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martedì 2 novembre 2010

Gli immigrati: «E vero via Garibaldi è un ghetto» E gli italiani se ne vanno


Alto Adige — 30 ottobre 2010 pagina 21 sezione: CRONACA

BOLZANO. Lo sgombero dello stabile al civico 20 di via Garibaldi e la denuncia di alcuni residenti hanno riportato l’attenzione su una delle strade più discusse della città. L’immigrazione ha trovato qui un piccolo feudo di residenza e attività commerciale, mentre la presenza di altoatesini si sta assottigliando sempre più. Luciano Manara e Irene Huber sono tra i pochi rimasti. «Quando siamo arrivati - raccontano - qui c’erano solo le prostitute, ma non facevano male a nessuno. Oggi la situazione è più complessa. Premettiamo che siamo contenti, comunque, di vivere in questa zona, ma ci sono delle chiare difficoltà. Il rapporto con gli stranieri non è sempre facile perché tendono a chiudersi a riccio nelle loro comunità, soprattutto i pachistani, gli indiani o gli albanesi. I nordafricani, invece, in genere sono più aperti. Per l’integrazione c’è bisogno di dialogo, ma quando fanno fatica persino a salutarti tutto questo processo subisce un inceppamento». Siamo andati, allora, ad ascoltare la voce stessa degli immigrati, come Jugno Arfan, di origine pachistana che con Huka Albertina gestisce un punto di “money transfer”. «Noi ci troviamo benissimo e non abbiamo alcun tipo di problema. Sappiamo dello sgombero, ma bisogna anche cercare di capire la situazione che vivono queste persone. I senegalesi, oltretutto, sono davvero un popolo che, generalmente, è molto onesto e corretto. La legge italiana è troppo rigida, bisognerebbe considerare di più l’aspetto umano». Shahid Anwar, commerciante e rappresentante della Consulta immigrati interviene sul tema. «So che ci accusano di ghettizzazione, ma il fenomeno è assolutamente normale. Generalmente chi arriva a Bolzano conosce qualcuno o stringe amicizia con i connazionali e tende a insediarsi dove li può trovare. Aggiungiamo, inoltre, che ci sono proprietari di immobili in città che, appena sentono che siamo immigrati, raddoppiano il canone d’affitto o proprio negano l’appartamento. Con questi presupposti è ovvio che si formino veri e propri assembramenti in singole case. Ho letto anche del possibile giro di vite sui sussidi e sui ricongiungimenti, ma la domanda che pongo io è molto semplice: vi siete mai chiesti cosa abbiamo noi nel cuore a lavorare qui e avere mogli e figli lontani migliaia di chilometri? Il rispetto della soglia di povertà, poi, è un controsenso perché comunque molti soldi vengono spediti in patria dai lavoratori immigrati. Sarebbe meglio, a questo punto, tenerli in Italia». Abdul Leye è senegalese e da molti anni vive a Bolzano. «Fa male leggere certe notizie perché in una situazione come la nostra basta lo sbaglio di poche persone ad attaccare un’etichetta a tutti. I senegalesi sono bravi, d’accordo, ma ci sono anche i delinquenti o quelli non vogliono integrarsi. Non possiamo, però, pagare tutti per loro». Hasan Poyraz sta per aprire l’ennesimo kebab lungo la via. «Qui è sempre un gran casino - scherza - ma per chi vuole aprire un’attività come la nostra è la scelta migliore. Da un punto di vista commerciale, infatti, se provassimo a proporre carne Halal o prodotti tipicamente mussulmani in Centro storico non potremmo vivere. Cosa dobbiamo fare allora se non ghettizzarci?». © RIPRODUZIONE RISERVATA -
Alan Conti

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