Non lo fanno tutti, ma lo fanno in molti. Sicuramente anche a voi sarà venuta la tentazione almeno una volta davanti, a un motore di ricerca, di infilarci dentro il proprio nome e il proprio cognome con la curiosità di scoprire quello che viene fuori. Non preoccupatevi, è un narcisismo piuttosto diffuso e sostanzialmente innocuo, ma è presto diventato oggetto di ricerca del Pew Research statunitense ripreso da Serena Danna del Corriere della Sera. Intanto il fenomeno è talmente diffuso da avere un nome proprio ovvero egosurfing e a farlo sono il 56% delle persone. I più web pavoni sono i maschi perché sono proprio loro al 58% a cercarsi su internet, specialmente nella fascia d’età tra i 18 e i 29 anni ma su questo aspetto influisce probabilmente la dimestichezza con il mezzo tecnologico. Attenzione perché il classico Google può essere solo il primo step per gli auto cercatori incalliti perché il 24% prosegue poi la caccia anche sui social network: Facebook e Twitter su tutti. Titolo di studio: il 68% è laureato, il 42% diplomato. Oltre alla curiosità personale, comunque, l’egosurfing ha anche un aspetto decisamente più serio legato al controllo della propria reputazione on line. A livello professionale, infatti, questo può risultare decisivo e sono sempre più i datori di lavoro che scelgono i propri dipendenti anche in base a post, twit o blog. Non a caso Federica Colonna sulle pagine di “Lettura” ha dimostrato come rifarsi un nome pulito sul web possa costare anche diecimila euro. Nessun imbarazzo, dunque, e se vi cercate tanto meglio: controllare il proprio buon nome può essere decisivo.
Alan Conti
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