Carolina arriva da Cali in
Colombia, a 15 anni ha messo la prima volta piede in Italia, da 11 abita
nel Belpaese a Bolzano e da tempo assiste gli anziani come Osa, operatrice socio
assistenziale. Qualche anno fa si sposa con un italiano da cui ha un
figlio, italiano: avrebbe già il requisito per chiedere la cittadinanza,
ma decide di aspettare il decennio di residenza per rispetto, forse
anche per non sentirsi dire di approfittarsene. Poi arriva la
separazione, fa parte della vita, ma Carolina a maggior ragione deve
attendere i famosi dieci anni: lo fa e presenta la documentazione.
Dall'apertura della pratica alla cittadinanza vera e propria, le dicono,
passano almeno due o tre anni. Due o tre anni: che ci dovranno fare con
le pratiche di chi non è svedese in lista Svp è tutto da capire. "Sono i
tempi tecnici" rispondono, ma qui si nasconde un problema grande come
una casa: Carolina opera nell'assistenziale come precettata con rinnovo di anno in anno e i tagli
annunciati porteranno a una mancata conferma. Più per crisi che per convinzione. Il bello è che l'azienda
sanitaria la terrebbe per professionalità e capacità cercando di
recuperarla attraverso i concorsi che, ohibó, non possono essere
affrontati senza cittadinanza.
"Purtroppo
è così - conferma in un italiano perfetto - perchè il sistema del
precetto non mi potrà essere rinnovato ad ottobre e io mi trovo la
strada totalmente sbarrata. In Colombia ero infermiera diplomata, ma qui
chiaramente il titolo non viene riconosciuto. Poco male: mi sono tirata
sù le maniche e ho seguito corsi di aggiornamento e
professionalizzazione. Parlando tedesco con i pazienti sono riuscita
anche a centrare l'obiettivo patentino, poi la pratica ha fatto tutto il
resto. Non posso parlare male dell'Assb perchè mi ha messo nelle
condizioni di lavorare e migliorare, ma ora non possono continuare con
le chiamate così mi trovo bloccata".
Ergo
questa donna colombiana ha tutti i requisiti professionali per tentare
una regolarizzazione occupazionale e più di un criterio valido per
ottenere la cittadinanza, ma deve fare i conti con la perdita di un lavoro che sa fare bene
mentre deve mantenere un figlio italiano a tutto tondo. "E' proprio
così: virtualmente non ho nulla che osti al mio essere italiana, però
devo attendere i tempi tecnici". Un paradosso e un'ansia economica
probabilmente sconosciuta a una top manager d'azienda. "Ho dovuto vendere
casa per far fronte al periodo senza lavoro che arriverà: ora siamo in
un monolocale, ma fa nulla. Sono la prima a dire che gli aiuti vanno
dati prima ai cittadini italiani. Mio figlio, però, rischia di pagare in
prima persona questa situazione paradossale e mi dispiace. Dopo così
tanto tempo, oltretutto, persino in Colombia ci sentono come stranieri.
Tutto questo sembra ancora pià deprimente se rapportato alla velocità
con cui hanno regolarizzato la candidata della Svp". Fuori taccuino,
però, nessun attacco a Maria Mäwe: "Non ce l'ho con lei per carità -
dice - magari è una bravissima persona e trovo giusto cerchi di crearsi
una propria strada politica. Se esistono delle regole e delle prassi,
però, mi piacerebbe fossero identiche per tutti". Per inciso la bionda
rocker svedese ha atteso appena sette anni per il passaporto ed è la
matematica a smentire la favola di un disinteresse politico nel fare
veloce. Candidarsi per la Stella Alpina e garantirsi un lavoro di
assistenza apprezzato per mantenere un figlio: la lista delle priorità
di chi preme l'acceleratore nella nostra terra fa spavento. O tristezza.
Alan Conti
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