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giovedì 18 novembre 2010

La festa mussulmana in parrocchia a Don Bosco. Le donne: siamo bolzanine


Alto Adige — 17 novembre 2010 pagina 16 sezione: CRONACA

BOLZANO. E’ difficile, talvolta, andare oltre il velo, capire le motivazioni che spingono a portarlo e le sfide di madri e donne inserite in un conteso culturale diverso dal proprio con criticità aggiuntive legate al lavoro, alla casa e alla stessa possibilità di continuare a rimanere nel paese d’azione. A volte non è facile nemmeno entrare in contatto con le donne islamiche, qualche volta per resistenze culturali altre per diffidenza. L’occasione, però, arriva con il pranzo per la festa religiosa islamica del sacrificio organizzato ieri dalla Rete per i diritti dei senza voce nella sale della parrocchia S. Giovanni Bosco di via Gutenberg. Un momento di ritrovo musulmano all’interno di un luogo cristiano: il connubio è stato fortemente voluto da Don Mario Gretter, sempre molto attento al dialogo interreligioso. Amina e Halima Issarti sono originarie di Casablanca, Marocco, ma da moltissimi anni vivono a Bolzano. «Quello di oggi è un gesto di pace e collaborativo. Festeggiare all’interno di una parrocchia, dopo la cerimonia di stamattina tenutasi allo stadio Druso, vuole chiaramente essere un simbolo distensivo e una mano tesa alla comunità cristiana. Infastidisce, infatti, sentire parlare dell’Islam in termini di terrorismo o violenza. Noi siamo arrivate in Italia con il ricongiungimento familiare e la burocrazia non è stata semplice, ma coltiviamo la speranza di aver superato gli ostacoli che non dovranno affrontare i nostri figli che si sentono bolzanini a tutti gli effetti». A tirare le fila del banchetto della festa, in cucina, troviamo mamma Malika Psita. «Ai fornelli con me ci sono tutte le mie figlie: ci diamo molto da fare nel realizzare piatti tipici della cucina araba con melanzane, costolette e farina. Noi donne siamo forti, altro che islamiche sempre sottomesse». Poco più in là Rima Fallaha: «La cittadinanza, il lavoro, il permesso di soggiorno e la casa: i bisogni primari di molti membri delle nostre comunità sono questi. Esiste, però, un lato sociale e psicologico che riguarda proprio le donne, ovvero il bisogno di confronto e integrazione. Molto spesso, infatti, lo stesso velo crea una diffidenza e qualche pregiudizio. Si tende a pensare che la donna islamica sia totalmente sottomessa, senza peso specifico nelle famiglie e nell’organizzazione sociale, ma questo non è vero. Gli stranieri a Bolzano ne sono un esempio: le mamme seguono l’educazione, anche scolastica, dei figli in prima persona, lavorano, gestiscono la casa e molto spesso hanno il polso fermo della situazione. Quando avvertiamo, però, rigidità per il nostro portare il velo diventiamo fragili e non è facile». Non si può, però, pensare che un cambio tanto in contrasto con la civiltà occidentale possa essere digerito senza colpo ferire. «Certo che no - continua Rima - però bisogna parlarne. Per 10 anni in Italia non ho portato il velo ed era un rifiuto imposto dalla società in cui mi trovo, poi ho cambiato atteggiamento. Bene, prima mi sentivo insicura, debole e a disagio, oggi sono me stessa, tranquilla e in pace. Non è vero che noi donne viviamo sempre questi simboli come costrizione, anzi, spesso è esattamente il contrario». Olfa Sassi è felice di un’iniziativa «che lancia messaggi positivi. La festa del sacrificio, infatti, prevede l’offerta di un agnello dai ricchi ai più poveri, quindi richiama il concetto di solidarietà sociale che con questa piccolo evento cerchiamo di veicolare. Ci sono molte difficoltà per gli stranieri che hanno bisogno di comunicare in modo disteso e le donne giocano in questo un ruolo decisivo». A sintetizzare i motivi di quest’incontro ci pensano, infine, il presidente delle rete per i diritti dei senza voce Amir Sadeghi e la sua vice Elisa Pavon: «La prima criticità per uno straniero è certamente il permesso di soggiorno legato a doppio filo al lavoro e alla casa. E’ una concatenazione ferrea che troppo spesso mette in fuorigioco delle persone che si trovano spaesate». (a.c.)

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