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lunedì 29 novembre 2010

"A Bolzano da afgano cerco di staccarmi le etichette"


Incontriamo Abdul Hadi Loori seduto nel suo ufficio di money transfert e internet point lungo la tanto discussa via Garibaldi. Barba curata, occhiale nero scuro, abbigliamento elegante e la voglia, non comune, di raccontare con precisione la condizione della comunità afgana a Bolzano. Soppesa le parole, spostandosi rapidamente tra italiano, tedesco e inglese e valuta con perizia quale termini usare, non per difficoltà con la lingua, ma per la necessità di essere preciso nel raccontare se stesso, la sua famiglia e il suo paese. Prende la sua voce per comunicare le idee di una piccola comunità sul territorio altoatesino, sì e no una manciata di famiglie, ma molto significativa per tutto quello che dell’Afghanistan si dice e si scrive. Loori ha un passato da politico, militante del partito Hezbi Islami che ha come leader il mujaheddin Gulbuddin Hekmatyar, fondato dai pashtun in contrapposizione al governo sovietico nel paese. Conosce, quindi, il mondo democratico e della comunicazione.
"Vivere a Bolzano? Non facile – sorride – ma la gente normale, gli altoatesini, non c’entrano nulla". Cos’è, allora, che complica la situazione? "La burocrazia. Io, per esempio, ho aperto da 4 anni la mia attività, però per arrivare a questo passo c’è voluta una trafila di carte attraverso la Provincia che avrebbe scoraggiato chiunque. Per cinque mesi, per esempio, ho pagato un affitto a vuoto: economicamente si tratta di una realtà che ti può mettere in ginocchio e rendere appetibili strade sbagliate". La stessa amministrazione provinciale, però, prevede un ulteriore giro di vite nei requisiti per il rilascio delle sovvenzioni agli immigrati. "Ho letto, ma sarebbe disonesto dire che si tratta di misure totalmente penalizzanti. La verità è che noi stranieri siamo tutti diversi, quindi è evidente che quelli che per me non sono ostacoli insormontabili possono rappresentare una montagna per qualcun altro. Chiaro che avere la famiglia con noi è un sostegno, anche psicologico, non indifferente, ma non sempre è facile e capisco che sia un processo che può spaventare gli altoatesini". La comunità afgana, per la verità, non è molto nutrita sul nostro territorio. "Siamo pochi, è vero, ma nei rapporti con il gruppo italiano e tedesco generalmente non abbiamo alcun tipo di problema. Diciamo che siamo accolti bene, anche se la fortuna non gira dritta per tutti". Esistono situazioni difficili e pesanti. "Il meccanismo – continua Loori – è talmente semplice da essere pericoloso, soprattutto per i giovani. Le famiglie in Afghanistan, infatti, pensano che la scuola europea sia la migliore nel mondo e mandano i ragazzini qui per studiare senza, però, alcun tipo di sicurezza economica. Arrivati a Bolzano e in Italia cominciano i problemi: dove dormire? Dove alloggiare? Come guadagnare? Evidente che i libri siano l’ultima delle necessità e la vita “border-line” diventa prima di tutto una conseguenza". Tra i ragazzi fortunati, tuttavia, va citato Alidad Shiri, lo studente delle Professionali che con il suo libro “Via dalla pazza guerra” ha regalato un affresco della realtà di un adolescente poco più che bambino in fuga dal suo paese verso l’Europa. "Sono testimonianze fondamentali, ma è altrettanto importante spiegare realmente cos’è il nostro Paese, i talebani e le operazioni militari". Prego. "Dunque, è assolutamente falso affermare che l’Afghanistan da solo non può governarsi in modo democratico perché le spinte in questo senso esistono. Tanti miei connazionali vedono in questa forma di organizzazione sociale la via maestra e capiscono che il terrorismo è una follia". Rimangono, però, i talebani. "Certo, ma anche qui si è creata un’iconografia mediatica errata. I talebani per noi sono solo ragazzi che studiano il Corano e l’Islam. Per come li intendete voi sono assassini pagati per la loro guerra santa, ma i talebani seri non si farebbero mai pagare e non si lascerebbero andare a simili violenze. Chiamateli delinquenti perché questo sono, anche per noi. Ciò non toglie, comunque, che l’Afghanistan sia un paese corrotto: abbiamo ricevuto 50 miliardi di dollari, ma la popolazione non ha mai visto un cent e migra". C’è grande confusione pure sul grado di accettazione delle popolazioni alle varie missioni militari. "Non c’è tutto questo entusiasmo. Pensavamo di esserci liberati dai russi e invece non era finita. Sono 13 anni che il Paese è in guerra. Capisco la strategia americana, che ha radici molto più lontane rispetto alle Twin Towers, ma sono un pericolo anche per noi. La scorsa settimana hanno sparato su una macchina sterminando una famiglia: pensavano fossero terroristi e lo hanno derubricato alla voce “errore”. Si può etichettare una morte simile come un semplice errore?". La religione islamica, però, è vissuta con tensione anche a Bolzano. Recente la polemica sulla moschea. "Non è una moschea, teniamone conto. I politici premono sul malcontento popolare, ma dicono una cosa e ne fanno un’altra. Non siamo, però, pericolosi. Dire che “Allah è meglio di Dio” è solo una convinzione personale che ognuno di noi ha dentro il proprio cuore. Tutto dipende, però, da come questa viene usata. E’ come un coltello: c’è chi lo usa per tagliare la verdura a casa propria e chi lo impugna per pugnalare qualcuno, ma il problema non è fornire il coltello alla comunità, bensì quei singoli che lo utilizzano come un’arma. C’è una netta differenza".
Alan Conti

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