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sabato 11 giugno 2011

La Notte dei fuochi dopo 50 anni «Ma vinse la politica»


di Alan Conti
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Se cinquant'anni fa a cadere in serie furono i tralicci dell'alta tensione, obiettivi della serie di attentati della Notte dei fuochi, oggi l'Alto Adige ha voglia di vedere crollare pregiudizi e falsi miti, anche storici. In occasione del convegno «La notte dei fuochi, la storia e le interpretazioni» organizzato ieri sera dalla giunta provinciale presso la Kolping, la voglia di infilare il passato nella storia è testimoniata da un pubblico che riempie la platea ben oltre la normale capienza. Pubblico folto, dunque, per ascoltare le opinioni degli storici Rolf Steininger, Leopold Steurer e Carlo Romeo che, come un prisma, hanno girato e rigirato la notte tra l'11 e il 12 giugno 1961 per permettere di coglierne ogni sfumatura. Il tutto senza dimenticare che quell'atto di terrorismo seminò morte con Giovanni Postal come vittima. Apertura di incontro affidata all'assessore alla cultura tedesca Sabine Kasslatter Mur: «L'obiettivo è discutere in modo oggettivo e pacato su queste vicende. La ricerca del dialogo non deve mai cessare». «Non era affatto scontato - aggiunge il vicepresidente della Provincia Christian Tommasini - riuscire a risolvere la vicenda in modo così avanzato. Non dimentichiamoci comunque che si trattò di un atto di violenza e come tale va condannato». Ad aprire le danze ci ha pensato Rolf Steininger analizzando le reazioni dell'opinione pubblica mondiale agli attentati. «L'Alto Adige è un problema che per anni non ha interessato la Germania, ma nemmeno l'Austria. Una diffidenza che non si rifletteva in un disinteresse sociale perché tra la popolazione molti si preoccupavano di un territorio che appariva assolutamente tedesco». Ci furono ugualmente tensioni sull'asse Bonn-Roma: «Una parte della stampa italiana puntava il dito verso la Germania rea di collaborare con i terroristi». E Vienna? «Il governo austriaco ha sempre preso le distanze dagli ordigni e sapeva che tutti i Paesi avevano problemi interni tali da sconsigliare un impegno per l'autodeterminazione altoatesina». Infine Roma: «L'Italia - conclude Steininger - voleva a tutti i costi evitare l'impressione di fare concessioni al terrorismo e allo stesso tempo aveva necessità di non sfigurare presso le Nazioni Unite. La Commissione dei 19 nasce tra queste due volontà. A vincere, però, alla fine fu la diplomazia». Leopold Steurer da parte sua ha sottolineato come «la disinformazione è sempre stata il pericolo di questa vicenda». E questo nonostante «i documenti dimostrino che la stampa europea si interessò della questione in modo approfondito». Il Bas veniva paragonato ad altre esperienze terroristiche: «Si parlò prima di Cipro, poi dell'Algeria, ma in Alto Adige la situazione era molto diversa». Silvius Magnago, nel frattempo, tagliava i ponti con Innsbruck: «La Svp voleva determinare la strategia in loco e non tolleravano un modus operandi imposto da altri. Nel 1960 un sondaggio dava il 26% degli altoatesini pronti alla lotta e il 13% pronti a partire all'ordine della Stella Alpina. Il Bas, quindi, sentiva di avere un appoggio nella popolazione, tipico atteggiamento del terrorismo locale. Era questo l'obiettivo del sondaggio, ma il giornale Dolomiten lo bolla come "pericoloso e inutile in un quadro in cui la violenza non può essere accettata"». Intervento di chiusura per lo storico italiano Carlo Romeo. «La notte dei fuochi arrivò al culmine di un percorso di esarcebazione del polarismo etnico, in cui svolse un ruolo decisivo anche la pubblicistica». Com'erano, però, i sentimenti dei gruppi linguistici che in quegli anni vivevano in questa terra? «Gli italiani pensavano fosse sufficiente lo stato degli accordi, sottovalutando la crescente richiesta di rappresentatività e importanza del gruppo tedesco. Difficile, allora, trovare un punto di contatto». La sala gremita di ieri restituisce la speranza che cinquant'anni dopo a cadere siano i muri.
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