmente essere stata la chiave di svolta dell’assedio gli studiosi tendono ad attribuire l’idea a un servitore stesso, ben presto attribuita al capitano dai cantori come in uso nel medioevo. Ulteriori versioni dell’assedio, invece, identificano in una fessura nella parte sud-ovest del castello la via di fuga di Wilhelm von Starkenberg dall’assedio. Piuttosto verosimile, invece, la durata dell’assedio per qualche settimana.
IL POEMETTO DI VON WOLKENSTEIN NU HUSS SULL’ASSEDIO
'Nu huss!' sprach der Michel von Wolkenstain,
'so hetzen wir!' sprach Oswalt von Wolckenstain,
'za hürs!' sprach her Lienhart von Wolkenstain,
'si müssen alle fliehen von Greiffenstein geleich.' "Haut drauf," so die Herren von Wolkenstein,
"packt sie, zerschlagt ihnen das Gebein,
flugs scheuchen wir weg sie von Greifenstein!"
so tönen Wolkensteiner, vor denen alles flieht.
Do hub sich ain gestöber auss der glüt,
all nider in die köfel, das es alles blüt.
banzer und armbrost, dazu die eisenhüt,
die liessens uns zu letze; do wurd wir freudenreich. Da wirbelten glühend die Funken umher,
geballert wurd' feurig mit dem Gewehr;
die Rüstungen, Armbrüste wurden zu schwer.
Die Beute motivierte, mit Freude schlug man zu.
Die handwerch und hütten und aner ir gezelt,
das ward zu ainer aschen in dem obern veld.
ich hör, wer übel leihe, das sei ain böser gelt:
also well wir bezalen, herzog Friderich. Egal, was sich entgegen stellt'
Maschinen, Steinwall oder Zelt ,
dem Herzog Friedrich sein Entgelt,
das zahlen gern auf Heller und Pfennig wir zurück.
Schalmützen, schalmeussen niemand schied.
das geschach vorm Raubenstain inn dem ried,
das mangem ward gezogen ain spann lange niet
von ainem pfeil, geflogen durch armberost gebiett. Scharmützel gab's im Tal genug,
sie konnten nicht aufhalten unseren Zug.
Doch unterm Ravenstein lauerte Trug.
Im Hinterhalt auf Lauer lag Armbrusts gift'ger Pfeil.
Gepawren von Sant Jörgen, die ganz gemaine,
die hetten uns gesworen falsch unraine,
do komen gut gesellen von Raubenstaine.
'got grüss eu, nachgepawern, eur treu ist klaine.' Die Bauern von Sankt Georgen gemein,
die hielten den heiligen Schwur nicht ein;
sie arrangierten sich mit Ravenstein:
'Gott grüß euch,Nachbarn falsche; der Teufel hole euch!'
Ain werfen und ain schiessen, ain gross gepreuss
hub sich an verdriessen, glöggel dich und seuss!
nu rür dich, gut hofemann, gewinn oder fleuss!
ouch ward daselbs besenget vil dächer unde meuss. So gab es ein Gemetzel groß,
mit viel Geschrei wir schlugen los -
wie edel wir waren, so gnadenlos.
Mit Feuer wir sie sengten, den Hof mit Mann und Maus.
Die Botzner, der Ritten und die von Meran,
Häfning, der Melten, die zugen oben hran,
Serntner, Senesier, die fraidige man,
die wolten uns vergernen, do komen wir der von. Doch mehrte sich ie Übermacht:
aus Bozen, Meran hat man sie hergebracht,
vom Ritten, von Hafling, dass es nur so kracht';
auch Sarntal und Jenesien... Doch kamen wir davon!
In italiano il poemetto narra grosso modo la preparazione e la resistenza all’assedio, cominciando con un conciliabolo familiare tra i Von Wolkenstein. Si accenna anche alla possibilità di pagare quanto dovuto a Federico IV che, evidentemente, non voleva saperne di derrate o regalie, ma voleva proprio il castello, l’unica moneta che gli assediati non erano disposti a scambiare. Conferma arriva dal fatto che già nel 1412 Federico Tascavuota aveva portato avanti una campagna simile assediando i castelli Telvana e Ivano di Caldonazzo dove, espugnandoli, insediò capitani di sua fiducia e lealtà. Lo stesso accade nel 1424 al Castello di Scena e anche qui dopo lungo assedio: il suo, insomma, era un modus operandi abbastanza rodato. Nell’aprile del 1407, addirittura, il duca tirolese entra in Trento costringendo molti cittadini a ritirarsi in un vicino castello. La chiusa del poemetto, invece, ammette una certa difficoltà nel resistere all’attacco che fiaccò sensibilmente i castellani del Porco, ma al contempo traspare l’orgoglio di una resistenza che tiene testa anche a un esercito composto da persone in arrivo dai più svariati angoli dell’Alto Adige. La datazione dell’assedio, comunque, può essere meglio incorniciata al 18 novembre del 1423, quindi le temperature non erano nemmeno delle migliori per reggere i colpi di un assediante tanto potente
Conformazione geografica
Posto nelle vicinanze di Terlano, sopra il piccolo abitato di Settequerce, Castel Porco porta, evidentemente, un nome piuttosto strano, da ricondurre a un’antica leggenda. La dizione tedesca del castello è Greifenstein (ma anche Sauschloss, più letteralmente Castel Porco) e oggi, oggettivamente, è un complesso di rovine che si erge su uno sperone roccioso a pareti strapiombanti quasi interamente su Terlano, anche se ricade amministrativamente nel comune di San Genesio, in provincia di Bolzano.
La storia
Il castello fu eretto dal conte Arnold III von Morit-Greifenstein e viene citato nei documenti per la prima volta nel 1158. La sua distruzione, invece, è da ricondurre alla seconda metà del XIII secolo. Nel 1275/1276 il maniero, però, viene distrutto una prima volta nella contesa tra conti di Tirolo e vescovi di Trento e solo nel 1334 i piccolo signori di Greifenstein decisero di ricostruirlo, ,ma durerà lo spazio di 14 anni prima di subire nuovi danneggiamenti. Nel tardo Trecento, poi, il manufatto passa nelle mani dei signori di Starkenberg in quanto l’ultimo membro della famiglia von Greifenstein cadde nella battaglia di Sempach nel 1386 (tra la vecchia Confederazione Svizzera e il duca Leopoldo III d’Asburgo, sconfitto). Il Federico dalle Tasche Vuote della leggenda altri non è che Federico IV d’Asbrugo e l’assedio a Castel Porco è da far risalire al 1423, quando Terlano era conosciuta solo come “Toerlan”, assonante al dialetto tirolese odierno.
Federico IV d’Asburgo, detto in realtà Tascavuota “Leeretasche”, nacque nel 1382 e morì a Innsbruck nel 1439. All’epoca dell’assedio, quindi, aveva 41 anni: un’età piuttosto anziana per l’epoca. Era il figlio minore di duca Leopoldo III (il protagonista della battaglia in cui morì l’ultimo dei Greifenstein) e di Verde Visconti, figlia Bernabò Visconti e di Beatrice della Scala. Nelle sue vene, quindi scorreva sangue italo-asburgico, se vogliamo un mistilingue ante litteram. Dal 1402 Federico Tascavuota resse l’Austria Anteriore e dal 1406 la Contea del Tirolo (dove, ovviamente, era incluso Castel Porco). La sua fama, però, più che ai racconti è legata al suo essere capostipite della linea tirolese degli Asburgo: particolare che per l’Alto Adige non è affatto secondario e non a caso è una delle figure più note del medioevo del nostro territorio. La sua carriera militare non fu particolarmente fortunata, considerando che prima dell’assedio a Castel Porco venne sconfitto dai rivoltosi del cantone svizzero di Appenzello a Gais il 17 giugno 1405. A inviarlo in battaglia fu Leopoldo IV d’Asburgo, preoccupato dal carattere fumantino degli svizzeri cui dovette concedere l’indipendenza in Confederazione lo stesso Federico IV. In Trentino e Tirolo a Federico Tascavuota le cose non andavano certo meglio sfidato com’era dai nobili tirolesi uniti nelle Leghe dell’Elefante (1406) e del Falco (1407), ispirate dal potente Enrico da Rottenburg che puntava a spodestare Federico dal governo del Tirolo appoggiato nientemeno che dal vescovo di Trento Giorgio Von Liechtenstein. Loro coniarono il soprannome di Tascavuota che nelle intenzioni doveva screditarlo, ma che ottenne in realtà l’effetto contrario. Solo nel 1411, comunque, diventa conte del Tirolo e duca d’Austria. Federico, comunque, non godeva di particolari simpatie tra borghesia e ecclesia, quindi si comincia a comprendere come, seppur una quindicina d’anni dopo, non ottenne grande sostegno dai poteri forti nell’assedio al Castel Porco. Giorgio Von Liechtenstein fu addirittura cacciato da Trento da Federico, aumentandone l’astio popolare. Fu lui, comunque, a spostare la capitale del Tirolo da Merano (con residenza a Castel Tirolo) a Innsbruck e regnò fino al 1439, non senza creare diversi scandali per le sue intercessioni antipapali.
Curiosità e misteri
Un profilo di Federico IV d’Asburgo è presente su facebook, con aggancio al link di Wikipedia, ma chi volesse in qualche modo sostenerlo può sempre cliccare su “mi piace”. Per rimanere nell’ambito delle piccole chicche altoatesine in pochi sanno, infatti, che Reinhold Messner fu inizialmente convinto che il corpo di Ötzi fosse da attribuire a un soldato dell’esercito di Federico IV d’Asburgo di passaggio nelle valle. Come non citare, poi, che l’episodio del porco è ripreso anche in una raffigurazione del famoso gioco di carte tirolesi “Watten”. Fu proprio sotto lo stesso Tascavuota, inoltre, che gli Schützen poterono dotarsi per la prima volta di armi da fuoco nel 1435 e non dimentichiamoci che Federico aveva una cultura italiana abbastanza evidente. I cappelli piumati, allora, non avevano quindi alcuna connotazione linguistica, ma solo di fedeltà tirolese e asburgica.
Sul sito di Alto Adige marketing, comunque, è possibile leggere la testimonianza di Andrea Maria che “guardando Castel Porco, ogni volta che pedalo lungo la Val d’Adige sotto il versante della montagna sulla quale è arroccato il maniero, ricordo la dolce calma e rassicurante di mia madre che me ne racconta la leggenda. Un cambio di nome a seguito di un grande atto di coraggio e di fede. Oggi che sono diventato padre racconto la stessa storia a mia figlia e ai suoi compagni di gioco e come allora percepisco la grandezza di quest’episodio negli occhi straniti di chi mi ascolta. Gli stessi che vedeva mia madre”. Paola Colombini, nel volume “Tourin Club Italiano, Trentino Alto-Adige”, quindi una delle più autorevoli guide turistiche italiane, chiama il castello con il nome di “Castel Grifo” “teatro della rivolta nobiliare contro Federico Tascavuota”. Importante, però, sapere che per raggiungere le rovine, bisogna raggiungere l’albergo Patauner, prendere il sottopassaggio e da lì imboccare la sentiero 11 A che conduce a un gruppo di case, attraversare un torrente e poi continuare sul numero 11 fino al Greifenstein. Partendo da “Patauner” ci si impiega circa 2 ore e mezza, con un dislivello di 500 metri e un percorso tutto sommato facile e alla portata di tutti. L’altezza massima raggiunta, inoltre, è di 800 metri sul livello del mare. L’entrata delle rovine è a nord-ovest, da dove si può godere di una magnifica vista panoramica. Poco distante, invece, troviamo il Gasthof “Noafer”.
Tutt’oggi, comunque, nella Val d’Adige il castello appare come una rovina di scarso impatto visivo, ma bisogna avvicinarsi per rendersi conto realmente di come si trattasse di un fortilizio possente, dotato di ampi avancorpi di difesa alla base della roccia. Il rudere, nascosto dal panorama invernale, è stato anche oggetto del Concorso Fotografico Nazionale presentato in uno scatto da “eleza 94” col titolo, sconfortante, di “Castel del Porco=Ormai rudere nel bosco”.
Piccola curiosità: su Itunes è possibile acquistare un file audio di “Nu Huss” con una canzone di 2 minuti e 52 realizzata da Michael George e New London Consort realizzata proprio con le parole del poemetto. L’album che contiene il brano, invece, si intitola “Knightly Passions: the songs of Oswald von Wolkenstein” realizzato da Philipp Hickett. Per chi volesse, invece, togliersi immediatamente lo sfizio di ascoltare il poemetto nella forma di ballata di guerra può trovarla facilmente su youtube digitando le parole chiave “Oswald von Wolkenstein-Nu Huss-Pack Zu! Grasp! Dietro a un flauto particolarmente vivace un gruppo di voci recita canta l’opera con la classica andatura popolare e battagliera che, probabilmente, regnava all’interno del castello durante l’assedio di Federico. Dello stesso poemetto, inoltre, esiste una traduzione inglese presentata da più parti: indice, evidentemente, di un interesse anche internazionale attorno all’opera e alle vicende storiche che l’hanno interessata. Il titolo “Nu Huss!”, giusto per fare un accenno, viene tradotto con “Let’s go”, un messaggio immediatamente comprensibile dell’animo che spingeva i castellani a resistere.
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